MUBARAK VUOLE MORIRE IN EGITTO

Hosni Mubarak, presidente d’Egitto per oltre trent’anni, è oramai un leone ferito e come tutti i leoni, quando sentono che l’ora della fine è vicina, sfuggono alla vista degli altri, così il rais ha deciso di trascorrere nell’isolamento le giornate seguite alla caduta del suo regime.

Da quando ha lasciato Il Cairo, Mubarak si trova nella sua residenza di Sharm-el-Sheik e pare non abbia alcuna intenzione di abbandonare il suo esilio volontario. Le sue condizioni di salute si sarebbero aggravate, tanto da consigliare alla moglie Susan e al figlio Gamal un improvviso rientro in Egitto da Londra. Finora Mubarak, 82 anni, ha trascorso le sue giornate nella villa sul Mar Rosso assistito dall’altro figlio, Alaa.

Sarebbe sua ferma intenzione concludere i suoi giorni nella terra natia, contro il parere anche dell’equipe medica che si prende cura di lui, propensa invece a un suo ricovero presso una clinica viennese. Per ora l’ex presidente rifiuta qualunque ipotesi di trasferimento, e ha declinato anche l’offerta di ospitalità proveniente dalla vicina Arabia Saudita:

«In sostanza, ha detto che vuole morire a Sharm», ha riferito il funzionario saudita che ha formalizzato l’invito di espatrio respinto.

L’atteggiamento di chiusura rispetto alle pressioni esterne, avrebbe fatto anche un’altra vittima illustre: un tentativo di colloquio telefonico posto in essere dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, si sarebbe concluso con un rifiuto immotivato a conversare.

L’assenza di tangibili segni del suo stato effettivo di salute, alimenta il giallo sulla vicenda: un quotidiano locale ha avanzato l’ipotesi che il rais sia in coma, mentre secondo altre indiscrezioni si troverebbe in Germania, dove già in passato è stato sottoposto a intervento chirurgico per un tumore al pancreas. Voci comunque smentite dai familiari.

L’EGITTO E’ IN RICOSTRUZIONE E IL SITO DEL PRESIDENTE PURE!!!

Ai cambiamenti politici in Egitto seguono inevitabilmente quelli sul web. Chi raggiunge il sito ufficiale della presidenza egizia (http://www.presidency.gov.eg/) attualmente si trova di fronte questa emblematica schermata che riassume, con una grafica scarna, gli effetti della recente protesta. Sotto la scritta “The Egyptian Presidency” e l’immagine animata della bandiera dell’Egitto campeggia in rosso una frase eloquente: “Il sito è in via di sviluppo e di ricostruzione”. Esattamente come il paese che si è appena liberato dell’ex presidente Mubarak.Fino a pochi giorni fa il sito ospitava un profilo del presidente, notizie sulla presidenza e sulle residenze presidenziali e permetteva l’ascolto dell’inno nazionale.

TRA SCIOPERI E PROTESTE L’EGITTO RIPRENDE IL SUO CAMMINO

di Alberto Negri per Il sole 24 ORE

I berretti rossi della Guardia Repubblicana si guardano intorno soddisfatti, in mezz’ora di parapiglia hanno ripulito piazza Tahrir dagli irriducibili. Sui muri restano striscioni con le foto dei martiri e le auto sono pronte a impadronirsi di nuovo della piazza. Ma il ritorno all’ordine dura poco. Le banche sono chiuse per gli scioperi, la Borsa è sbarrata fino a domenica, il turismo è affondato: l’Egitto è in ebollizione.

I giovanotti della polizia militare vengono sommersi dai lavoratori dello sport in agitazione, poi tocca ai poliziotti che chiedono l’immunità per le antiche e recenti malefatte ma pure immancabili aumenti di paga; quindi è la volta dei dipendenti della Bank of Alexandria, furibondi perché rischiano il posto; infine scendono in campo le guide delle piramidi, rimaste senza lavoro in alta stagione. I berretti rossi, esausti e grondanti, si fanno da parte. Per poi ricominciare, sparando raffiche di mitra in aria nel tentativo di disperdere la folla: gli scontri nella notte si fanno duri e si sente l’ululato delle sirene.

Il nuovo Egitto ricomincia dove era finito quello di Mubarak, con ondate di scioperi che sfidano l’ordine imposto dai militari e dall’uomo forte del momento, Mohammed Tantawi, ottantenne ministro della difesa, capo del consiglio supremo e presidente di fatto. «Nobili egiziani non manifestate più, tornate casa» è l’appello dei militari. Ma i nobili egiziani restano in strada, a gola spiegata, mentre scendono in piazza anche in Iran e in mezzo Medio Oriente, risvegliando l’attenzione di pensosi esperti che ignoravano un mondo in cambiamento, aggrappati a griglie di lettura antiquate.

Attraverso la città con Tarek Niazi, manager cinquantenne che dirige l’azienda di famiglia, l’acciaieria Al Zhara, partner dell’italiana Danieli. Anche lui protesta. Tarek racconta la sua storia mentre siamo imprigionati in un ingorgo nel tunnel dell’Opera. I lavoratori hanno bloccato l’uscita.

«Guadagno 300 lire al mese (45 euro ndr), solo con contratti a termine e da undici anni non ci pagano l’assicurazione medica», urla un operaio nel finestrino. Non solo i salari sono bassi – spiega Tarek – ma gli operai vengono assunti e licenziati di continuo da due entità diverse, il governatorato del Cairo e l’autorità per i tunnel, quindi non sanno mai a chi chiedere gli arretrati».

La bestia nera di Tarek Niazi è Ahmed Ezz, monopolista dell’acciaio e socio di Gamal Mubarak: «La nostra è la più antica fabbrica siderurgica di Alessandria, con Ezz, smaccatamente favorito, abbiamo rischiato di chiudere. Lui avrebbe mai potuto fare soldi senza le tangenti versate alla famiglia Mubarak».

La corruzione infiamma le proteste quasi quanto le questioni salariali. È un paese che dopo 30 anni di silenzio apre i suoi Cahier de doléances. Il clan dei Mubarak è ovviamente nel mirino. Il giallo sulle condizioni di salute del presidente, che si trova nella sua villa di Sharm el Sheikh – secondo alcune fonti in coma – non solleva più di tanto l’interesse degli egiziani più incuriositi dal patrimonio accumulato dai Mubarak.

Mentre si esita a colpire i conti esteri della famiglia, affiorano vicende sempre meno edificanti. Samir Zaher, fratello di Suzanne Mubarak e presidente della lega calcio, ha intascato tangenti per 14 miliardi di lire con la vendita di terreni statali sul Mar Rosso a immobiliaristi russi: un annoso faldone giudiziario, tenuto ben nascosto al tribunale del Cairo, riemerso ieri dalla polvere. Suzanne Mubarak, sua sponsor, amava presentarsi come una signora dedita alle cause umanitarie, partecipando a tutte le conferenze Onu più politicamente corrette ed evanescenti: è anche così che si legittimano dittature e pessimi governi.

Un tremebondo primo ministro, Ahmed Shafiq, generale ultrasettantenne, ha assicurato che nulla cambierà nella politica economica. Shafik in realtà deve fronteggiare una portentosa fuga di capitali e vuole rassicurare le classi medio-alte che l’aliquota fiscale massima resti ferma al 20% dell’imponibile, una tassazione da paradiso fiscale in un paese dove la dichiarazione dei redditi è un fastidioso optional. A parte le forze armate, lo stato egiziano ha fondamenta friabili come la sabbia. Le agitazioni stanno costando il posto a diversi dirigenti incapaci. Ieri è toccato al presidente della Egyptair, Alaa Ashun, protetto di Mubarak.

Nei giornali e alla tv di stato stanno buttando fuori direttori e manager: per salvarli dal linciaggio è intervenuto l’esercito. Il quotidiano Al Ahram è uscito con questo titolo: «Chiediamo scusa ai lettori per avere raccontato bugie per 30 anni». Mohammed Sabrin, il direttore, appare contrito. Si diffonde in lodi sulla stampa occidentale. «Voi in Italia – dice guardandomi negli occhi – non potete capire cosa fosse qui la censura». E mi congeda con gentilezza, infilandomi sotto il braccio una copia del nuovo Al Ahram per scacciare i cattivi pensieri.

IMMENSI DANNI AL PATRIMONIO ARCHEOLOGICO EGIZIANO

Fonte: La stampa.it di Vittorio Sabadin

Quando tutto sarà finito, e il ministro per i Beni archeologici dell’Egitto Zahi Awass potrà finalmente andare a controllare di persona, quasi certamente scoprirà che il suo ostentato ottimismo era esagerato. Dal Cairo a Luxor, da Aswan al Sinai, decine di musei e di siti archeologici sono stati depredati da saccheggiatori. Centinaia di reperti millenari sono stati danneggiati e forse migliaia di oggetti sono stati rubati.

Anche se Hawass continua con l’abituale veemenza a ripetere nelle interviste che tutto è sotto controllo, la realtà descritta su Facebook e negli altri social networks dagli archeologi che scavano nelle località attaccate è purtroppo molto diversa. In queste ore, egittologi e direttori dei musei di tutto il mondo si scambiano e-mail venate di tristezza. Sono sgomenti per il danno finora causato al patrimonio archeologico dell’Egitto e ancora più preoccupati per quello che potrebbe accadere, se il Paese non tornerà presto alla normalità e non riprenderà il totale controllo del proprio patrimonio archeologico.

Uno dei reperti rubati al Museo de Il Cairo

Le voci dai blog
Questa la situazione nei musei e nei siti archeologici più importanti del Paese, così come viene descritta nei blog e nelle comunicazioni fra archeologi. I saccheggiatori che nella notte fra il 28 e il 29 gennaio sono penetrati nel Museo archeologico del Cairo hanno danneggiato circa 100 reperti. Nella breve visita organizzata da Hawass per tranquillizzare tutti, i danni sono stati volutamente minimizzati. Almeno 13 teche dell’Antico Regno sono state aperte e il contenuto asportato o gettato a terra. La splendida barca della tomba di Meseti ad Assyut è rotta in più pezzi.

Due mummie sono state decapitate e devastate e non se ne conosce ancora l’identità. Si teme che sia stata danneggiata anche la mummia di Tuya, la moglie di Seti I, che era ricoperta da un prezioso e davvero unico pettorale. I reperti della tomba di Tutankhamon non sono stati risparmiati. La statua che raffigura il faraone in piedi su una pantera è stata spezzata in due. Le immagini messe in rete da Margaret Maitland, che gestisce il blog Eloquent Peasant, mostrano solo la pantera, gravemente danneggiata. Di un’altra statuta di Tut sono rimasti solo i piedi.

Decine di piccole statue di legno sono state strappate dai loro supporti. In una foto si vede una teca completamente vuota, salvo i resti di un ventaglio d’oro e due scettri del faraone. Secondo Hawass, anche a Memphis, l’antica capitale del regno, la situazione è sotto controllo. Ma in base alle testimonianze il museo, che contiene numerose statue in un giardino all’aperto, è stato saccheggiato.

Uno dei reperti rubati al Museo de Il Cairo

Caccia all’oro
A El Qantara, sul Canale di Suez, il museo che conteneva 3000 reperti del periodo romano e bizantino è stato completamente depredato. Hawass ha detto che circa 300 sono stati recuperati, ma si ignora la sorte degli altri. Un operaio che lavorava al museo ha raccontato che i saccheggiatori sono entrati dicendo che cercavano l’oro. «Ho risposto che di oro non ce n’era, e allora hanno cominciato a distruggere tutto e a portare via quello che potevano».

A Luxor e nella Valle dei Re il 30 gennaio si è veriricato un tentativo di irruzione al Tempio di Karnak, ma è stato respinto. Nelle moschee è stato detto ai fedeli di proteggere i siti archeologici e ora la situazione sembra tranquilla. Nessun tentativo di intrusione, finora, nelle tombe della Valle dei Re. La piana di Giza con le sue piramidi è sorvegliata dall’esercito e non si segnalano danni. Le cose vanno però molto peggio nelle zone più lontane dal Cairo. Ad Abusir, dove si trovano le piramidi di Sahure, Neferirkare e Nyuserre Ini, tutte le tombe sigillate sono state aperte alla ricerca di tesori.

Il sito egyptopaedia.com riferisce di danni molto gravi. Il «Sun» ha pubblicato il 1˚ febbraio la foto di una banda di ladri intenta a scavare. Miroslav Bàrta, capo di una spedizione della Repubblica Ceca, ha raccontato che il sito è stato attaccato e molti dei reperti riportati alla luce sono stati danneggiati.

Uno dei reperti rubati al Museo de Il Cairo

Lucchetti inutili
I danni più gravi sono a Saqqara, dove si trovano la piramide a gradoni del faraone Djoser e numerose mastabe ornate da meravigliosi bassorilievi. Tutti i lucchetti delle tombe sono stati forzati, ha confermato Hawass, aggiungendo che all’interno non sono stati rilevati danni. Secondo altre fonti, la piramide di Pepi I a Sud di Saqqara è stata aperta, così come la stessa piramide di Djoser, che non è visitabile dal pubblico perché pericolante.

I saccheggiatori avrebbero svaligiato i magazzini di Saqqara, asportando gran parte del contenuto. Tra le tombe violate anche quella del tesoriere di Tutankhamon, Maya, e della moglie Merit, raffigurati insieme in una delle più belle statue ritrovate in Egitto. Per fortuna è al sicuro dal 1823 nel museo olandese di Leida.

Gli oggetti ufficialmente depredati al Museo Egizio de Il Cairo sono i seguenti:

1. Statua di Tutankhamon portato da una dea in legno dorato

2. Statua in legno dorato di Tutankhamun durante arpionamento. Solo il tronco e gli arti superiori del re sono mancanti

3. Statua in calcare di Akhenaton in possesso di un tavolo di offerta

4. Statua di Nefertiti in atto di fare offerte

5. Testa in arenaria di una principessa di Amarna

6. Statuetta in pietra di uno scriba di Amarna

7. Statuette di legno sciabita da Yuya (11 pezzi)

8. Scarabeo del Cuore di Yuya

Per chi sa bene l’inglese, link al blog di Sadi Hawass


NESSUN PROBLEMA PER I TURISTI

Fonte EURONEWS

Turisti italiani rimasti in Egitto nonostante i disordini manifestano solidarietà alle guida turistiche egiziane che rivendicano un aumento dei loro stipendi. Succede nei pressi delle piramidi di Giza dove il deserto sembra essersi riappropriato del territorio lasciato libero dai turisti in fuga.

“Siamo al corrente dei problemi e della situazione politica qui al Cairo – dice una turista italiana -. Ma io mi sento al sicuro, non ho visto niente di negativo, va bene così”.

L’Egitto aveva registrato l’anno scorso un numero record di visitatori, 15 milioni. Dieci miliardi di euro è il fatturato del turismo, principale voce del terziario. Ora anche le famose località del Mar Rosso debbono fare i conti con la crisi improvvisa.

“Eravamo preoccupati prima di metterci in viaggio – dice un turista britannico -, ma ora che siamo qui siamo contenti e tranquilli”.

L’incertezza sul futuro dell’economia continua a pesare sugli egiziani: anche il presidente della principale banca nazionale si è dimesso e dappertutto si registrano file di cittadini che ritirano contanti dai loro conti correnti. Non si sa ancora quando sarà riaperta la borsa del Cairo, chiusa dal 27 gennaio.

