INVESTIRE IN EGITTO? SECONDO IL SOLE 24 ORE PROBABILMENTE SI
21 febbraio 2011 1 commento
Fonte: Guido Tabellini per www.ilsole24ore.com
Fino a un mese fa, alcune banche di investimento si chiedevano se l’Egitto dovesse essere incluso tra i Bric, i paesi emergenti con le migliori prospettive economiche. Nei tre anni precedenti la crisi finanziaria mondiale, l’Egitto era cresciuto in media del 7% all’anno, e negli ultimi due trimestri la crescita era tornata intorno al 5,5 per cento. Secondo la banca spagnola Bbva, l’economia egiziana avrebbe presto superato quella del Sudafrica, per diventare la più grande economia del continente africano entro il 2013. E ora?
Vi sono due incognite. Il primo interrogativo riguarda la transizione politica. Come sarà il nuovo regime? Sarà più simile all’Iran o alla Turchia? O magari al Pakistan? È ancora troppo presto per rispondere. Tuttavia il livello di sviluppo economico, la vicinanza geografica all’Europa, i legami economici e culturali con l’Occidente, il comportamento seguito finora dai militari, rendono probabile una genuina e significativa trasformazione verso un regime democratico, in cui i cittadini scelgono chi esercita il potere politico nell’ambito di procedure aperte e competitive.
L a seconda incognita riguarda gli effetti economici della democrazia. Se davvero l’Egitto riuscirà a diventare un regime democratico, ciò contribuirà a rinforzare o invece a indebolire le prospettive di sviluppo economico? Anche qui la risposta è tutt’altro che certa. In molti hanno studiato le conseguenze economiche delle transizioni democratiche. Tipicamente, gli anni della transizione sono accompagnati da turbolenze economiche, con un rallentamento della crescita. Ciò è la conseguenza inevitabile dell’interruzione dell’attività produttiva e dell’incertezza che accompagna le trasformazioni politiche. Dopo qualche anno, l’instaurarsi della democrazia porta in media a un’accelerazione dello sviluppo economico, a un tasso di crescita anche superiore a quello precedente il cambiamento di regime. Tuttavia, l’esito è molto diverso a seconda delle situazioni e del contesto economico.
Una variabile importante nel determinare l’effetto delle transizioni democratiche è il grado di apertura dell’economia alle forze di mercato nel momento della transizione. Se la trasformazione politica avviene in un contesto di controllo statale dell’economia, prevalgono gli aspetti negativi: la democrazia accentua l’instabilità economica. Se invece l’economia è aperta agli scambi con l’estero, integrata nell’economia mondiale, e se la concorrenza e i diritti di proprietà sono ben tutelati, allora la transizione democratica riesce a dare un forte ulteriore impulso allo sviluppo economico.
Da questo punto di vista, l’Egitto non è paragonabile ai paesi asiatici, dove l’economia di mercato funziona con grande efficacia. Tuttavia, l’apertura dell’economia egiziana agli scambi con l’estero e la sua integrazione nell’economia mondiale non sono un fatto recente. Inoltre, liberalizzazioni e privatizzazioni si sono intensificate negli ultimi anni. Tutto questo lascia ben sperare circa il futuro economico di un Egitto democratico (un discorso analogo vale anche nei confronti della Tunisia).
L’evidenza empirica rivela anche un altro nesso: quello tra liberalizzazioni economiche e liberalizzazioni politiche. L’apertura dell’economia al commercio estero e alle forze di mercato rende più probabile la transizione verso regimi democratici. Da questo punto di vista, non è sorprendente che la democrazia nel mondo arabo cerchi di spuntare proprio nei paesi, come Egitto e Tunisia, che prima di altri avevano imboccato la strada delle liberalizzazioni economiche.
Ciò pone i regimi autocratici degli altri paesi arabi di fronte a un dilemma: per facilitare lo sviluppo economico e la crescita dell’occupazione, essi dovrebbero aprire le loro economie alle forze di mercato. Ma così facendo, essi pongono le basi per la fine del loro potere politico. Non è un caso se molti paesi arabi, di fronte agli eventi di questi giorni, sono andati nella direzione opposta, aumentando la presenza dello Stato nell’economia attraverso l’espansione di sussidi e prezzi controllati, e assunzioni nel settore pubblico. Queste misure populiste e assistenziali possono effettivamente allungare la sopravvivenza dei regimi autocratici. Purtroppo ciò avviene a scapito del vero benessere economico dei cittadini.