GLI AMANTI DEL NILO

1943, tunisia meridionale. gli eserciti dell’asse arretrano giorno dopo giorno sotto la pressione delle forze alleate. un giorno la giovane Anne Frendo, che vive a Bessariani insieme al padre, trova sulla spiaggia deserta il corpo di un aviatore francese. Con l’aiuto della zia archeologa, Anne intraprende un viaggio nel tempo per tentare di salvare il giovane soldato. Ritorna cosi’ a tre giorni prima, in un palazzo egiziano sulle rive del Nilo, dove gli ufficiali alleati stanno preparando l’offensiva in Tunisia. Tra loro riconosce l’uomo della spiaggia. Per cambiare il suo destino e salvarlo Anne ha una sola arma a disposizione: la seduzione.

Attori: EMMA DE CAUNES, BERNADETTE LAFONT, ERIC CARAVACA, JAQUES NOLOT
Registi: ERIC HEUMANN

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UNA FOTO AL GIORNO: L’OCA DEL NILO

Uno splendido esemplare di Oca del Nilo fotografato in Olanda
dove sta minacciando la specie autoctona

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UN FUMETTO VIETATO: METRO DI MAGDY EL SHAFEE

Può una graphic novel essere stata ritirata dal mercato, semplicemente perchè accusata di fomentare la rivolta? Intervista a Chiarastella Campanelli della casa editrice il Sirente che ha portato in Italia la graphic novel “Metro”.

 

La copertina di METRO

Metro di Magdy El Shafee è una graphic novel che tratta l’essere disadattati in un mondo che non si riesce ad accettare. Ciò che salta agli occhi è soprattutto il tratto; ben distante da un un modello accademico, è a tratti brusco e/o addirittura violento. Pensate che sia stata una precisa scelta stilistica, oppure è intrinseco al modo di fare novel dell’autore?
Il tratto di Magdy è tagliente, deciso quasi ad incidere nella Cairo dei suoi giorni (2008) delle figure che vogliono con forza entrare nella vita della gente comune, svegliarle da quel torpore, da quell’essere “come anestetizzati” in un mondo che li schiaccia, non li fa sentire liberi eppure ci vivono ugualmente, (giustamente) sempre in cerca di portare a casa il pane giorno per giorno e non in cerca di una rivolta.
Lo stile di Magdy è entrambe le cose. Intrinseco al suo modo di disegnare e anche scelta stilistica: sentiva di imprimere un messaggio forte ai suoi concittadini.

Pur essendo un capace programmatore informatico di un certo successo, il personaggio principale – Mustafà – rimarrà consapevolmente o meno in Egitto. L’ultima carrozza della metropolitana non vede a bordo Shiab e Dina; rimasti sul marciapiede a guardarsi negli occhi.
Tragica fatalità del destino a cui non ci si può sottrarre o eventi necessari affinché venga a maturarsi una consapevolezza nei propri mezzi?
Non dimentichiamo che Metro è anche una storia d’amore, Shiab e Dina rimangono sul marciapiedi a guardarsi negli occhi finalmente consapevoli del loro amore e con un bagaglio di storie ed emozioni forti appena vissute tra le loro mani, troppo concentrati a scorgere nello sguardo dell’altro il loro amore per prendere quella metro.

Metro sembra essere un’opera in cui si cerca di dare una struttura organica di ciò che sarà, senza dimenticare ciò che è stato, tentando di dimenticare ciò che si è. Quale parte di questa affermazione pensate sia corretta e quale invece pensate non corrisponda alla verità?
Penso che la prima parte dell’affermazione non sia vera. Non si cerca di dare una struttura organica per il futuro, bensì si lanciano molti messaggi e stimoli. Le restanti due sono vere. Senza dimenticare ciò che è stato, tentando di dimenticare ciò che si è, oppure lo stato in cui si è.
Senza una lira (ci sono le lire anche in Egitto) e con un governo che costringe il miglior amico a fuggire con la refurtiva e in cui non si può andare al commissariato a denunciare l’assasinio del manager e il coinvolgimento nella corruzione di una importante figura di Stato, perché tanto non verrebbe niente, piuttosto incastrerebbe il povero Shiab.