PS ma coma cacchio è che quando devono fare un cartello in italiano 90 volte su 100 sbagliano a scriverlo??? ehehehe

PAROLA DEL DIRETTORE DELL’ENTE DEL TURISMO EGIZIANO

“IN EGITTO TUTTE LE DESTINAZIONI TURISTICHE SONO SICURE”

La conferma arriva dal direttore dell’ Ente Turismo Egiziano che prova a rassicurare l’opinione pubblica estera dopo il recente terremoto politico e le manifestazioni de il Cairo. “Siti archeologici aperti, tranne i musei, nei quali è in corso la verifica dello status di tutti i reperti”

Con le violente proteste del Cairo, le dimissioni del presidente Mubarak e il potere passato nelle mani dell’esercito (Costituzione sospesa per sei mesi, fino al momento di nuove elezioni), l’Egitto sta attraversando un momento delicato della sua storia. Il rischio è che per lungo tempo mete turistiche come le piramidi di Giza o Sharm El Sheik vengano depennate dalla lista dei viaggiatori che non vogliono incorrere in vacanze ‘troppo agitate’. Il direttore dell’Ente Turismo Egiziano, Mohamed Abdel Gabbar, prova a chiarire la situazione: “Tutte le destinazioni turistiche egiziane non presentano problemi e sono pertanto da ritenere sicure e tutti i siti archeologici sono regolarmente aperti, tranne i musei, nei quale è in corso la verifica dello status di tutti i reperti”. Abdel Gabbar spiega come anche in passato l’Egitto ha dovuto affrontare situazioni problematiche negative per il settore turistico alle quali ha sempre saputo reagire, uscendone fortificato. Gli operatori hanno sempre dimostrato di credere in questa destinazione e continueranno a dare il loro supporto, affinché l’Egitto possa tornare al proprio ruolo di grande destinazione turistica, dal patrimonio unico e dal fascino incomparabile. “Esorto tutti – continua – a unire le nostre mani e i nostri cuori e a procedere fiduciosi verso un nuovo futuro di pace e prosperità”.

Fonte: Businesspeople.it

UN ALTRO DIVERTENTISSIMO POST DAL BLOG DI STEFANIA

Stefania ha scritto un altro post. E ancora una volta non posso fare altro che complimentarmi con lei per la sua ironia e per il suo modo di scrivere divertente e allegro pur parlando di cose concrete e reali! Grande Stefi!

Oggi parliamo dei turisti, i veri protagonisti della vita sharmese, coloro senza i quali oggi non saremmo qua a parlare di Sharm El Sheikh come una delle mete turistiche per eccellenza.

Non potendo menzionare tutte le nazionalita’ che vengono a visitare la nostra ridente cittadina, scrivero’ di 4 macro-categorie, quelle piu’ rilevanti.

GLI ITALIANI:

gli Italiani sono sempre i piu’ facili da riconoscere, i loro atteggiamenti stereotipati li accompagnano dalla notte dei tempi.

Ben vestiti e curati, si distinguono quasi sempre per il loro buon gusto, chiassosi a dismisura si fanno riconoscere ovunque, per strada, ai ristoranti, in discoteca. Il gesticolare li accompagna sempre soprattutto quando non parlano l’Inglese, quella lingua tanto sconosciuta quanto incomprensibile, rimasti uno dei pochi popoli insieme forse agli Spagnoli e ai Francesi a non volersi anglofonizzare.

Arrivati a Sharm, inizialmente si spostano in gruppo, infatti sono molto sensibili alle “finte informazioni” che vengono loro propinate in merito a Sharm, e all’Egitto in generale, dai tour operator che pur di non lasciarli muovere liberamente sarebbero in grado di inventarsi storie fantasmagoriche. Quando pero’ capiscono che era tutta una burla, che fuori dal Resort non ci sono gli uomini neri pronti a rapirli derubarli o a farli saltare in aria ecco che trovano il loro habitat naturale e si inseriscono perfettamente nell’atmosfera sharmese. Girano, comprano, contrattano, si sentono come a casa, anzi forse piu’ che a casa. Per questo molti di loro finiscono poi per investire in immobili, si trasferiscono per periodi brevi o lunghi, insomma entrano appieno nel ritmo della vita sharmese. Nonostante la pignoleria e la lamentela ad oltranza che caratterizzano la maggior parte di loro, i locali li amano, diciamo li amano abbastanza, li vedono come i cugini lontani simpatici e affabili, con cui scherzare e fare battute, per quanto pero’ con loro la contrattazione sia veramente dura. Infatti gli Italiani sono bravi, eccome se sono bravi, nel buttare giu’ i prezzi pur di risparmiare quei 20 pounds (neanche 3 Euro)  che in Italia non farebbero alcuna differenza ma qua la fanno. Infatti si sentono talmente a casa che non accettano di essere trattati come dei polli da spennare, anzi sono talmente bravi ad entrare nella parte che una volta Egizianizzati finiscono per essere loro quelli che spennano gli altri.

GLI INGLESI:

gli Inglesi sono tutta un’altra pasta, una pasta a volte appena uscita dal freezer. Con loro lo scherzo ci sta ma fino ad un certo punto, girano vestiti in modo non proprio fashion, impavidi, senza alcun timore dal primo momento che mettono piede a Sharm: loro sono i veri conquistatori e la storia lo dimostra. Credo che i tour operator Inglesi non tentino neanche di inculcare loro strane idee su Sharm e l’Egitto in generale, perche’ nulla puo’ fermare un Inglese. Anzi se sentira’ voci strane sara’ il primo a muoversi per verificare di persona.

A chiasso anche loro non scherzano, soprattutto dopo un paio di pinte di birra a cui non rinunciano quasi mai.

In occasione di feste o party, le ragazze Inglesi si vestono come a Londra ed e’ veramente facile riconoscerle, sono inconfondibili, vestiti vistosi, colori sgargianti, pettinature particolari, scarpe super alte che vengono automaticamente tolte a fine serata per una camminata a piedi scalzi nelle “pulitissime” strade di Naama Bay.

Che dire? Contente loro!

I RUSSI:

nella categoria Russi mi verrebbe da includere tutte quelle nazioni della ex Unione Sovietica ma non sarebbe corretto perche’ in fondo i Polacchi, i Cecoslovacchi e altre nazionalita’ dell’est che ho conosciuto si distinguevano leggermente da certa gente di Mosca o della steppa Russa, quindi diciamo che nella categoria Russi includero’ Russia, Ucraina e qualche altro Paese limitrofo.

I Russi sono speciali, se non ci fossero bisognerebbe inventarli.

Girano, anzi meglio dire vagano e nella maggior parte dei casi non sanno manco dove stanno andando. Il piu’ delle volte quando cammino per strada e mi scontro con qualcuno e’ Russo / Russa: guardano per aria, a destra a sinistra ma mai davanti, ammirano la citta’ come Alice nel Paese delle meraviglie. Vestiti alla bene e meglio talvolta ricordano un film degli anni ’70, per poi pero’ accompagnarsi con ragazze che ricordano modelle dei giorni nostri. Io personalmente non parlo Russo ma amo il loro accento e l’intonazione della voce, una via di mezzo tra un cavernicolo e Hitler. A volte c’e’ da avere paura..ma quando si tratta di donne qui non si sta molto a badare allo spelling o al tono di voce, diciamo che meno parlano meglio e’.

Il tono aggressivo si accompagna con un atteggiamento altrettanto aggressivo, loro si’ che si sentono i veri padroni di Sharm e dintorni. Peccato che la maggior parte dei Russi che frequenta Sharm arrivi dalle campagne Russe / Ucraine e quindi mi verrebbe da dire: ieri con la zappa nella steppa desolata e oggi al Coral per 200 dollari? ‘nnnnnaaaaaaa

Accanto ai campagnoli abbiamo anche le Russe “arrivate”, le signorine che hanno fatto ricchezza a Mosca e dintorni, chissa’ come?! in questo caso l’aggressivita’ fa parte del loro status per cui piu’ e’ elevato piu’ trattano gli altri da essere inferiori, un po’ come succedeva negli anni ’80 con i nuovi ricchi, dopo di che il mondo si e’ evoluto senza passare per la Russia.

Come sempre, pero’, ad ogni azione segue una reazione per cui il risultato e’ che non sono molto amati, o meglio molte di loro vengono amate solo nei letti, ma l’opinione dei locali e’ molto dura nei confronti dei Ruzzi (o rozzi). Si potrebbe definire un odio a prima vista.

GLI ARABI:

il turista Arabo, soprattutto quello ricco, e’ una vera gatta da pelare: pretende perche’ paga e paga per pretendere, possibilmente la luna.

Tratta i locali come essere inferiori, soprattutto se Egiziani, considerandoli persone completamente al suo servizio, e se vuole qualcosa, qualunque cosa, la deve avere. Dato che parla anche la stessa lingua a volte si abbassa a dare ordini personalmente, inconsapevole del fatto che qua e’ una vera mission impossible, potra’ ottenere forse qualcosina ma ottenere cio’ che desidera richiedera’ una dura dose di pazienza. Il perche’ e’ molto semplice: l’Arabo urla, l’Egiziano si impunta. Ma visto che anche a Sharm vige la legge che il cliente ha sempre ragione, alla fine anche l’Egiziano si assoggetta, soprattutto se e’ costretto a farlo davanti ad una bella banconota da 100 dollari. E’ questo il giochetto, l’Arabo lo sa e lo sa anche l’Egiziano, quindi l’ostilita’ iniziale fa parte della farsa. Chiamali stupidi!

Vestiti super firmati, a volte riescono in accostamenti impensabili che farebbero inorridire Gucci e compagnia bella, ma diciamo che spesso la sostanza, in questo caso la firma, per loro vale molto piu’ dell’apparenza, per cui l’importante siano marcati Gucci, Armani e Dolce Gabbana, per imparare gli abbinamenti c’e’ sempre tempo.

Spesso e volentieri arrivano con mogli incappucciate, ma accade anche che gruppi di ragazze si mostrino in tutta la loro bellezza finalmente lontane dalle forti imposizioni che i loro Paesi dettano loro ogni giorno. Ma Arabe sono e Arabe rimangono, pronte a coprire i vistosi vestiti firmati appena varcano l’entrata dell’aeroporto.

Tutto sommato sono i piu’ inoffensivi, quando vengono in visita portano molto denaro e ben poco danno, per questo gli Egiziani li sopportano pazientemente e arrivano a farseli anche amici, speranzosi di ottenerne un qualche vantaggio economico.

Link al blog TUTTIPAZZIPERSHARM

PANE AL PANE E VINO AL VINO!

Una grande! Ecco il post di un blog scritto da una donna italiana naturalizzata  israeliana, Deborah Fait, che senza mandarla a dire da nessuno, ci da la sua visione della faccenda Mubarak vista da Israele. E personalmente credo abbia ragione da vendere!!!

Scusatemi se rido sull’Egitto, in realtà non rido proprio su quello che è accaduto, non mi permetterei mai,  ma su uno dei corrispondenti della RAI dal Cairo, Mark Innaro.
Rido perché quando appare il suo viso sullo schermo della televisione, lui è là biondo, sorridente, felice e sereno come se raccontasse la fiaba di Cenerentola invece della tragedia che si è svolta sotto gli occhi di tutti.

C’è pericolo? gli chiedono dalla sede RAI e lui “Nooo, nessun pericolo” e sorride.

Possono esserci altri morti? “Nooo” e sorride

Cosa sta succedendo adesso? “Ci sono persino squadre di volontari che scopano le strade” e sorride… mentre dietro a lui vediamo egiziani incerottati e urlanti.

I Fratelli Musulmani possono prendere il potere? “nooo” e sorride.

Non sorrideva tanto quando era all’interno della Basilica di Betlemme e ci raccontava quanto fossero buoni i palestinesi che al suo interno distruggevano la Chiesa dissacrandola. Non sorrideva perché doveva far capire di essere tanto preoccupato non per i buoni che facevano i loro bisogni corporali nelle acquasantiere ma per i cattivi israeliani che fuori dalla Basilica aspettavano pazientemente che finisse lo scempio.

Torniamo  alla rivolta egiziana,  rivolta che ha fatto un centinaio di morti e che,  alla fine, sta facendo morire anche Mubarak che le ultime notizie dicono sia in coma.

Intendiamoci non mi è simpatico Mubarak, mai stato una persona simpatica ma, da israeliana, non posso non pensare che se il mio paese non è più stato aggredito da guerre di tutti i paesi arabi lo devo a lui. Se Mubarak non avesse mantenuto le promesse di pace  di Sadat e ci avesse attaccati, lo avrebbero fatto anche Giordania e Siria, come sempre.

E’ stato lui a tenerli fermi e buoni e la sua autorità era indiscussa.

Adesso è caduto il Faraone e Israele è sul chivalà perché nessuno può sapere cosa accadrà domani o dopodomani dal momento che  nessuna rivolta, soprattutto senza un leader come è stata questa, inizia e finisce così, come per miracolo, priva di strascichi molesti e pericolosi.

Un’altra cosa mi infastidisce, oltre alla rubiconda felicità di Innaro, e sono i commenti dei leader europei e delle piazze di quella povera vecchia Europa. Tutti addosso a Mubarak… era un dittatore… ha affamato il popolo… non ha dato spazio alla democrazia…

Ma se ne sono accorti adesso che è caduto nella polvere?

Prima? Cosa facevano prima questi coraggiosissimi? Non andavano a parlare con lui? non lo omaggiavano? non gli rendevano onori?

A parte Israele che doveva parlare con lui praticamente ogni giorno per evidenti motivi, a me risulta di aver visto al suo fianco, sorridenti, i vari Hussein Obama, Angela Merkel, Sarkozi, i premier inglesi di questi ultimi 30 anni, i capi europei di questi ultimi 30 anni, e le piazze europee di questi ultimi 30 anni  non hanno mai obiettato, anzi, appena potevano andavano a vedere le Piramidi seduti  ballonzolanti sui cammelli e a prendere il sole a Sharm.

Che Mubarak fosse un dittatore non fregava niente a nessuno, che gli egiziani non avessero la democrazia non fregava niente a nessuno e che patissero la fame meno ancora. Adesso invece sono tutti addosso a quest’uomo finito, come jene sui cadaveri, che urlano “giustizia per gli egiziani!”

Sarò una sciocca ingenua ma tutto questo mi sa di macabro e trovo che sia anche molto ipocrita quello che scrivono i media stranieri contro Berlusconi “E’ l’unico leader che non si felicita per la caduta del raiss”. Può darsi e può darsi che sia proprio il meno ipocrita.

Ragazzi, non sono mica passati tanti mesi da quando Obama è andato ad abbracciare Mubarak facendo giurin giurello sulla sua amicizia per lui e tutto il mondo arabo!

E caspita! Siamo giusti!

Eppure, non appena l’esercito ha incominciato il golpe ecco che lo stesso Obama si mette a urlare

“Fuori Mubarak, in esilio immediatamente”

a niente sono valse le raccomandazioni più prudenti della Clinton:

“Presidente, forse è meglio fare le cose con calma, è più sicuro”

Niente!

Lui, pulendosi la bocca dalle briciole delle ultime tartine mangiate insieme al presidente egiziano, continua a intimare:

“Nooo, fuori Mubarak, in esilio, subitooo”.

Si, è vero che in politica non esistono amici ma un voltafaccia così veloce e un tantinello cattivo non fa una buona impressione.

Quello che accadrà in Egitto nessuno lo sa. L’esercito al potere non fa sperar bene e mi sembra anche difficile che la Fratellanza Musulmana non approfitti di questa confusione, che Mark Innaro racconta con tanta serenità, per non aprirsi un varco verso le poltrone che contano.

Ho incominciato ridendo e finisco tristemente citando un pezzo di una articolo di Vittorio Arrigoni, non quello della marmellata, quello che vive in pianta stabile a Gaza, innamorato di hamas e che finisce tutti i suoi scritti demenziali con la frase “restiamo umani”.

Bene costui scrive:

«Sotto l’effetto dell’ipnosi collettiva dell’intifada egiziana che al-Jazeera instancabilmente proietta da giorni in tutti i caffè della Striscia assediata, ho sognato ad occhi aperti sei milioni di arabi nella Palestina storica, marciare all’unisono compatti e pacifici verso una Gerusalemme liberata, per riprendersi i diritti umani violati da un Mubarak che parla ebraico.»

Non volevo citarlo perché non mi piace fare pubblicità a simili personaggi ma, innanzitutto, egoisticamente, non voglio essere la sola ad avere mal di fegato e poi  è giusto che tutti sappiano fino a che punto di odio e ignoranza arrivi certa gente. Sappiate che Arrigoni non è unico, ha un bel numero di discepoli che pendono dalle sue labbra e che si asciugano, come fa lui, le bave dell’odio che provano per Israele.

Per questi personaggi squallidi “restare umani” significa proteggere le belve di hamas, amarle e se la popolazione di Gaza viene derubata di ogni ben di Dio da quelle belve immonde dei loro capi, ai “restiamo umani” non gliene importa niente.

L’unico loro desiderio è che possano un giorno distruggere l’odiato stato sionista.

Ma credo proprio che resteranno delusi e si soffocheranno col loro stesso odio. L’esistenza della democrazia israeliana è la dimostrazione che l’unica stabilità sicura in un Medio Oriente stracolmo di dittature è proprio il tanto odiato, disprezzato e criticato Israele.

Ricordate amici che le solite piazze della povera Eurabia, coi loro media infamanti, gridavano che Israele è l’unico pericolo per la “pace nel mondo”.

Lo vediamo no? Rivolte, sangue, morti, dall’Algeria allo Yemen, passando per Giordania e Siria, e Israele nel mezzo, isola di libertà circondata da mostri sanguinari, che vive la sua democrazia lavorando, vivendo e sperando di potere un giorno avere anche la pace.

Chi è Deborah Fait, l’autrice di questo pezzo

Il blog sionista di Deborah Fait: leggilo, è interessante!

MA IN EGITTO E’ VERAMENTE CAMBIATO QUALCOSA???

In questi giorni sto leggendo decine e decine di articoli sulla situazione politica egiziana.

Sebbene questo blog si prefigga di non parlare di politica, oggi come oggi parlare di Egitto senza parlare di politica sarebbe un pochino come parlare di dolci pretendendo di non nominare lo zucchero.

La mia decisione quindi è quella di segnalarvi gli articoli che ritengo più interessanti, più equilibrati e meno di parte!

Oggi ho trovato un bellissimo articolo sulla rivista Eurasia, che assieme a Limes reputo rivista seria ed equilibrata, scritta da persone che sanno analizzare la storia e la politica senza farsi trascinare in faziosità.

Ecco quindi il sunto dell’articolo (molto lungo e impegnativo!) Lascio a voi la decisione se leggervelo con calma tutto o lasciare perdere. Personalmente l’ho trovato molto chiaro e dettagliato e la teoria della Turchia….. beh, non mi pare poi tanto campata in aria.

In Egitto non si è, almeno per ora, assistito ad una rivoluzione, bensì ad un colpo di Stato militare. La deposizione di Mubarak non ha indebolito, bensì rafforzato il regime. Gli USA non sono usciti sconfitti, perché hanno giocato su più tavoli, sostenendo tutte le forze in campo in Egitto. O quasi. L’incognita dei Fratelli Musulmani e lo “scenario turco”.


Leggi l’intero articolo su Eurasia

 

PER TUTTO FEBBRAIO TORNEI DI TEXAS AL CORAL BAY

Per tutte le sere di febbraio, alle 21:00 (22:00 Coral Time) si svolgerà un torneo di Texas Holdem!!

Aperto anche ai principianti. Buy in comprensivo di cocktail 60 euro

Per chi a Sharm ci vive, per chi ci viene in vacanza, per tutti quelli che amano questo affascinante gioco!

POCO ALLA VOLTA L’EGITTO TORNA ALLA NORMALITA’

La casa automobilistica giapponese Nissan Motor Co. ha riavviato la produzione nel suo stabilimento in Egitto, chiuso per due settimane in seguito alle rivolte popolari culminate venerdì con le dimissioni di Hosni Mubarak. Lo riferisce oggi un portavoce della compagnia, precisando che da ieri è stato riattivato il piccolo impianto vicino a Giza, chiuso il 30 gennaio scorso.

”L’impianto era stato chiuso per i timori circa la sicurezza dei nostri lavoratori – ha spiegato Mitsuru Yonekawa -. Non abbiamo ricevuto proteste o subito danni”. L’impianto produce 10mila veicoli l’anno.

QUANDO L’INFORMAZIONE E’ DISINFORMAZIONE

 

Attenzione a quello che ci ficcano nella testa TV e giornali!

Vagolando nel web in questi giorni ne ho lette veramente di tutti i colori!
In confronto quello che avevo letto sullo squalo sembra un esercizio da bambini di prima elementare!
Questa volta la palma della disinformazione la assegno a un sito italiano, www.unmondoditaliani.com che a mio parere dovrebbe essere chiuso, anche solo per quello che ha avuto il coraggio di scrivere in questa pagina! Mi rifiuto di gironzolare sul loro sito perchè credo mi verrebbe il voltastomaco!

Agenzia Stampa, Casa Editrice, Giornale Quotidiano Internazionale, con sede a Bojano, a Roma (via Zanardelli, 36) e a Viedma, in Patagonia, già autorizzato nel 2006 dal Tribunale di Campobasso N.2/96, come edizione on line de “LA VOCE DEL POPOLO” e nel 2010 come e-magazine indipendente. Diretto da Mina Cappussi

Ecco quello che hanno avuto il coraggio di scrivere sulla loro “prestigiosa” pagina, spacciando il tutto come ESCLUSIVA!!!!!

Secondo l’agenzia USA del turismo, circa 32.000 americani sono attualmente in vacanza in località egiziana (sta parlando di Sharm el Sheikh!!!! NDR), molti di loro hanno subito furti e percosse e in alcuni casi si parla anche di violenze sessuali su cittadine americane, ma anche fonti russe parlano di violenze sessuali su donne sovietiche.

Se questa è informazione, beh, meglio morire ignoranti e disinformati!
Attenzione a quello che infilano nella zucca TV e giornali!!

UNA FOTO AL GIORNO

Natale a Sharm el Sheikh

IL TURISMO DEVE RIPRENDERE, E’ FONDAMENTALE PER L’ECONOMIA!

Quanto tempo può resistere l’economia egiziana senza turisti? Le piramidi di Giza sono vuote da 18 giorni, da quando sono iniziate le proteste e i commercianti di souvenirs incassano il duro colpo.

“I turisti europei hanno paura di visitare un paese dove è in corso un conflitto – dice un venditore – il settore del turismo è il più danneggiato a causa delle proteste o manifestazioni, poco importa come le chiamiamo.”

Il turismo è un pilastro dell’economia egiziana per la quale diventa difficile privarsi di questa fonte

di ricchezza che rappresenta tra il 5% e l’11% del PIL del Paese.

Un mese prima dell’esplosione delle manifestazioni di massa contro il presidente Hosni Mubarak, l’Egitto era collocato appena dietro il Qatar nella classifica delle aspettative di crescita della regione.

Attualmente se la situazione perdura, le previsioni saranno riviste al ribasso: gli analisti prevedono una crescita compresa appena tra l’1% e il 2% rispetto al 5,4% atteso per quest’anno.

Il valore dell’economia egiziana nel 2010 è stato stimato pari a 160 miliardi di euro, la metà di quella dell’Arabia Saudita, gigante petrolifero. A parte il turismo, la ricchezza dell’Egitto si basa sul denaro che proviene dal Canale di Suez, dagli egiziani emigrati in altri paesi e dagli investimenti esteri.

D’altra parte il Paese deve affrontare sfide enormi.

Il tasso di disoccupazione, ufficialmente al 10%, potrebbe essere molto più alto, l’inflazione si colloca al 10% , ma il salario minimo è di 50 euro al mese. Il dato più grave è la povertà: il 40% di Egiziani su un totale di 85 milioni vive con meno di 1,5 euro al giorno.

Ad aggravare la situazione in questi giorni anche lo sciopero di migliaia di operai delle imprese pubbliche della zona del Canale di Suez, incoraggiati dalle proteste contro Mubarak. Chiedono migliori condizioni di lavoro. Le proteste non dovrebbero, tuttavia, incidere sul transito dal Canale. Il volume d’affari di questo misuratore del commercio mondiale a gennaio è comunque sceso dell’1,6% rispetto a dicembre.

OGGI, LUNEDI’ ORE 23,50 RAITRE: HOSNI MUBARAK

Questa sera, alle 23,50 su RaiTre, alla trasmissione Correva l’Anno di Paolo Mieli, la vita e la carriera del ex presidente egiziano.

Un programma da non perdere per tutti coloro che amano l’Egitto e vogliono capire il vero valore di un uomo costretto a lasciare la guida di una nazione dopo 30 anni di presidenza.

Meriti e difetti di Hosni Mubarak, non perdertelo!

L’ULTIMO ATTO DEL PRESIDENTE

di LORENZO BIANCHI per Quotidiano.net

Lo storico momento in cui Mubarak annuncia le sue dimissioni

Un aereo e un elicottero atterrano a Sharm el-Sheik cinque minuti dopo le tre del pomeriggio. Una motovedetta sorveglia dal mare la spiaggia della villa di Mubarak. Il presidente si ritira nell’amata Sharm el-Sheik, da anni il suo rifugio preferito. Tre auto caricano una montagna di valigie. Con il presidente che si è appena dimesso c’è, per il momento, solo l’alto ufficiale dell’esercito che lo aveva accompagnato all’aeroporto militare di Madha, a pochi chilometri dalla capitale. La famiglia dovrebbe raggiungerlo. La Svizzera si è affrettata a congelare i suoi beni. Secondo Localnews, un sito degli Emirati Arabi Uniti, il presidente egiziano è atteso ad Abu Dhabi. L’autore dell’articolo sostiene che la previsione sarebbe avvalorata da manovre navali congiunte delle rispettive marine che sono cominciate martedì.
Sono gli ultimi fotogrammi di 30 anni al potere, fra virate improvvise e un solido attaccamento al bastone del comando. Hosni Mubarak è originario dell’Egitto profondo. Il presidente dell’Egitto viene alla luce il 4 maggio 1928 nel villaggio di Kafr el-Musilha, nel Delta del Nilo. Il padre è un funzionario di basso rango del ministero della giustizia. Hosni ha quattro fratelli. Nel 1950 viene ammesso all’Accademia Aeronautica che lo assegna allo “squadrone bombardieri”. Nasser gli dà l’incarico di ricostruire l’aviazione militare distrutta dagli israeliani nel conflitto dei sei giorni (1967). Nella guerra dello Yom Kippur del 1973 l’Egitto coglie di sorpresa gli israeliani e occupa addirittura la sponda orientale del Canale di Suez. Mubarak diventa maresciallo dell’aria e vicepresidente dell’Egitto nel 1978. Quando Anwar el-Sadat viene ucciso da un ufficiale integralista che non gli perdonava la pace con Israele, il 6 ottobre del 1981, è l’uomo forte del Paese e diventa presidente. Da allora è in vigore una legge di emergenza che permette al capo dello stato un controllo ferreo sui mass media e processi segreti ai dissidenti politici. Mubarak viene rieletto nel 1987, nel 1993, nel 1999 e nel 2005 con percentuali bulgare. Nell’ultima consultazione sfiora l’88 per cento dei suffragi. Nel 1991 invia 45 mila soldati a sostenere l’operazione Desert Storm, la grande alleanza guidata dagli americani che scaccia gli iracheni dal Kuwait. Fonti diplomatiche attribuiscono alla sua influenza il progressivo ammorbidimento del leader palestinese Yasser Arafat che portò agli accordi di Oslo del 1993. Il presidente egiziano è da anni il bastione occidentale in Medio Oriente, anche se nel 2003 ha criticato apertamente l’invasione dell’Iraq. Sotto la sua guida l’Egitto diventa, di fatto, uno dei mediatori cruciali del processo di pace fra israeliani e palestinesi (e anche fra gli integralisti di Hamas al potere a Gaza e i moderati laici di Al Fatah che governano la Cisgiordania). Dal 2009 affiorano i segni più gravi di flessione del suo consenso politico e di crisi economica. Il 9 marzo 2010 ritorna in patria Mohammed el-Baradei, ex direttore dell’agenzia atomica dell ’Onu. Migliaia di connazionali in tripudio lo accolgono all’aeroporto come un eroe .
Il 27 marzo il Rais viene operato alla cistifellea in Germania. Nelle elezioni parlamentari di novembre i partiti di opposizione si fermano al 3 per cento. L’ennesima, eccessiva, esibizione di forza. Si rincorrono accuse di brogli e di violenze preventive. Nella notte di Capodanno un commando di Al Qaeda fa strage di copti ad Alessandria d’Egitto. Le turbolente manifestazioni di protesta dei cristiani sono un inascoltato campanello di allarme. Le mani del Rais sul timone del Paese di colpo si rivelano meno ferree di quello che si credesse.

11.02.2011 LE DIMISSIONI DI MUBARAK: una data che entrerà nella storia

L'ORMAI EX PRESIDENTE EGIZIANO HOSNI MUBARAK

Nonostante questo blog non si occupi di politica, le dimissioni di Mubarak, dopo 30 anni di potere incontrastato non possono passsare sotto silenzio.

Ma il web, i giornali e chiunque abbia una bocca, oggi non parla di altro qui in Egitto e in buona parte del mondo.

Mi piace tuttavia centrare l’attenzione su una cosa che non ho ancora notato su nessun giornale: le dimissioni di Mubark sono avvenute il 11.02.2011 numero palindromo, ossia leggibile tanto da destra quanto da sinistra. Sicuramente i Maya o Nostradamus o qualche altro profeta o veggente avranno citato questa data come un momento fondamentale del nostro mondo

Personalmente ritengo le dimissioni di Mubarak un evento fondamentale nella nostra vita. Un giorno dal quale potranno avere origini grandi cambiamenti, una data fondamentale nella storia dei paesi arabi, ma in un mondo globalizzato anche nella storia della civiltà occidentale. L’Egitto fino ad oggi è stato un paese determinante nello scacchiere internazionale, l’Egitto controlla buona parte del trasporto di greggio a livello mondiale, gestendo il canale di Suez, l’Egitto è il paese moderato che è incuneato, non solo fisicamente, tra l’occidente e i paesi islamici.

Possiamo pensare quello che vogliamo sulle dimissioni di Mubarak, ma sicuramente le sue dimissioni rappresentano la fine di un periodo di relativa stabilità a livello mondiale. Auguriamoci tutti che chi andrà al potere nel paese delle piramidi, sappia prendere quanto di buono questo presidente ha fatto per la stabilità mondiale, evitando che l’Egitto venisse trascinato in sanguinose guerre e pericolose prese di posizione.