Il caso Metro – intendendo il ritiro dalle edicole e la condanna del tribunale egiziano – risale al 2008. Possibile fomentare la rivolta, attraverso una graphic nobel?
Fomentare la rivolta forse no, ma invogliare i cittadini a rendersi conto delle ingiustizie, questo si. Ben rappresentativo è il personaggio di Wannas (il personaggio preferito di Magdy), un lustrascarpe che vive la sua vita elemosinando e arrangiandosi in mille piccoli lavoretti. Questo personaggio all’interno della graphic ha una escalation e alla fine morirà in una manifestazione.
L’invito di Magdy è alla dissidenza, vuole portare un esempio di come chiunque può reagire ad uno Stato malato.

Magdy el Shafee

Se la produzione artistica dell’Egitto stava producendo le avvisaglie del moto di rinnovamento, perchè noi occidentali abbiamo continuato ad inscatolare l’Egitto – e il nord Africa in generale – nel ritrito stereotipo nord Africano; sinonimo di miseria, bazar e deserto?
(domanda difficile) In Egitto lo spirito di rivolta non è nato nei primi mesi del 2011, non è stato un avvenimento inaspettato come il caso della Tunisia.
In Egitto le manifestazioni e il malcontento sono inziati nel 2006 dove già si vedevano manifestazioni e movimenti di piazza, sicuramente di carattere quasi privato; un centinaio di manifestanti accerchiati da 300 uomini della sicurezza.
Il movimento Kifayya (“Basta!”) è nato in quel periodo ma ne facevano parte solo persone dell’elite egiziana (intellettuali, letterati..ecc). Il 6 aprile 2008, anno della pubblicazione di Metro c’è stato il clamoroso sciopero del pane, dove chi era al Cairo in quel momento ha assistito ad una città deserta come neanche nei giorni di ramadan (mese santo del digiuno), uno sciopero bianco.
Perché noi occidentali non vogliamo mai accorgerci di quello che succede nel emisfero sud del mondo. Credo che sia un fatto di pigrizia, perché siamo anestezzati dai confort e dalle facilità della vita occidentali. Quello che penso è che la primavera araba che è scoppiata nei paesi arabi in questo periodo non può passare inosservata e forse farà capire e scoprire che il nord Africa non è solo bazar e deserto.

La collana “Altriarabi” della Editrice il Sirente nasce con l’intento di riuscire a scovare quel qualcosa d’altro che è sfuggito del mondo mediorientale. Allo stato attuale quanti encomi e quanti invece moniti avete ricevuto da parte del mondo editoriale e/o artistico istituzionale?
La collana Altriarabi sul panorama letterario italiano, ha un forte valore inedito: cerca di dare a chi già conosce il mondo arabo e ai curiosi un ventaglio di voci nuove, simili a noi più di quanto noi pensiamo, sebbene ricche di tutta la loro particolarità.
Ha ricevuto per il momento tanti encomi e apprezzamenti e nessun monito, ma purtroppo non bastano gli encomi a far funzionare le cose, il problema di tutti i piccoli editori è l’ultima parte della catena: la distribuzione ed essendo fuori dalla grande distribuzione i nostri libri non si trovano in tutte le librerie e sopratutto in quelle più grandi come Mondadori, Mel book e questo molte volte scoraggia gli acquirenti che dopo due tentativi desistono e non comprano il libro, i più tenaci alla fine ci chiamano disperati.

IL DRAMMA DEI MATRIMONI MISTI ARABO-ISRAELIANI

FONTE: LaStampa.it

Fareed, un uomo di 35 anni, mai avrebbe pensato, e con lui altri migliaia di egiziani, che un atto semplice come sposare la donna dei propri sogni, lo avrebbe trasformato in una sorta di eroe di una storia d’amore. Romeo e Giulietta è stato scritto alla fine del 1500, ma la recente decisione della Suprema Corte Amministrativa dell’Egitto di togliere la cittadinanza a coloro che hanno sposato donne israeliane, potrebbe costringere molte coppie ad impersonificare la versione moderna di questa tragedia.