A questo proposito penso sia questo che il presidente Obama ha voluto intendere commentando le dimissioni di Mubarak:

Washington, 11 feb. (Adnkronos) – Le dimissioni di Hosny Mubarak ”non rappresentano la fine della transizione in Egitto, ma solamente l’inizio”. Lo ha affermato il Presidente americano, Barak Obama, sottolineando tuttavia che ”l’Egitto non è più lo stesso perchè a esprimersi sono stati gli egiziani”. ”Ci sono pochissimi momenti nella nostra vita in cui abbiamo il privilegio di assistere alla storia che si attua, questo è uno di questi momenti”, ha dichiarato Obama. ”Rassegnando le sue dimissioni, Mubarak ha risposto alla fame di cambiamento”, ha aggiunto, precisando che, se da un lato ”ci sono ancora molte domande senza risposta, ma sono fiducioso che gli egiziani sapranno trovarle”.

ALLARME DEL WWF SULLA SITUAZIONE DEL MEDITERRANEO!

Courtesy of spassolandia.netLe scoperte di giacimenti colossali di gas sui fondali profondi del Mediterraneo hanno scatenato una caccia al tesoro che rischia di danneggiare inevitabilmente ambienti unici per la biodiversità marina, protetti in base a convenzioni internazionali.

La più recente, quella del giacimento “Leviatano” (il più grande del mondo) a 135 km al largo della costa di Israele, è avvenuta in acque cosiddette profonde e su fondali dalle caratteristiche uniche. Lo stesso si puo’ dire dei giacimenti di gas trovati nelle acque antistanti il Delta del Nilo, a 80 km a nord-ovest di Alessandria.
In queste due aree vivono comunità di spugne di acque profonde, vermi, molluschi e coralli di acqua fredda. Per questo motivo,  nel Mare di Levante dove è situato il primo giacimento, vige una limitazione della pesca a strascico sotto i 1000 metri di profondità proprio per proteggere le specie di acque profonde. Esistono anche due aree dove la pesca e vietata per gli stessi motivi.
Nella zona antistante il Delta del Nilo prospera  una comunità biologica la cui sopravvivenza dipende proprio dalle strutture che si sono nel tempo formate in funzione delle esalazioni dei gas dal fondo del mare e per questo motivo definite “aree del mediterraneo specialmente protette dalla Convenzione di Barcellona” (ASPIM).

Il WWF, anche alla luce delle richieste della Strategia Marina promossa dalla Comunità Europea (MSFD), chiede agli Stati del Mediterraneo orientale – in particolare a Cipro, Egitto, Israele e Libano – di garantire i più alti standard ambientali negli sviluppi attuali e futuri nella perforazione dei fondali marini per gas e petrolio in Mediterraneo orientale. Si chiede che vengano effettuate con urgenza Valutazioni di impatto ambientale (VIA) e si agisca  coerentemente ai risultati delle medesime anche perché le comunità che proliferano sui fondali di acque profonde impiegherebbero alcuni millenni per ricostituirsi.

Diversi accordi obbligano i paesi a passare attraverso il sistema VIA prima di esplorare e trivellare alla ricerca di gas e petrolio in acque “offshore”:  il più recente protocollo è quello per la protezione del Mar Mediterraneo dall’inquinamento derivante dall’esplorazione e dallo sfruttamento della piattaforma continentale, del fondo marino e del suo sottosuolo ‘, entrato in vigore nel dicembre 2010.  Questo stabilisce che qualsiasi potenziale attività di sfruttamento di acque profonde, tra cui anche le prospezioni – debbano essere soggette ad autorizzazione sulla base di una approfondita VIA.

“I fondali marini in Mediterraneo brulicano di vita, specie uniche, endemiche del nostro mare. Non possiamo permettere che prospezioni ‘alla cieca’ provochino danni irreversibili alla biodiversità delle acque profonde”, dichiara Marco Costantini, responsabile del Programma Mare del WWF Italia. “Questi ecosistemi marini esistono solo nel nostro mare, sono fragili e vulnerabili ad ogni interferenza con le attività umane, si sono evoluti in una condizione stabile dove la scarsa disponibilità energetica ha condotto alla nascita di ecosistemi particolarmente rari”

TI PIACE IL BURRACO? TI PIACE IL MAR ROSSO?

Vista la situazione generale egiziana,
credo sia opportuno chiedere conferma direttamente agli organizzatori

In data 6-13 marzo è previsto un torneo anche a Port Ghalib
Eugenio Parisi cell. 339-8670913

DIFFIDA PUBBLICA A LA NUOVA FERRARA

Ancora una volta “La Nuova Ferrara” ha dato spazio e visibilità a Paolo Fogli.

Dato che al momento stiamo valutando di adire a vie legali nei confronti di Paolo Fogli mi limito a riportare integralmente le ultime deliranti dichiarazioni di questo assurdo personaggio, il quale senza apparente motivo, si sta prodigando per mettere in cattiva luce il Sinai e la zona di Sharm el Sheikh. Evidentemente è una sua rivalsa nei confronti di chi lo allontanato giustamente dall’hotel in cui lavorava (il flirt di cui parla in Italia è classificato come atti osceni in luogo pubblico dato che faceva sesso in mezzo a un campo da tennis!!)

Nonostante decine e decine di mail provenienti da lettori di questo blog, La Nuova Ferrara prosegue nella pubblicazione dei deliri di Paolo Fogli, mentre si guarda bene dal pubblicare le numerose smentite e precisazioni fatte da chi a Sharm ci vive!

Invito pertanto la redazione del “giornale” a trovare una sola immagine di carro armato a Sharm, e la diffido pubblicamente dal continuare a pubblicare notizie atte a far apparire Sharm come una zona in cui ci sono disordini e sommosse.

«Così mi hanno cacciato» MESOLA. L’animatore di Mesola, il 32enne Paolo Fogli, domenica scorsa è rientrato in Italia. Un volo della Swissair lo ha condotto da Ginevra (dove era giunto da Sharm El Skeik con la compagna Easy Jet) a Venezia (via Zurigo). La Nuova lunedì lo ha incontrato a casa di amici che lo stanno ospitando a Rivà (Rovigo). Per chiedergli, finalmente, a tu per tu, cosa è accaduto in questa, per certi versi, terribile avventura egiziana. E Fogli ci ha risposto a cuore aperto.  Paolo, ora sei a casa. Un’altra aria, non è vero? «Assolutamente. E’ finito un incubo. Ma devo ringraziare prima di tutto alcune persone».  Chi? «Intanto l’amica Chiara (Vianello; ndr) che mi è stata vicina aiutandomi soprattutto per il ritorno in Italia. Poi gli amici di Mesola, che hanno fatto una cosa straordinaria e che non dimenticherò mai: una colletta di diverse centinaia di euro che sono stati poi girati a Chiara e che mi hanno consentito di comprare il biglietto aereo».  Dobbiamo affrontare, però, anche un tema… spigoloso. In questi giorni in redazione sono arrivate molte dichiarazioni che mettevano in dubbio quanto da te riferito alla Nuova nelle nostre telefonate. Qualcuno addirittura è arrivato ad insultarti. Cosa rispondi? «So benissimo perchè questo è avvenuto. Sono nel “ramo” da diverso tempo. Si tratta di persone che vivono e/o lavorano a Sharm, e che pensano che le mie dichiarazioni ora facciano ulteriormente diminuire il turismo da quelle parti. Ma io ho raccontato la mia storia, non quella di altri! E tengo a precisare, per rispetto nei confronti di tutti, che io sottoscrivo punto per punto l’intervista rilasciata alla Nuova. Io in quella intervista parlavo di me; di quello che accadeva in Egitto non ero perfettamente al corrente. E a Sharm non avevo preoccupazioni di questo tipo, cioè di sicurezza personale».

Perchè sei stato allontanato dall’hotel-villaggio dove lavoravi a Sharm? «Perchè ho avuto una “storia” (un flirt; ndr) con una ragazza ucraina, e sono stato scoperto. Il codice dell’animatore vieta questo tipo di cose».  Poi, cosa è successo? «Visto che era la prima volta che mi accadeva di cadere in questo errore, mi hanno detto che sarei stato trasferito in un altro albergo. Una sorta di punizione, diciamo».  E dopo? «E dopo è successo il fattaccio!».  Cioè? «Cioè che l’altro albergo era al completo e non aveva bisogno di animatori. Così ci siamo, io ed un collega di 20 anni di Genova, trovati in mezzo alla strada. Abbiamo dormito in giacigli di fortuna, mangiato qualche volta perchè alcuni amici cuochi degli altri villaggi ci facevano arrivare sacchetti con cose da mangiare».  Ma allora perchè qualcuno si permette di dire che questo non è vero? «Per due motivi: il primo è che forse realmente qualcuno queste brutte avventure toccate a me non le ha vissute; il secondo è che chi lavora in Egitto crede che io voglia… sputtanare l’Egitto. Ma non è assolutamente così».  Tornerai a Sharm? «Forse. Sicuramente tornerò in Egitto. E Sharm è un posto meraviglioso in cui andare in vacanza».

Ti aspettiamo con ansia Paolo Foglio! Faccelo sapere che veniamo a prenderti in aeroporto direttamente!!!

CHI E’ HOSNI MUBARAK

In questo blog ho stabilito di non occuparmi ne di politica ne di religione.
Tuttavia, visto che la cronaca di ogni giorno ci parla del presidente Mubarak, ritengo utile riportare questo breve articolo della Rai che spiega chi è e da dove viene il presidente egiziano

Mubarak, ascesa e caduta dell'ultimo faraone

IL CAIRO – Il presidente egiziano Hosni Mubarak, nato a Kafr el-Musilha nel 1928, è in carica da circa trent’anni: a partire dal 14 ottobre 1981. È il quarto presidente della Repubblica d’Egitto, incarico a cui è arrivato da vicepresidente dopo una brillante carriera militare nell’aeronautica egiziana, nella quale si distinse come generale durante la guerra del Kippur nel 1973. Assunse la presidenza succedendo a Anwar al-Sādāt, a seguito dell’assassinio di questi il 6 ottobre 1981. In quanto presidente dell’Egitto è considerato uno dei più potenti leader della regione vicino-orientale. Grazie alla Costituzione del 1971, Mubārak ha esercitato un forte controllo sul Paese.

LA CARRIERA MILITARE. Mubārak è nato nel governatorato egiziano di al-Manūfiyya. Dopo aver completato le scuole superiori, entrò nell’Accademia Militare Egiziana, dove ricevette il diploma in Scienze Militari nel 1949. Nel 1950 entrò nell’Accademia Aeronautica e alla fine conseguì un Diploma in Scienze Aeronautiche e fu assegnato agli Squadroni Bombardieri. Parte del suo addestramento da pilota che egli completò fu da lui ricevuto nella Scuola sovietica di Addestramento Piloti di Frunze (dal 1991 Bishkek), nella Repubblica Sovietica del Kyrgyzstan. Nella sua progressione militare di comando fu dapprima pilota, quindi istruttore, comandante di Squadrone Aereo e comandante di Base Aeronautica. Nel 1964 fu nominato capo della Delegazione Militare Egiziana in URSS. Negli anni 1967-1972, durante la Guerra d’Attrito fra Egitto e Israele, voluta da Jamāl Abd al-Nāṣir, Mubārak fu nominato Direttore dell’Accademia Aeronautica e Capo di Stato Maggiore delle Forze Aeree Egiziane. Nel 1972 divenne Comandante delle Forze Aeree Egiziane e vice-Ministro della Guerra. Nell’ottobre 1973, in seguito alla “Guerra d’Ottobre”, conosciuta anche come guerra del Kippur o guerra del Ramadan, Mubārak fu promosso al rango di Maresciallo dell’Aria.

LA NOMINA A VICEPRESIDENTE DOPO LA GUERRA DEL KIPPUR. Nell’aprile 1975 fu nominato vice-presidente dell’Egitto e, nel 1978, fu scelto come vice-presidente del Partito Nazionale Democratico (NDP). A seguito dell’assassinio del Presidente Anwar al-Sādāt da parte di fondamentalisti nel 1981, Mubārak diventò Presidente della Repubblica Araba d’Egitto e Presidente del Partito Democratico Nazionale (NDP). Mubārak è sfuggito a non meno di sei tentativi di omicidio.

IL RIENTRO DELL’EGITTO NELLA LEGA ARABA. L’Egitto è stato l’unico paese nella storia della Lega Araba a essere sospeso a causa della politica del Presidente al-Sādāt, che firmò un Trattato di pace con Israele, e che però fu riammesso nella Lega – otto anni dopo l’assassinio di Sādāt (6 ottobre 1981) – nel 1989, sotto la Presidenza Mubārak. La sede principale della Lega è stata ricollocata nel medesimo complesso di edifici al Cairo. Tuttavia Mubārak cominciò a perdere sostegni a metà degli anni ’90. La crisi economica dei primi anni ’90 fu imponente. Secondo l’indice che valuta l’attenzione garantita ai diritti umani, l’Egitto occupa il 119esimo posto su 177 nazioni e viene valutato con un indice di 0,659 su 1.

LE INCHIESTE SULLA CORRUZIONE CONTRO I FIGLI. Un duro colpo alla credibilità di Mubārak intervenne allorquando circolarono notizie sul fatto che suo figlio ‘Alā’ era stato favorito dal governo nei processi di privatizzazione avviati dal padre. L’organizzazione Transparency International (TI), che si occupa di valutare tra l’altro l’indice di corruzione politica di un Paese, colloca l’Egitto al 70esimo posto su 159 nazioni. Timori di una dittatura familiare. Oltre alle voci sul favoritismo che avrebbe avvantaggiato suo figlio Alā prima del suo defilarsi intorno all’anno 2000, un elemento di forte inquietudine è quello che deriva dall’ambizione politica dell’altro figlio di Mubārak, Jamāl, la cui ascesa all’interno del Partito Nazional Democratico si è accompagnata all’ingresso di una generazione di neo-liberisti, passo preliminare per il successivo ingresso nel governo. Voci sempre più insistenti parlano di una successione in pectore di Jamāl alla presidenza della Repubblica, secondo una tradizione nepotistica che spesso in Egitto ha avuto modo di manifestarsi pesantemente. Tale sospetto è stato smentito più volte ma questo non ha fatto diminuire i timori e le ansie di chi vorrebbe uno sviluppo in senso democratico del regime egiziano, finora caratterizzato dal forte peso dell’apparato militare.

IL RIMPASTO E LE NOMINE PER LA CRISI ECONOMICA. Nel luglio 2004, Mubārak accolse le dimissioni del Primo Ministro Atef Ebeyd e di tutto il suo Gabinetto. Mubārak nominò quindi Ahmed Nazif nuovo Primo Ministro. La nuova compagine ministeriale è stata accolta con un moderato ottimismo, anche per un miglioramento della declinante situazione economica dell’Egitto. Il mercato egiziano è diventato percentualmente il primo paese fra quelli emergenti nell’anno fiscale 2004/2005. Persiste però una forte disoccupazione e Mubārak è stato criticato per aver favorito il grande capitale e le privatizzazioni dell’imponente comparto pubblico dell’economia, avvilendo i diritti dei lavoratori.

L’EGITTO CONTRO LE GUERRA IN IRAQ. Il presidente Mubārak si è espresso contro la guerra in Iraq del 2003 voluta dagli USA e dalla Gran Bretagna, affermando che la situazione israelo-palestinese avrebbe dovuto essere affrontata per prima. L’Egitto era un membro della coalizione alleata nella I guerra del Golfo del 1991 (se non si considera il lungo conflitto fra Iraq e Iran che l’aveva preceduta) e i fanti egiziani erano stati tra i primi militari a sbarcare in Kuwait per impegnare le forze armate irachene, godendo per questo di grandi, ma non precisati, vantaggi economici elargitigli dagli USA. In questa sua partecipazione convinta si dice che l’Egitto abbia sofferto pesanti perdite in vite umane, anche se mancano conferme o smentite ufficiali in merito. Secondo Reporter Senza Frontiere i media egiziani sono collocati per libertà d’espressione al 143esimo posto su 167 nazioni considerate.

MUBARAK E LA CHIESA COPTA. Prima che Mubārak assumesse la presidenza, il predecessore Sādāt aveva ordinato a Papa Shenuda III, il capo della chiesa ortodossa copta, di ritirarsi in esilio nel monastero di San Bishoi. In aggiunta, otto vescovi, 24 sacerdoti e molti altri eminenti personalità copte furono posti agli arresti. Sādāt rimpiazzò la gerarchia ecclesiastica con un comitato di 5 vescovi e si riferì a Papa Shenūda come “all’ex-papa”. Più di tre anni dopo l’assassinio di Sādāt nel 1981 e la salita al potere di Mubārak, il presidente richiamò dall’esilio Papa Shenūda III d’Alessandria, il 2 gennaio 1985. Questi tornò al Cairo per celebrare la festività natalizia del 7 gennaio (secondo il calendario copto), e la folla che lo accolse fu valutata in più di 10mila persone. I cristiani hanno goduto di diritti umani e religiosi relativamente migliori sotto Mubārak, con la loro festività del 7 gennaio riconosciuta come festività nazionale nel 2002.

Fonte: http://www.tg1.rai.it

RIAPRONO LE BANCHE EGIZIANE

l Cairo, 7 feb. (Adnkronos/Dpa) – Le transazioni bancarie per la Bank of Alexandria, in Egitto, sono andate meglio del previsto dopo la riapertura delle attivita’ questa settimana. A riferirlo, riporta il network Al-Arabiya, e’ stato Mahmoud Abdel Latif, il numero uno della Bank of Alexandria, controllata del gruppo italiano Intesa SanPaolo.

Ieri, primo giorno di attivita’ dopo una settimana di chiusura a causa delle proteste antigovernative, l’ammontare dei contanti depositati e’ stato maggiore dei prelievi, ha detto Abdel Latif. I trasferimenti di denaro fuori dal Paese sono stati minori del previsto e per la maggior parte legati a transazioni commerciali, ha aggiunto.

La Bank of Alexandria e’ una delle piu’ grandi banche egiziane, con una quota di mercato del 7%. E’ stata la prima banca posseduta dallo Stato ad essere privatizzata, nel 2006, e fa parte oggi del gruppo Intesa SanPaolo.

LA CRISI EGIZIANA VISTA DAI MERCATI MONDIALI

Fonte: IL FOGLIO.IT

Dopo una settimana di proteste inizia la “diaspora” economica. Ieri almeno sei multinazionali estere presenti in Egitto hanno fermato gli impianti e avviato il rimpatrio dei dipendenti contando di ritornare non appena la situazione si calmerà. Anche l’italiana Italcementi e la concorrente francese Lafarge hanno chiuso i cementifici. Le maggiori case automobilistiche tedesche, Bmw e Daimler, e la giapponse Nissan hanno cessato le attività mentre Volkswagen ha bloccato l’esportazione dei prodotti. I businessman locali però resistono. La democrazia è una buona cosa, ci stiamo muovendo verso il meglio. Gli uomini d’affari sono rimasti qui e questo è un segno di stabilità”, ha commentato Naguib Sawiris, il patron di Wind.

Le preoccupazioni degli investitori si riflettono in una goccia di petrolio. Sempre più caro da venerdì scorso, quando è diventato palese che il cambiamento in atto non poteva essere fermato facilmente, lasciando un’incognita sul futuro politico del Paese, dove sono presenti colossi degli idrocarburi come British Petroleum, Eni, British Gas e Apache. Ieri il Brent, considerato il benchmark di riferimento, ha toccato il record di 100 dollari, come non succedeva da due anni. Siccome l’Egitto non è un grande produttore di oro nero, l’attenzione degli analisti è concentrata sulle infrastrutture che garantiscono le forniture all’Occidente come l’oleodotto Sumed e il Canale di Suez, dove ogni giorno transita su navi cargo l’equivalente di un milione di barili di petrolio – il 2 per cento della produzione globale – e il 10 per cento delle merci scambiate nel mondo. Il rischio è che si arrivi a una chiusura del passaggio marittimo che collega l’Asia all’Europa, ipotesi contemplata da diversi analisti ma smentita ieri dai gestori dell’impianto: “Sta lavorando a piena capacità”, riportavano i media egiziani.

Ashraf Laidi, Chief markets strategist di Cmc Markets
, spiega al Foglio che l’esercito per ora non sembra schiacciato su posizioni filo governative e ciò potrebbe implicare che i militari riescano comunque vada a proteggere i civili, le risorse, il Canale di Suez, le banche e le aziende riducendo il rischio contagio: “L’esercito è consapevole dell’importanza di garantire il normale funzionamento del Canale, che non soltanto è una risorsa vitale per le entrate di valuta estera in Egitto ma garantisce anche la fornitura di greggio”. L’Opec, il cartello dei paesi produttori, rimane allerta. Per il Segretario generale, il libico Abdallah Salem El-Badri, “c’è un rischio reale di penuria” che potrebbe costringere l’Organizzazione, di cui l’Egitto non fa parte, ad aumentare la produzione se la crisi dovesse peggiorare. Oppure, come ha avvertito il Commissario europeo all’Energia, Guenther Oettinger, se dovesse estendersi ad altri paesi produttori nella convinzione che i fatti del Cairo “non condizioneranno il mercato”, ha aggiunto Oettinger. Eppure gli investitori sono stati colti di sorpresa. E la tempesta non è passata. Infatti i Cds, titoli d’assicurazione contro il fallimento dell’emittente, sul debito egiziano hanno raggiunto i 475 punti base dai 472 di venerdì non appena l’agenzia di rating Moody’s ha ridotto il merito di credito del Cairo di un gradino (da Ba1 a Ba2) nel timore che la crisi politica allarghi il deficit di stato se il governo dovesse concedere una riduzione delle tasse per arginare il malcontento.

Le banche europee, nell’ordine francesi, inglesi e italiane, sono le più esposte nei confronti di un default egiziano
ma con cifre relativamente modeste se comparate con i prestiti erogati ai paesi deboli dell’Eurozona. Diversi sono i dubbi su un futuro indebolimento dell’euro, spiegati ieri dal Wall Street Journal, a fronte della rimonta di valute rifugio come il franco svizzero e lo yen che, nonostante il declassamento del debito giapponese, ha registrato un apprezzamento nei confronti delle principali monete. “Il rischio di uno scenario caotico rimane elevato”, afferma in una nota Said Hirsh, analista per il Medio Oriente di Capital Economics. E’ infatti l’appettito per il rischio, l’ingrediente base per gli investitori, ad essere evaporato nelle rivolte d’Egitto.

FACEBOOK HA FATTO TROPPO POCO PER L’EGITTO!!! QUASI NULLA!!

Sul cartello la scritta dice GRAZIE FACEBOOK. Ma secondo Adrian Chen c'è poco da ringraziare

A lanciare il sasso contro Facebook è ValleyWag: secondo il celebre sito, che parla attraverso la penna di Adrian Chen, il celebre social network ha fatto poco, pochissimo per le vicende dell’Egitto. Al punto da non meritarsi affatto il “grazie”, scritto in arabo, che il sito mostra nell’immagine qui riprodotta in testa.

Secondo Chen, non c’è il benché minimo paragone tra l’impegno profuso nel sostegno del popolo egiziano da entità come Twitter o lo stesso Google, che si sono realmente impegnati con mezzi e tecnologie per favorire la comunicazione nel paese.

Facebook, invece, mantiene una posizione la cui “neutralità” per Chen equivale quasi a “indifferenza”. A non aiutare la posizione del social network ci sono molteplici episodi trascorsi, come quelli nei quali alcuni account sono stati chiusi solo per via di un filtraggio automatico, il cui meccanismo è scattato isolando dal proprio account alcuni utenti il cui attivismo non avrebbe giustificato cotanta interdizione.

Chen infatti evidenzia che molti parlano del positivo riscontro derivato dai gruppi su Facebook, che hanno senz’altro aiutato a far sapere al mondo cosa diavolo stava e sta accadendo nel paese. Ma pochi, secondo Chen, parlano invece dei grattacapi nei quali sono incorsi alcuni utenti, i cui account sono stati disattivati sempre per via dello stesso meccanismo di filtraggio di sorveglianza: un esempio è la disattivazione del gruppo We Are All Khaled Said, un gruppo da 300mila membri, disattivato e poi reinstaurato dopo vivacissime e cospicue proteste.

Secondo Jillian C. York, esperto di libertà in Rete, il comportamento di Facebook è inqualificabile, racconta Chen, specie a proposito della propria politica sulle identità degli utenti. Una politica che York definisce quasi surreale, assolutamente priva di senso.

A peggiorare l’opinione di Chen, il “tiepido” comunicato stampa rilasciato dal social network quando il presidente Mubarak ha isolato il paese dalle telecomunicazioni: “Benché le vicende in Egitto siano un fatto tra il popolo egiziano e il suo governo da risolvere localmente, limitare l’accesso a Internet per milioni di persone è motivo di preoccupazione per la comunità globale”. Come dire: se ci tagli l’accesso, perdiamo milioni di ore di frequentazione, con tutto ciò che ne consegue, anzi, che ne con$egue.

In definitiva, Adrian Chen “reclama” il dovere, da parte di Facebook, di guadagnarsi davvero il ringraziamento degli egiziani, cercando di supportare e aiutare a diffondere la loro protesta e le loro motivazioni, altro che filtraggi. E non è, secondo Chen, solo una questione di diritti umani, ma di “buon business”.

“Immaginate – scrive Chen – se Facebook avesse lavorato per migliorare le proprie politiche di privacy e sicurezza al punto che un qualsiasi dissidente iraniano potesse sentirsi sicuro di usare il sito per organizzare atti contro il governo (naturalmente sotto pseudonimo). Non ci sarebbe stato nulla di cui lamentarsi, ricordando che ha fatto qualcosa del genere in risposta a un’azione di cracking, posta in essere dal governo tunisino, innalzando la sicurezza per tutti gli utenti, compresi i tunisini che protestavano”.

Presa con le dovute cautele, certo l’esternazione di Adrian Chen non è priva di basi, né di senso. In fondo, quel che sta accadendo in Egitto non è cosa di tutti i giorni e in un paese dove gli operatori di telecomunicazioni sono costretti dalla Legge delle Emergenze e da un complesso normativo alquanto costrittivo a inviare SMS a raffica con contenuti pro-governo, un minimo di collaborazione e di apertura in più, forse, non guasterebbe.

TANTI AUGURI RAGAZZI, DI CUORE!!!

Anche in mezzo al dramma e alla preoccupazione, succede qualcosa che ti strappa un sorriso!
Tanti auguri sconosciuti sposi, tanti auguri di cuore!!!

Una coppia di giovani sposi ha deciso di sposarsi nonostante i disordini de Il Cairo

GIA’ LA CHIAMANO LA SPOON RIVER D’EGITTO.

Una pagina web per ricordare i cittadini egiziani morti durante le proteste dei giorni scorsi e per cercare di rintracciare gli scomparsi. Si chiama Egypt Remember ed è nata online come progetto partecipativo al quale chiunque può contribuire aggiungendo foto e informazioni sulle vittime. C’è già chi la chiama la Spoon River dell’Egitto e nell’intento degli autori la pagina servirà “per elencare tutti quei valorosi cittadini egiziani che sono stati uccisi durante la lotta pacifica per la libertà”

Un modo per ricordare, perchè non si deve mai dimenticare chi ha perso la vita in nome di un ideale!
E guardando le fotografie, vi accorgerete che si tratta quasi esclusivamente di ragazzi!

Clicca qui per vedere la pagina aggiornata

PRESTO UN MUSEO DELLA TORTURA A IL CAIRO??

Il ricercatore egiziano Mohammad Abdul Wahab è intenzionato ad aprire, in un prossimo futuro, il primo e più completo ‘Museo della tortura‘ in Egitto. La sua speranza è quella di dissuadere altri potenziali oppressori dall’uso di questo metodo crudele esponendo esempi del passato dei quali è tristemente ricca la storia dell’umanità. Per più di dieci anni, ha raccolto mille attrezzi ampiamente utilizzati in epoche e Paesi diversi quale strumento di tortura intimidatorio, in particolare contro dissidenti intellettuali e politici di entrambi i sessi. I pezzi sono per ora conservati nella galleria del ricercatore ad Al Maryutia, vicino alle Piramidi di Giza, e sono mostrati soltanto a giornalisti e difensori dei diritti umani. Sono corredati da note informative raccolte visitando musei specializzati all’estero e su testi di storia.

Il collezionista spera di inaugurare al Cairo un’esposizione permanente della tortura che dovrà essere un’esperienza intensa e indimenticabile per i visitatori: entreranno in una struttura da casa dell’orrore divisa in sezioni dove sarà ricreata l’ambientazione dell’epoca d’utilizzo degli arnesi e lungo tutto il percorso riecheggeranno simulazioni di gemiti e grida di dolore delle vittime.

Alcuni pezzi della collezione – mostrati e descritti a Ramadan Al Sherbini, corrispondente di ‘Golf News’ – risalgono al Medio Evo. A proposito di uno di questi, Mohammad Abdul Wahab ha anche specificato che “alcuni dei servizi segreti ancora utilizzano questo strumento”.

NON CI SONO PIU’ LE MEZZE STAGIONI!!!!

Tra il weekend e l’inizio di questa settimana fenomeni estremi hanno interessato alcune aree del nostro pianeta, tra cui California ed Egitto, ove si sono verificate piogge intense accompagnate da raffiche di vento, alluvioni lampo e purtroppo anche qualche vittima. L’origine di queste fenomeni è da ricercarsi nell’influenza di alcuni dei principali “attori” che influenzano il nostro clima, e in particolare del “bambinello cattivo” (El nino) per quanto riguarda le tempeste sulle zone occidentali degli States, e dell’Orso delle steppe russe (ovvero l’anticiclone russo-siberiano) per le alluvioni egiziane.
Durante lo scorso fine settima un’intensa perturbazione ha raggiunto latitudini insolitamente meridionali, recando una severa fase di maltempo tra Egitto ed Israele, zone solitamente aride e desertiche anche nei mesi invernali. Qui i danni provocati dalle forte precipitazioni sono risultati ingenti poiché queste regioni sono caratterizzate da suoli aridi e impermeabili e quindi poco capaci di assorbire l’acqua piovana. Sono oltre 200 i millimetri caduti nel giro di 24 ore a Nekhel, nel Sinai; le piogge hanno interessato anche la nota località turistica di Sharm-el-Sheik dove avrebbero danneggiato l’aeroporto e provocato una vittima, e si sono spinte fin in pieno deserto (3 mm a Hurgada e 2 a Luxor). Anche in Israele piogge abbondanti, fino a 60-80 mm, si sono abbattute sul deserto del Negev. La Giordania è stata coinvolta da allagamenti, in particolare nel sud del paese con 202 mm cumulati ad Al-Aqabah. Questa situazione è figlia di depressioni mediterranee che sono obbligate a transitare a latitudini molto basse in seguito alla forza e all’estensione dell’anticiclone Russo, seguendo una “Storm track” che va dalla Sicilia/Mar Libico, attraverso l’Egeo, fino al bacino orientale del Mediterraneo. In questo caso la fenomenologia è stata anche esaltata da una goccia fredda di -25°C a 500 hPa, che si è posizionata davanti alle coste egiziane, favorendo una situazione di spiccata instabilità atmosferica, dato l’intenso gradiente termico alle varie quote. Fenomeni alluvionali hanno interessato e stanno coinvolgendo tuttora California, Nevada e Messico settentrionale, in seguito a un vortice collegato al ciclone delle Aleutine che si è spinto fino a latitudini molto basse. Questa situazione non è inusuale durante gli eventi intensi de “Il Nino”, cioè l’anomalo riscaldamento delle acque superficiali delle coste sudamericane del pacifico, come quello che è in corso durante quest’Inverno. Durante tali eventi le precipitazioni cumulate sulle coste sudoccidentali degli U.S.A. superano di oltre il 100% la media. In questo frangente piogge alluvionali hanno interessato Los Angeles, San Diego e San Francisco con oltre 50 mm in poche ore e raffiche di vento fino a 80/100 Km/h, senza contare gli oltre 50 cm di neve caduti sulle montagne. La “città degli angeli” è stata interessata anche da un tornado che ha provocato una vittima, danni ingenti e oltre 800 abitazioni evacuate. Qui l’allerta rimane sempre elevata poiché un’ulteriore intensa perturbazione è attesa dalla mattinata di giovedì su zone già provate da quattro giorni di forte maltempo.