Secondo la sentenza, non impugnabile, ogni caso deve essere considerato singolarmente prima di “prendere le misure necessarie per togliere loro la nazionalità”.

“Il matrimonio è amore e l’amore ha le sue regole, non conosce confini, nazionalità o politica. E’ un diritto umano che nessuna legge può negare”, spiega Fareed con amarezza. L’uomo racconta la storia del suo matrimonio con Nadia, una donna palestinese con passaporto israeliano. Vive in una piccola casa nel quartiere di Giza, al Cairo, con la moglie e i tre figli, Osama, 17, Noha, 14, e Noor, 8.

Pace tra Isreale e Arabi?
“Tutto ebbe inizio 20 anni fa. Mi sono laureato in tempi difficili, quando l’Egitto stava cominciando a ricostruire da zero la sua economia dopo la guerra. Trovare lavoro nella mia città natale, Tanta, non era facile in simili condizioni economiche e scarse opportunità.

La maggior parte dei miei colleghi hanno intravisto un futuro promettente a 610 km di distanza, in quella che è l’attuale penisola del Sinai – o ‘Terra di Fayrouz’, come piace chiamarla agli egiziani – nella città di Taba, l’ultimo territorio che l’Israele doveva restituire.” Nel 1988, una lunga controversia si concluse con la sentenza del collegio arbitrale internazionale a favore dell’Egitto. Fareed trovò un buon lavoro nel settore del turismo emergente nel Sinai, dove erano stati costruiti molti resort, hotel e villaggi di prima classe. Il governo egiziano ha istituito infrastrutture con ingenti investimenti e incoraggiato i giovani a lavorarci.

“Per me è stato un colpo di fortuna”, ha detto Fareed, “ho incontrato Nadia mentre lavorava per un’azienda internazionale di tour turistici. Indossava il velo e parlava il dialetto arabo-palestinese, sembrava una qualsiasi brava ragazza palestinese musulmana. Dopo averla conosciuta meglio, sono rimasto impressionato dalla sua natura laboriosa e ho deciso di sposarla e creare con lei una famiglia”.

Fareed non è stato l’unico a sorprendersi quando Nadia gli ha detto di essere cittadina arabo-palestinese di Israele, con passaporto israeliano. Anche i suoi genitori erano riluttanti ad approvare la sua decisione di sposarla. Nonostante considerassero Nadia e tutti gli arabi-israeliani come dei veri eroi, la futura sposa possedeva comunque il passaporto “nemico”.

“Il problema principale è che molti nel mondo arabo o non sanno nulla degli ‘arabi del 1948’ oppure hanno frainteso la situazione”, insiste Fareed. “Questi arabi si identificano come palestinesi, e Nadia proviene da una famiglia di commercianti di Abu Ghosh. Come la maggior parte degli arabi, si sono rifiutati di lasciare le loro terre dopo la guerra arabo-israeliana del 1948 e hanno preferito rimanere lì, resistendo alla tattica di Israele di trasferire le loro case in terre di proprietà statale. Hanno così ricevuto la cittadinanza israeliana,” ha raccontato.

Nel 2003 e dopo decenni di forzato spostamento che ha portato oltre l’80 per cento delle famiglie palestinesi ad andarsene, l’Ufficio centrale di statistica israeliano ha constatato che gli arabi residenti costituivano circa il 20% della popolazione di Israele.

Fareed ha dovuto affrontare enormi problemi e enorme stress psicologico prima e dopo il matrimonio con Nadia. “Avevamo deciso di vivere in Egitto, vicino a dove lavoro, visto che il trattato di pace firmato tra Egitto e Israele nel 1979, permetteva ai civili israeliani di attraversare il confine con l’Egitto come normali visitatori stranieri. Al contempo, gli egiziani potevano entrare e lavorare in Israele. Fino ad ora non ci sono dati ufficiali sui matrimoni tra uomini egiziani e donne israeliane. E visto che le autorità egiziane si rifiutano di fornire il numero esatto di simili, la speculazione dilaga.