COMMERCIO EQUOSOLIDALE EGIZIANO A RAVENNA: GIOVEDI’

La Cooperativa Sociale Villaggio Globale organizza un aperitivo dedicato alla conoscenza dell’Egitto che si terrà giovedì 27 gennaio alle ore 19, presso CittA@ttiva in via Carducci 14.
Si parlerà in particolare dell’esperienza del commercio equo e solidale grazie alla presenza di Mona El-Sayed, giovane direttrice di Fair Trade Egypt www.fairtradeegypt.org, un’organizzazione di commercio equo e solidale che si occupa di sostenere gruppi di artigiani che lavorano soprattutto al Cairo, ma non solo.

Mona El-Sayed racconterà la sua esperienza di donna nel commercio equo e solidale e ci parlerà anche di come quest’ultimo sia un’opportunità per le donne del suo paese.
“Discuteremo con Mona delle tematiche del commercio equo e solidale a livello internazionale e più specificatamente nell’aerea mediorientale” racconta Federica Arceri di Villaggio Globale. “Mona ci racconterà anche della sua associazione e del progetto di coordinamento dei produttori del Nord Africa. Il commercio equo e solidale da diversi decenni si sta dimostrando una forma di partnership commerciale capace di promuovere i diritti umani, condizioni di vita dignitose e il lavoro nei paesi più poveri del mondo”.

L’iniziativa si inserisce all’interno di “CIBOPERTUTTI, la fame non è nella natura”, una campagna nazionale, coordinata da CTM Altromercato che intende promuovere il tema della sovranità alimentare attraverso momenti di formazione e sensibilizzazione principalmente destinati ai giovani. Nel corso del 2011 il Villaggio Globale, che aderisce a questa campagna come organizzazione del commercio equo referente per il centro Italia, organizzerà a Ravenna laboratori artistici, eventi culturali, seminari formativi, spettacoli teatrali e musicali.

L’incontro è organizzato presso la sede di CittA@ttiva, il centro del Comune di Ravenna di cittadinanza attiva e mediazione sociale.
“L’incontro con una giovane manager egiziana, Mona El-Sayed, sarà l’occasione per conoscere l’Egitto in maniera inusuale ed interessante” affermano Andrea Caccìa e Stefania Pelloni di CittA@ttiva. “Ad organizzare la serata ci aiuta anche Wafaa Gaber, nostra volontaria egiziana, che preparerà qualche assaggio di piatti tipici del suo paese”.

LA META IDEALE PER I SINGLE?? OVVIAMENTE SHARM

news viaggi

Chi è in cerca di vacanze per single conosce sicuramente Speed Vacanze, un portale specializzato nell’offrire proposte di viaggi per tutte quelle persone che sono a caccia dell’anima gemella o che semplicemente vogliono divertirsi conoscendo nuovi amici. Da un recente sondaggio promosso da questo sito sono emerse le mete di viaggio più gettonate e amate dai single nel 2010. La singletudine pare porti verso il “caldo e così in testa ci sono le località esotiche: Sharm el Sheik è in testa con il 31% delle preferenze. E oltre ai last minute per San Valentino, si può già prenotare la vacanza di Pasqua! www.speedvacanze.it
Subito dopo, anche per le offerte, troviamo le crociere e i viaggi in Kenia, meta scelta dal 19% dei partecipanti al sondaggio. Proprio il Kenia è una delle destinazione sempre in crescita, grazie ai paesaggi naturali e alle nuove offerte turistiche locali.
Resta meta gradita dei single anche lavacanza alle Maldive, isole molto amate per via del loro caratteristico mare cristallino e delle spiagge di sabbia bianca, ideali per chi cerca un soggiorno di completo relax senza rinunciare ai comfort e al lusso.
Per i “soli” e con poca disponibilità economica, ha scelto Bercellona, unica città europea a meritarsi un posto in clasifica . Amata perché facilmente raggiungibile dal nostro Paese, ma anche per il clima festaiolo che caratterizza la città spagnola.
Un buon 6% però è rimasto in Italia, trascorrendo le vacanze al mare, soprattutto in Puglia e Calabria, o nell’entroterra toscano.

LUCA CAMPIGOTTO: LE PIETRE DE IL CAIRO

Il Cairo, città misteriosa che racchiude in sé l’enigma delle Piramidi, un grande scenario della storia di grande forza evocativa. Fotografie affascinati e suggestive, realizzate da Luca Campigotto nel 1995 e 1996 che catturano una città molto forte e di straordinaria stratificazione architettonica: dalla piana delle Grandi Piramidi di Giza fino al dedalo del Bazar di Khan El-Khalili nel cuore della Cairo Islamica passando per la Città dei Morti e le monumentali tombe dei Mammelucchi, scorrono scenari intrappolati nel tempo, fotografati spesso di notte quando l’irregolarità dell’illuminazione notturna trasforma la città in una gigantesca scenografia. Il Cairo, luogo caotico, ricco di mille suggestioni dove si avverte il senso e il profumo della storia. Una città millenaria, uno degli snodi cruciali del mondo, la punta d’oriente in Africa da sempre crocevia di viaggiatori, mercanti e soldati d’occidente, una megalopoli moderna che nel proprio cuore vecchio conserva un teatro del tempo. Questo libro dà l’opportunità di viaggiare con la fotografia indietro nei secoli celebrando per immagini luoghi di fascino inesauribile.

Il Cairo che Luca Campigotto ricostruisce con le sue fotografie in bianconero di grandi dimensioni è una sorta di percorso nei labirinti della Storia.
Dalle piramidi di Gizah e Saqquara al “cuore islamico” della città: la Cittadella, La Città dei Morti, le tombe dei Mamelucchi, il bazar di Khan el-Khalili, la moschea di Ibn Toloumn… In queste immagini notturne e diurne viene svelandosi una megalopoli dai tratti antichi, e spesso quasi surreali.
Le grandi piramidi a volte sembrano uscire da una stampa d’epoca, altre volte appaiono come astronavi primordiali atterrate nel deserto; mentre le architetture della Città Islamica si affastellano, sovrapponendosi in un caos scenico straordinario.Le immagini sono dense di materia e di dettagli; lo sguardo indugia sulle cose con insistenza, quasi cercando l’odore dei secoli.

Dopo essersi fatto genius loci della sua Venezia, Campigotto si muove anche al Cairo come all’interno di una macchina del tempo fitta di visioni. Un’altra tappa di quel viaggio a ritroso nel tempo – tra monumenti mitici e inediti scorci visivi spesso illuminati da luci teatrali – che lo ha già portato in luoghi d’immenso fascino come Sana’a nello Yemen, Angkor in Cambogia e l’Isola di Pasqua.

Luca Campigotto (Venezia 1962) ha esposto tra gli altri al Mois de la Photo, Parigi; 47ma Biennale di Venezia; MAXXI, Roma; MEP, Parigi; IVAM, Valencia; Galleria Gottardo, Lugano; The Art Museum, Florida; C.C.A., Montreal. A FotoGrafia Festival Internazionale di Roma era presente lo scorso anno con ‘Teatri di Guerra’. Le sue opere fan parte di collezioni private e pubbliche. Ha pubblicato: Venicexposed (Contrasto/Thames&Hudson 2006); Sguardi gardesani, Nicolodi 2004; L’Arsenale di Venezia, Marsilio 2000; Fuori di casa, 1998; Molino Stucky, Marsilio 1998; Venetia Obscura, Peliti 1995. Coltiva da sempre l’interesse per la scrittura. Nel 2005 la rivista Nuovi Argomenti ha pubblicato una selezione di sue immagini e poesie. Il Museo di Roma ha ospitato, nell’ambito del Festival – FotoGrafia 2007, “Le pietre del Cairo” di Luca Campigotto.

Autore:  Campigotto Luca

Editore:  Peliti Associati

Genere:  fotografia

Argomento:  cairo (il)

ISBN: 8889412143

ISBN-13: 9788889412145

Data pubbl.: 2007

EL ESRAA ALLA RICERCA DI COLLABORAZIONI IN EUROPA

El Esraa è un’azienda egiziana fondata nel 1997. Inizialmente distribuiva erbe mediche, spezie e semi nel mercato locale. 

Dal 2000 al 2009, in seguito all’enorme successo riscosso, ha cominciato ad ampliare il proprio business, incrementando la varietà dei prodotti e rifornendo il mercato dell’export egiziano con diversi tipi di spezie e semi. Dalla fine del 2009, El Esraa ha avviato il commercio internazionale nel sud-est Asiatico e nei paesi arabi.

Ahmed Hossny, rappresentante in Europa dell’azienda egiziana, racconta: “Passo dopo passo, abbiamo conquistato la fiducia dei nostri clienti, grazie ai prezzi competitivi, l’alta qualità dei prodotti e i ristretti tempi di consegna. Abbiamo inoltre aggiunto al nostro assortimento frutta fresca e verdura. Il nostro obiettivo è la piena soddisfazione dei nostri clienti”.

“Recentemente – prosegue Ahmed – abbiamo preso contatti con alcune aziende italiane, con le quali cominceremo a collaborare prestissimo. Per quanto riguarda il mercato europeo, abbiamo la possibilità di esportare verso qualsiasi paese”.

Contatti:
Ahmed Hossny – EU Rapresentative
El Esraa
Cell.: +39 331 8362716
E-mail: ahmedhossny@elesrafarms.com
Web: http://www.elesrafarms.com

EGITTO CONTRO GERMANIA PER IL BUSTO DI NEFERTITI

(ANSA) – ROMA, 24 GEN – L’Egitto torna a chiedere formalmente a Berlino la restituzione del busto della regina Nefertiti, star del neo restaurato Neues Museum. Il busto e’ in Germania dal 1913 e da tempo l’Egitto conduce una battaglia per riportarlo in patria, giudicando poco chiare le circostanze che portarono l’opera d’arte in Germania, dopo il suo ritrovamento da parte dell’archeologo tedesco Ludwig Borchardt nel 1912.

Berlino, 24 gen. – (Adnkronos/Dpa) – La Germania ha respinto la richiesta egiziana di restituzione del busto di Nefertiti, affermando che la domanda non e’ firmata da nessun ministro e non ha quindi carattere governativo. Un portavoce del ministero della Cultura tedesco, Hagen Philipp Wolf, ha dichiarato che la richiesta e’ firmata da Zahi Hawas, capo del Supremo Consiglio delle Antichita’, che e’ solo vice ministro della Cultura. Il ministero tedesco ribadisce inoltre che la scultura e’ legalmente di proprieta’ della Germania.

CLEOPATRA, IL DESTINO DI UNA REGINA

L’avventura punta&clicca Cleopatra: il destino di una Regina di Colandia è ora disponibile su Mac App Store. Nei panni di un giovane astronomo di corte possiamo immergerci nella storia e nei paesaggi fedelmente ricostruiti dell’antico Egitto. Su Mac App Store a 9,99 euro.

Cleopatra: il destino di una Regina è una delle più recenti avventure punta&clicca rilasciate da Colandia: ora questo titolo è disponibile su Mac App Store ad un prezzo appetibile. Le vicende si svolgono nell’antico Egitto devastato dalla guerra civile tra i sostenitori di Cleopatra e il partito avverso che sostiene il marito e il fratello della Regina. 

Nel gioco siamo chiamati a vestire i panni di un Thomas, giovane apprendista astronomo e astrologo che deve ritrovare il suo maestro e la figlia di cui è innamorato. Nelle ricerche il giocatore è immerso nell’Egitto dei Faraoni del 48 Avanti Cristo, in esplorazioni che coinvolgono anche i mitici palazzi della Biblioteca di Alessandria e del Faro che i programmatori di Colandia hanno ricostruito, così come ogni altro dettaglio, basandosi si di una fedele ricostruzione storica. Per ritrovare l’amata e il maestro, l’apprendista Thomas dovrà recuperare le tavole desiderate da Cleopatra per le sue divinazioni, in questo modo guadagnerà l’aiuto della regina e delle sue guardie.

In questa nuova avventura punta e clicca sono contenuti numerosi puzzle ed enigmi da risolvere basati sul reale destino di Cleopatra e sull’Antico Egitto. Il giocatore dispone di una mappa interattiva, combinazioni di inventario dinamiche, inoltre l’immersione nelle vicende è supportata da grafica e audio realizzati con cura. Cleopatra: il destino di una Regina è disponibile su Mac App Store a 9,99 euro.

L’EGITTO SARA’ IL PAESE GUIDA PER LE RINNOVABILI

Il Nord Africa si mette in rete. E Il Cairo vuole fare da traino, a partire dalle fonti rinnovabili. Uno dei pochi paesi arabi quasi senza petrolio, l’Egitto ha tali risorse di energia pulita da potersi candidare a diventare l’Arabia Saudita del futuro. Con 5mila ore di vento all’anno sulla costa occidentale del Golfo di Suez e anche un po’ più giù, lungo le pianure costiere del Mar Rosso (contro 1.800-1.900 ore dei siti migliori in Italia), gli egiziani potrebbero mandare avanti tutta la loro economia attingendo solo a questo enorme “giacimento”.

Pale eoliche a Zafarana

Tra Suez e Hurghada, i venti soffiano in media a una velocità costante di 9 metri al secondo, comparabile alle potenze del Mare del Nord, mentre il ghibli dell’Alta Valle del Nilo soffia attorno ai 7 metri al secondo. Chi va sul Mar Rosso per fare windsurf o kitesurf, lo sa: nella zona di Zafarana, centinaia e centinaia di pale eoliche si estendono per chilometri, rivelando una delle meraviglie tecnologiche del Nord Africa.

La domanda energetica del paese più popoloso del mondo arabo, con quasi 80 milioni di abitanti, cresce del 6% all’anno. E dagli estesi blackout di quest’estate si è capito che il sistema attuale, basato soprattutto sugli idrocarburi, non ce la fa. Sfruttare anche le risorse rinnovabili sta diventando una necessità. Prima di tutto per soddisfare il fabbisogno interno, ma in prospettiva anche per esportarle verso la sponda nord del Mediterraneo. Le autorità del Cairo puntano allo stesso target indicato dall’Unione Europea: entro il 2020, il 20% della domanda elettrica dovrà essere coperta da fonti pulite. L’obiettivo sarà soddisfatto per oltre metà dall’eolico, che dovrà arrivare a 7.200 megawatt installati. Poi c’è il sole del Sahara, che occupa oltre il 90% del territorio egiziano, e l’idroelettrico sul Nilo.

Per un paese che oggi non arriva a 500 megawatt di pale operative, si tratta di un obiettivo ambizioso. Di conseguenza, la New and Renewable Energy Agency sta procedendo a tappe forzate verso lo sviluppo di nuovi impianti. Per colpire nel segno, però, c’è bisogno di investimenti esteri. Su questo sta lavorando il ministro Rashid Mohamed Rashid, il primo imprenditore a entrare nel governo egiziano, tra l’altro con due ministeri: quello agli Investimenti e quello al Commercio e industria. Rashid, che ha costruito un impero alimentare per poi venderlo a Unilever, di cui ha guidato per anni la divisione dedicata al Nord Africa e Medio Oriente, è il promotore della liberalizzazione nel mercato egiziano.

«Per far arrivare gli investimenti dall’estero – spiega Rashid – dobbiamo aprire le porte ai privati». E così sta facendo, insieme alla General Authority for Investment and Free Zones (Gafi), dove gli imprenditori stranieri sono accolti a braccia aperte. Non ci sono più restrizioni alla proprietà privata degli stranieri in Egitto e non ci sono più requisiti minimi di capitale, anche se restano alte le barriere in un mercato, come quello dell’energia, ancora completamente statalizzato e con forti sussidi agli idrocarburi, ma non alle fonti rinnovabili, per tenere artificialmente basse le bollette dei cittadini.

«Con le condizioni offerte dal vento egiziano, gli incentivi non servono», spiega Giuseppe De Beni, numero uno di Italgen, la società energetica di Italcementi, che sta realizzando il primo campo eolico completamente privato dell’Egitto, da 120 megawatt, a Gebel el-Zeit. «Con cinquemila ore di vento all’anno un campo eolico nel Golfo di Suez ha una redditività vicina a un impianto a ciclo combinato a gas», precisa De Beni.

Resta il fatto che l’energia prodotta nel campo di Gebel el-Zeit non potrà essere venduta alla rete come si fa comunemente in Europa, ma dovrà essere consumata dalla stessa Italcementi, con uno scambio sul posto, nei suoi stabilimenti produttivi. Per Italcementi niente di male: in Egitto è il primo player e consuma talmente tanta energia che potrebbe raddoppiare l’investimento (per ora a 150 milioni di euro) senza aver ancora soddisfatto completamente il suo fabbisogno. Per gli altri investitori privati, però, questo è uno dei principali ostacoli.

Il ministro Rashid assicura che è in dirittura d’arrivo in Parlamento e sarà operativa entro l’anno prossimo una nuova normativa per aprire la generazione elettrica anche ai privati e un’altra per ridurre i sussidi agli idrocarburi, rendendo competitiva la vendita di energia pulita. Ma per adesso tutte le installazioni eoliche del paese, concentrate a Zafarana, sono di proprietà del governo.

SE AMATE IL MAR ROSSO, NON DATE DA MANGIARE AI PESCI!!!

Molto interessante questo articolo (che risale addirittura al 2003!!!) in cui viene condannata la pratica del fish-feeding (alimentare i pesci)

Le immersioni dedicate a nutrire i pesci, specialmente gli squali, sono diventate un mega-trend del turismo sub degli ultimi anni, ma dietro alle spettacolari “esperienze con gli squali” ed alle imprese che li organizzano sorgono serie preoccupazioni sia per le persone che per gli animali marini coinvolti.

Dopo tutto, abbiamo smesso di nutrire gli orsi, ed a buona ragione.

Nutrire gli animali selvaggi ha inevitabilmente condotto, in tutti i contesti e gli ambienti, a:

  • seri problemi di salute degli animali e aumento del rischio di attacco alle persone da parte degli animali, inclusi i mammiferi marini e specialmente i delfini.

Nutrire gli animali selvatici altera i comportamenti nutritivi dell’animale e può condurre ad una diminuita abilità nel cacciare o procurarsi il cibo autonomamente.

Può anche generare una durevole dipendenza dalle persone
.
Gli animali vengono sovente nutriti con cibi che non sono in grado di digerire o metabolizzare.
Inoltre, gli animali nutriti dall’uomo tendono a perdere la naturale attenzione sospettosa verso l’uomo ed i suoi congegni.
Questo pone l’animale a maggior rischio di investimento da automobili, barche, eliche, di intrappolamento in reti o strumenti da pesca e li rende più facili prede del bracconaggio e della caccia.


Il nutrimento costante di animali selvatici in una determinata area ha ramificazioni ambientali che si estendono ben oltre la diretta minaccia all’animale nutrito: cambiamenti delle abitudini alimentari e della distribuzione locale dei pesci di reef nelle zone dove il nutrimento artificiale è praticato con regolarità sono stati documentati scientificamente nelle Hawaii, così come sono state documentate alterazioni comportamentali e degli schemi di movimento degli squali nutriti a mano dall’uomo. 

Questo implica che, cambiando il tipo di cibo, il tempo ed il luogo della normale alimentazione in una particolare zona, si alterano le vie naturali di nutrimento ed il flusso di energia nella comunità ittica che la abita.

Inoltre è stato stabilito che il nutrimento di animali selvatici comporta frequentemente un maggior rischio di attacco contro le persone coinvolte.

Centinaia di persone sono ferite ogni anno in questo modo, ed alcuni vengono uccisi.

Nell’ambiente marino, sono state riportate dozzine di morsi da delfini nutriti, da quando, alcuni anni fa, nel Golfo del Messico sono iniziate le “Dolphin Feeding Cruises”.
Le lesioni più comuni includono lacerazioni del volto, delle mani, braccia e torso e la perdita di dita.

Fra i pesci, quelli coinvolti più frequentemente sono gli squali, le murene, le cernie ed i barracuda.

Particolarmente preoccupanti sono, oggi, i casi in cui sub principianti hanno perso parti della mano od hanno subiti altre gravi lesioni, cercando di emulare le prestazioni di divemasters ben più esperti e “stagionati”.

Le operazioni di nutrimento a mano degli squali sono particolarmente preoccupanti, non solo per i sub circostanti, ma virtualmente per chiunque si trovi in acqua nelle vicinanze del luogo di “nutrimento”, inclusi i bagnanti di spiagge vicine.
Questo accade perché, contrariamente alla maggioranza dei pesci di reef, gli squali hanno un “territorio personale” molto vasto e coprono grandi distanze nella loro quotidiana ricerca di cibo.


Nel corso di una recente udienza a Fort Lauderdale, Florida, molti sub hanno riferito di essere stati frequentemente molestati da squali dal comportamento molto aggressivo, in zone dove, da anni, erano abituati ad immergersi senza alcun problema, prima che iniziasse la pratica di nutrimento artificiale degli squali da parte di altri sub. 

Il solo caso conosciuto di morte di un sub, attribuita al nutrimento artificiale di pesci in libertà, è avvenuto in Australia.
Un apneista è annegato dopo l’attacco di un grosso “Sea Bass” (specie simile al branzino) in una località dove veniva praticato il “Fish Feeding”.
Dai reperti autoptici il medico legale concluse che l’apneista era stato colpito e poi afferrato dal pesce ( con la bocca), fino a farlo annegare.

Una delle maggiori obiezioni al “fish feeding” è che questa pratica, se continuata per un certo tempo in una zona, compromette la qualità dell’immersione di altri sub, non interessati a nutrire i pesci.
Si osservano cambiamenti distinti nel comportamento di molti pesci di reef, con pesci normalmente timidi che si precipitano fuori dalle tane quando i sub entrano in acqua e si avvicinano aggressivamente a loro in cerca di cibo.
Simili sciami di Snapper dalla coda gialla e di Sergenti Maggiori, in cerca di cibo artificiale, sono diventati assai comuni nelle Florida Keys e sono, frequentemente, causa di morsi dolorosi ed, in alcuni casi, di piccole lesioni ai lobi delle orecchie dei sub.

ARTICOLO DAN EUROPE, Bill Alevizon, Ph. D.

per gentile concessione DAN Europe

Sulla scorta di questo articolo, la tesi de Il Corriere Ticino, seconda la quale gli attacchi dello squalo di Sharm possono derivare da questa assurda e ridicola prassi!!

L’avevamo anticipato all’indomani del secondo attacco degli squali a Sharm el Sheik (vd suggeriti): dietro alla morte della turista tedesca assalita e uccisa il 5 dicembre, poteva esserci un abuso consistente della pratica del “feeding” – letteralmente: che alimenta – nelle spiagge antistanti la località balneare egiziana. Adesso, dopo lo smacco di un’alta stagione (quella delle feste di Natale e Capodanno) che ha visto pressoché dimezzati presenze e introiti, quella che pareva un’ipotesi si sta rivelando una certezza. Delle questioni legate ai mancati guadagni e alla pessima gestione del caso da parte delle autorità locali e del Ministero del Turismo si è fatto interprete un parlamentare che con un’interrogazione ha portato in aula il dibattito (vd link). Del “feeding” si stanno invece occupando, additandolo come causa prima, gli esperti della Florida convocati in tutta urgenza a Sharm el Sheik dalla CDWS, l’associazione degli operatori locali di subacquea e sport acquatici.

Insomma, dicono in sostanza gli esperti, dietro gli attacchi degli squali a Sharm el Sheik ci sono un “fish-feeding” e uno “shark-feeding” spinti spinti all’accesso in nome di un beneficio turistico mal interpretato. Non c’entrano dunque nè il depauperamento della fauna ittica nè il riscaldamento delle acque del Mar Rosso nè, tanto meno, il lancio in mare di carcasse di ovini da parte di un cargo diretto in Giordania. Il dito è puntato sul “feeding”, una  pratica che inizia alle Bahamas alla fine degli anni ’80 (patrocinata dalla UNEXSO, Underwater Explorer Society) con lo scopo di attirare gli squali in una determinata zona per poterli osservare da vicino e che si trasforma velocemente in un business molto redditizio. Le conseguenze, ora, sono mondialmente note.

Fonte CdT web del 20.1.2011

QUALCUNO STA PROVANDO A CAMBIARE LE COSE – 1

Desertec

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.
 

Mappa della possibile infrastruttura per il rifornimento energetico sostenibile per l’Europa, il Nord-Africa e il Medio Oriente (EU-MENA) (La super rete europea con connessione EU-MENA proposta da TREC)

Desertec è un progetto di una rete di centrali elettriche e infrastrutture per la trasmissione di energia elettrica a lunga distanza finalizzate alla distribuzione in Europa di energia prodotta da fonti rinnovabili (in particolare energia solare dai deserti del Sahara e del Medio Oriente tramite la tecnologia del solare termodinamico ed energia eolica prodotta sulle coste atlantiche), proposto dalla Desertec Foundation.

Il progetto verrà portato avanti dal consorzio DII GmbH/Desertec Industrial Initiative (composto da un gruppo di imprese europee e dalla Fondazione Desertec. Desertec è nato sotto gli auspici del Club di Roma e della tedesca Trans-Mediterranean Renewable Energy Cooperation (TREC)).

Il 22 marzo 2010 è stato annunciato che anche Enel Green Power, insieme ad altre aziende di Spagna, Francia e Marocco, è entrata nella joint venture[1][2].

Il 30 settembre 2010 Terna come gestore nazionale della rete di trasmissione elettrica nazionale entra a far parte in quota paritetica del Desertec Industrial Initiative.[3][4][5].

LA ZONA PIU’ BELLA DEL MONDO? SECONDO LONELY PLANET E’ IL SINAI

L’inizio e la fine dell’anno sono i periodi in cui sul web spopolano le varie classifiche ed anche la Lonely Planet non si sottrae a questa tendenza generale di stilare elenchi. Luoghi ancora non contaminati dall’urbanizzazione e non eccessivamente frequentati dal turismo di massa. Con grande stupore il Sinai è al primo posto!!!!

  1. trekking nel deserto del Sinai in Egitto: con l’ascesa al monte e la discesa verso il Monastero di Santa Caterina

  2. la costa e l’interno dell’Istria: dai paesini meno conosciuti Motovun e Groznjan a quelli già noti ai turisti, Porec (Parenzo) e Rovinj (Rovigno)

  3. le isole Marchesi in Polinesia: delle verdi montagne a ridosso del mare cristallino si innamorò anche il pittore Gauguin

  4. la Cappadocia, Turchia: un paesaggio da fiaba, dalle chiese rupestri di Mustafapasa ai villaggi suggestivi costruiti sulla roccia di Kaymakli, Goreme, Cavusin e Avanos

  5. i Westfjords dell’Islanda: dove la natura è ancora selvaggia! I grandi fiordi della regione occidentale tra vulcani, ghiacciai e sorgenti termali

  6. le isole Shetlands in Scozia: gli scenari spettacolari dei tre parchi nazionali

  7. la barriera corallina dell’Australia

  8. la West Coast degli Stati Uniti: i 70 km dell’Orange Coast punteggiata da piccole città, riserve naturali e le piccole spiagge su cui si infrangono le grandi onde dell’oceano

  9. la Patagonia: spazi immensi e mozzafiato tra l’Argentina ed il Cile con la meraviglia del ghiacciaio Perito Moreno

  10. le Gili Islands in Indonesia: tra Lombok e Bali, tre isole dal mare trasparente, la spiaggia bianca e la barriera corallina dove fare snorkelling tra i pesci colorati

Il Monastero di Santa Caterina

Dall’Egitto all’Islanda, dalla Cappadocia alla Scozia, le destinazioni migliori del pianeta secondo Lonely Planet. Il fondatore Tony Wheeler: “L’incontaminato esiste ancora, fortunatamente”
Vince il Sinai. Poi Istria, Polinesia e…Tony Wheeler, fondatore, editore e presidente della Lonely Planet, come avete fatto a mettere insieme una graduatoria delle dieci regioni più belle del pianeta?
“È una combinazione di rapporti fatti dai nostri giornalisti e ricercatori, di informazioni che riceviamo dai lettori delle nostre guide, e di analisi che riceviamo da istituti specializzati, agenzie di viaggi, associazioni”.

Stilare una classifica di dieci regioni dove la natura ha mantenuto la sua bellezza significa che il mondo non è stato ancora completamente invaso da urbanizzazione, sviluppo e turismo?
“Fortunatamente sì. Basta allontanarsi un po’ dagli aeroporti e dalle rotte più frequentate per poter vedere che le folle scompaiono ed esistono luoghi ancora relativamente incontaminati. È vero che ci sono sempre più posti invasi da sempre più gente. Ma è ancora possibile perdersi nel vuoto di un panorama selvaggio”.

Selvaggio va bene, ma qualcuno potrebbe trovare stravagante la scelta di un deserto, il Sinai, come regione più bella della terra. A Lawrence d’Arabia piaceva il deserto perché “è pulito”, ma quali altre buone ragioni per apprezzarlo?
“Sono stato molte volte nel Sinai, ho scalato il suo monte più alto, visitato il monastero di Santa Caterina, fatto il sub a Sharm el-Sheikh, e lo trovo veramente magico. Ma tutti i deserti sono luoghi speciali, ho visitato il Sahara, quello della Mongolia, i deserti australiani, e mi hanno sempre entusiasmato. Del resto, se uno vuole fare un viaggio lontano dalla pazza folla, cosa c’è di meglio di un deserto?”.