I dati diffusi recentemente da un gruppo locale per i diritti umani stimano che ci sono almeno 17.000 uomini egiziani sposati con donne israeliane, in gran parte discendenti dagli “arabi del 1948”. Chi è contro la normalizzazione alza il numero a oltre 30.000, mentre l’Assemblea del Popolo riduce la cifra a 10.000. Il verdetto è basato su un articolo riguardante la cittadinanza, secondo il quale il governo deve revocare la cittadinanza a coloro che sono sposati con israeliane, o hanno effettuato il servizio militare, oppure abbracciato il sionismo.

La coppia ha cercato di scoprire la ragione di questo sfratto improvviso, ma la polizia ha rifiutato di fornire loro alcun dettaglio. Così Fareed ha contattato uno zio, ufficiale militare in pensione, e dai suoi contatti nella polizia si è scoperto che la presenza di Nadia era considerata una minaccia alla sicurezza nazionale.

Pace tra Isreale e Arabi?
“Finora a mia moglie è stato negato il visto per entrare in Egitto. Non capisco perché 37.000 turisti israeliani, che rappresentano circa il 2 per cento del totale del turismo in Egitto, sono stati autorizzati senza problemi a passare le loro vacanze sulle rive del Mar Rosso, mentre un migliaio di donne arabe israeliane sposate con uomini egiziani vengono espulse per motivi di sicurezza”, mi ha spiegato Fareed.

La maggior parte di queste coppie non ha molta scelta. Sono costrette o a rimanere in Egitto, a costo di destabilizzare la famiglia per l’assenza della madre, oppure a spostarsi in Paesi come Stati Uniti, Australia, Canada, o addirittura in Israele. La maggior parte delle coppie miste ha scelto proprio quest’ultimo come nuova residenza.

“La società ebraica ha elementi razzisti che non tollerano nè arabi nè musulmani. Hanno anche incoraggiato l’emigrazione dei cittadini arabi verso altri paesi. La discriminazione risulta risulta evidente dal fatto che arabi ed ebrei studiano in scuole separate, vengono curati in ospedali diversi, e i cittadini arabi ricevono meno risorse”.

Un sondaggio effettuato dal Centro israeliano contro il razzismo nel 2008, ha rivelato che il 75% degli israeliani non sarebbero d’accordo a vivere in un edificio dove alloggiano anche residenti arabi. Il 60% non accetterebbe visitatori arabi nelle proprie case e circa il 40% sostiene che agli arabi andrebbe tolto il diritto di voto. “Si tratta di una esecuzione morale per me”, ha affermato Fareed: “Non ho commesso alcun crimine che meriti una tale brutale punizione, persino alle spie non viene strappata la nazionalità.”

Sebbene la maggior parte degli egiziani pensi che sposare donne israeliane sia un fenomeno nuovo comparso con la fase finale del trattato di pace di Camp David del 1979 tra Egitto e Israele, gli ebrei egiziani erano considerati una parte essenziale della società e non dei nemici. La popolazione egiziana ebrea contava 88.000 individui nel 1952, in occasione dell’ultimo censimento poco prima della rivoluzione egiziana.

Prima del conflitto arabo-israeliano in Palestina, i matrimoni tra egiziani musulmani ed ebrei egiziani erano comuni, soprattutto nelle aree urbane, dove c’era un’alta concentrazione di ebrei. Dopo lo scoppio del conflitto arabo-israeliano, essendo stati accusati di spionaggio, gli ebrei sono fuggiti per li pressioni della società egiziana.

Nel 1995, dopo cinque anni di matrimonio, il governo egiziano aveva rifiutato di concedere il rinnovo del soggiorno a Nadia, imponendole di lasciare il Paese entro poche settimane.