Un suggestivo scorcio del Sinai

A parte il Sinai, in quali delle dieci regioni della classifica è stato e quale è la sua preferita?
“Sono andato in otto su dieci. Mi mancano solo le isole Marchesi e le Shetland. Ma un favorito solo non riesco a citarlo: diciamo il Sinai, la West Coast degli Usa e la Grande Barriera Corallina”.

E non avete considerato neanche un angolino della nostra affollata Italia per la vostra graduatoria?
“Non è necessario essere una località inaccessibile per entrare in classifica. La Toscana, ad esempio, è molto visitata dai turisti, ma conserva panorami di una bellezza mozzafiato: è una grande camera con vista. E le Dolomiti, dove sono stato molte volte, sono fra le catene montuose più belle del mondo. Avevamo candidato qualche regione italiana, alla fine non ne è entrata nessuna nella top ten, magari ci entrerà l’anno prossimo. Ma l’Italia, tutta intera, è comunque fra i dieci paesi più belli di un’altra nostra classifica. Per ora consolatevi così”.

CRISI ECONOMICA??? COMINCIAMO A CAPIRCI QUALCOSA!!

Zucchero: più 87,7 per cento. Mais: più 61,7 per cento. Grano: più 54,5 per cento. Riso: più 41,8 per cento. I tunisini, gli algerini e gli egiziani non consultano quotidianamente l’indice del Boston Stock Exchange, ma hanno capito sulla propria pelle quanto il mercato delle derrate alimentari si sia impennato verso l’alto negli ultimi sei mesi. Per effetto della crescente domanda cinese, indiana, brasiliana, ma non solo. Alla base di questo fenomeno ci sono anche fattori legati alla produzione, drasticamente calata nel 2010. Talvolta i raccolti sono diminuiti per via della siccità, che ha colpito, ad esempio, il grano russo e la soia argentina.
In altri casi, invece, sono state le scelte di politica economica a contrarre la produzione, creando da una parte disoccupazione e dall’altra un aumento considerevole dei prezzi. L’Africa è un caso da manuale: qui battaglie per l’acqua, inflazione e crisi sociale si saldano inesorabilmente, in una spirale di guerra tra poveri da cui è difficile uscire. L’ex ministro degli esteri egiziano Boutros Ghali era stato profetico: la prossima battaglia in Africa Orientale sarà quella per l’acqua. Il Cairo, per via di un trattato firmato nel 1929 con la Gran Bretagna, allora potenza coloniale, possiede, assieme al Sudan, il controllo pressoché totale del bacino del Nilo. L’ottantasette per cento delle risorse idriche scaturite dal fiume più lungo del continente è in mano a Mubarak e al Bashir, ma adesso gli altri paesi del bacino reclamano una ripartizione più equa dei diritti. Nel maggio 2010 Etiopia, Uganda, Tanzania, Kenya e Ruanda hanno firmato un accordo che permette loro di costruire dighe senza attendere l’autorizzazione del Cairo e di Khartoum.
Su pressione dell’Africa nera, l’Egitto ha deciso quindi di limitare la produzione di riso, una coltura ad alta intensità idrica: ben il venti per cento del bacino del Nilo alimenta questo settore, che fornisce occupazione e sostentamento a una quota considerevole della popolazione. Adesso, a sud del Cairo, non si coltiva più riso e i contadini si concentrano tutti nella zona del Delta. Le conseguenze sono facili da immaginare: la produzione, 3,8 milioni di tonnellate nel 2009, è crollata, l’export, per privilegiare l’approvvigionamento interno, è stato prima ridotto e poi bloccato, molti coltivatori hanno perso il loro lavoro, i prezzi dell’alimento più diffuso tra le classi popolari sono saliti a dismisura. L’inflazione, come in Tunisia e Algeria, ha eroso il potere d’acquisto dei più deboli, con l’inevitabile corollario di crisi economiche e tensioni sociali. Alcuni contadini hanno diversificato la loro produzione, ma il blocco dell’export di riso ha comunque privato l’Egitto di una preziosa riserva in valuta straniera.
Così il diritto all’acqua degli ugandesi ha portato con sé la maggiore povertà degli egiziani. L’Africa nera, forte dell’appoggio arabo e di quello cinese, desiderosa di portare avanti i suoi progetti agricoli e idroelettrici, non intende arretrare in riva al Nilo. Il Trattato del 1929, confermato nel 1959, è destinato a divenire carta straccia. Il Cairo dovrà forzatamente modificare una struttura agricola basata sullo sfruttamento intensivo dell’acqua, sull’export di prodotti come il riso e le fragole. L’Egitto è una potenza economica in ascesa, ma è pur sempre il primo importatore mondiale di grano e la dipendenza dalle fluttuazioni del mercato in settori chiave per il mantenimento dell’ordine sociale resta un fattore di debolezza. Un elemento di cui Mubarak deve tenere conto, per evitare che la rivolta del cous cous arrivi anche all’ombra delle piramidi.

DALL’ITALIA UNA PROPOSTA PER LO SVILUPPO DELL’OASI DI SIWA

Arriva dall’Italia una proposta per lo sviluppo sostenibile dell’oasi millenaria di Siwa, in Egitto. Il sito, nel nord del paese africano e punta estrema verso oriente della diffusione della civiltà berbera, rischia di perdere per sempre il suo cuore urbano originario: il millenario quartiere di Shali, costruito con un materiale salino chiamato “kershef”. La pioggia, seppur rara, e l’acqua che affiora quotidianamente dal sottosuolo ne stanno infatti causando lo scioglimento. Inoltre, progetti passati di restauro con materiali moderni non naturali, incoraggiati anche dal costo eccessivo del ‘kershef’, rappresentano una seria minaccia per un luogo che è stato candidato ad essere incluso nella lista dei siti Patrimonio dell’umanità dell’Unesco. Da qui l’Italia è entrata in campo con il progetto “Diarcheo, proposta per uno sviluppo sostenibile dell’Oasi di Siwa”, presentato recentemente al Cairo. L’iniziativa fa parte del complesso programma di sostegno alla cooperazione regionale finanziato dalla direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo (Dgcs) della Farnesina e dal ministero dello Sviluppo economico.

Il progetto, coordinato dalla Regione Puglia in partenariato con la Regione Molise, ha visto la realizzazione di uno studio condotto dal Politecnico di Bari, che propone il recupero dell’utilizzo del kershef per la ricostruzione del centro storico. Introducendo però, alcuni elementi strutturali innovativi che ne migliorerebbero la resistenza. “È l’unico modo, a nostro avviso, di mantenere il valore economico di un bene culturale che rischia altrimenti di andare perduto per sempre”, ha affermato durante la presentazione l’architetto italiano Attilio Petruccioli. Sul valore economico dell’oasi, invece, si è soffermato l’economista Valerio Tuccini dell’Unimed di Roma, il quale ha evidenziato come la salvaguardia dell’identità culturale del luogo può trasformarsi in una importante risorsa per lo sviluppo locale.


Al seminario sono intervenuti – tra gli altri – anche il sindaco di Siwa, Samir Belal, il quale ha accolto con favore la proposta italiana, sottolineando la difficile situazione dell’oasi soprattutto per quel che riguarda l’agricoltura ostacolata dall’acqua salina, e la dottoressa Maria Grazia Rando del Coordinamento della Cooperazione decentrata della Dgcs. Il centro urbano di Shali risale presumibilmente al primo periodo di stanzialità dei berberi. Siwa si trovava al punto di svolta della via della seta, della via del tè e delle vie carovaniere che provenivano dal centro Africa, dirette verso il Mediterraneo e la penisola iberica. Si tratta, dunque, di un punto unico di riferimento geografico e antropologico che ha resistito per millenni e che rischia di scomparire entro una ventina d’anni se dovessero prevalere le esigenze dell’immediato sfruttamento economico.

MIRO IL PRINCIPE DELLA DANZA DEL VENTRE PRESTO IN ITALIA

Miro con l’italianissima Sasha

Il principe della danza del ventre è cosi’ che viene considerato in Egitto. E’ il numero uno. provate questa tradizionale arte , ma con un tocco di fantastico! Miro e’ Professionalmente preparato e proveniente dal Cairo.Primo ballerino dell’ Alf leila wa leila in Sharm el Sheik, il suo talento unico lo ha visto esibirsi in tutto il Medio Oriente, apparire in televisione e addirittura fornire lezioni di regalità femminile. Miro sara’ a maggio ospite d’onore al Congresso Nazionale di Danza del Ventre che si terra’ a Milano marittima .La tradizione della danza del ventre maschile risale al periodo ottomano, quando i ballerini principali sono stati i ragazzi conosciuti come “köçeks”. Miro ricrea questa tradizione del passato in uno spettacolo che lo vede compiere da solo o accompagnato dai suoi ballerini, e comprende la sua famosa danza del tamburo! Da alcuni mesi a questa parte si esibisce con una danzatrice italiana sua allieva Maria in arte Shasa di Sorrento. Shasa e Miro hanno appena concluso un tour che li ha visti protagonisti di spettacoli in Sharm el Sheik nel periodo delle festivita’ nei migliori hotel, acclamati da turisti ed egiziani. Questo spettacolo è una boccata d’aria fresca, offrendo qualcosa di unico, nuovo e poco visto prima!

 

27-28-29 maggio Meeting Events & Congress Srl
Viale Jelenia Gora, 12     48015 Cervia Ravenna

L’EGITTO CONTRO I MATRIMONI TURISTICI

Sazanne Mubarak

Anno nuovo, vita nuova: in Egitto parte proprio a gennaio il piano nazionale della durata di due anni per mettere un freno ai matrimoni delle minorenni e stoppare il fenomeno delle nozze “turistiche” o “stagionali”. Infatti sempre più frequentemente accade che ricchi sceicchi arabi del Golfo vadano in Egitto di proposito per legalizzare le loro unioni matrimoniali con ragazze povere e giovanissime.
Tanti sono i Paesi in cui è diffusa questa pratica, ma in Egitto è in continuo aumento: pensate che soltanto nel 2010 ci sono stati 242 matrimoni turistici.
Nel caso dell’Egitto accade che possidenti uomini arabi prendano in sposa una giovanissima donna egiziana con scarse possibilità economiche, a cui viene affidata una dote. Solo una volta giunta nel Paese del marito la donna viene a conoscenza dell’esistenza di altre mogli.

Il piano fa parte di una più ampia risoluzione sancita in seno al Forum internazionale sul traffico di esseri umani svoltosi nelle scorse settimane a Luxor con l’alto patrocinio di Suzanne Mubarak, moglie del presidente.
Tra le altre cose, in tempi recenti l’Assemblea del Popolo ha approvato un progetto di legge che penalizza il traffico di esseri umani e prevede pene da 7 anni di carcere in su per chi se ne rendesse responsabile.
La legge attualmente in vigore impone di fatto che una ragazza non possa sposarsi prima dei 18 anni e un ragazzo prima dei 21. Nonostante ciò l’Egitto è in testa fra i Paesi arabi dove è più diffuso il costume del matrimonio turistico, presente anche nel Golfo.

ZADI HAWASS E L’OBELISCO DI NEW YORK

L'obelisco all'epoca del suo insediamento

Al Central Park di New York si trova un obelisco di granito rosso ,alto 21 metri e realizzato durante la 18esima dinastia per commemorare il re Tuthmose III, nonno di Tutankhamon. Questo obelisco è uno di coppia di obelischi gemelli originariamente eretti in Heliopolis, ma poi spostati ad Alessandria, di fronte al tempio dedicato al Divino Giulio Cesare.
Nel corso del 19 ° secolo, il Khedive d’Egitto, che ha governato come viceré del sultano di Turchia tra il 1879 e il 1914, ha donato due obelischi alle nazioni industrializzate occidentali in cambio di aiuti esteri per modernizzare l’Egitto ( canale di Suez). L’obelisco di Londra è stata innalzato nel 1879, il suo gemello invece fu eretto a Central Park nel 1881. Da allora è comunemente conosciuto come “Cleopatra Needle”.
Durante la sua ultima visita a New York, Zahi Hawass, segretario generale del Supremo Consiglio delle Antichità (SCA), ha potuto appurare che l’obelisco ha severamente resistito alle intemperie del secolo scorso ma non è stato adeguatamente conservato nè sono stati compiuti sforzi per conservarlo . Questo fatto ha portato Hawass a scrivere una lettera al presidente del Central Park Conservancy e al sindaco di New York City per chiedere il loro aiuto nella cura dell’obelisco, avvisando che , nel caso non fossero state prese tutte le misure necessarie per migliorarne la conservazione, avrebbe provveduto a fare in modo di riportarlo a casa.
Questo avvertimento ha creato trambusto nella stampa americana.

Le gravi lesioni ai geroglifici

“Io sono responsabile di tutti i monumenti egiziani e uno dei miei compiti è quello di monitorare il patrimonio Egitto, sia nel paese o all’estero”, ha detto Hawass ad Ahram Online . Ha continuato: “Perché uno dei principali obiettivi del mio mandato di segretario generale di SCA è stata la conservazione e protezione delle antichità egizie, ritengo necessario che io lotti per il restauro di questo obelisco”.
Hawass ha aggiunto che le foto recenti mostrano che l’obelisco ha subito gravi danni, soprattutto al testo geroglifico inciso su di esso.

Secondo il New York Post , il Dipartimento Parchi ha detto che il monumento è in gran forma per la sua età e non è in alcun bisogno di un lifting.
“Abbiamo grande rispetto per questo artefatto egiziano” Jonathan Kuhn, direttore di oggetti d’arte del New York City Parks and Recreation Department ha detto al New York Post . Ha continuato sostenendo che una relazione datata 1980 rivela che il monumento aveva già qualche danno alle iscrizioni sui fianchi, ma che il danno è stato fatto prima del 20 ° secolo.

CHIUDE LA TOMBA DI TUTHANKAMON

Zadi Hawass nella tomba di Tuthankamon

Il segretario generale del consiglio supremo delle antichità egiziane Zahi Hawass ha annunciato che la tomba di Tutankhamon, nella Valle dei Templi di Luxor, sarà presto chiusa ai visitatori per evitare che questi la distruggano. La misura sarà applicata anche ad altre due celebri tombe di Luxor, quelle di Seti I di Nefertari, padre e moglie di Ramses II, che regnò dal 1314 al 1304 a.C.

Hawass ha spiegato che altrimenti «queste tombe sarebbero totalmente distrutte nel giro di 200 anni». Secondo l’egittologo Basaam el Shamaa «l’umidità causata dalla respirazione e dal sudore dei turisti» – in agosto le temperature superano i 50 gradi – «danneggiano le tombe».

Gli egiziani prevedono di realizzare a breve una «valle delle riproduzioni». Esperti sono già al lavoro con i laser per preparare immagini e copie esatte di interni, decorazioni e dipinti, delle tre tombe, che saranno ricostituite nei dintorni per i turisti. Le tombe originali potranno essere ancora visitate da pochissimi privilegiati, specialisti di egittologia, che però, avverte Hawass, pagheranno «biglietti d’ingresso carissimi». Scoperta nel 1922 dall’archeologo britannico Howard Carter, la tomba di Tutankhamon è ritenuta quella meglio conservata. È una delle principali attrazioni turistiche del paese. Ma, spiega Hawass, ora «è più importante proteggere la storia che il turismo».

LA CURA DELLA PELLE NELL’ANTICO EGITTO

La cura della pelle era alla base del concetto stesso di bellezza nell’antico Egitto.

I papiri ci hanno tramandato ricette millenarie di cui colpisce, prima di ogni altro aspetto, il binomio tra modernità (alcuni ingredienti di allora sono adoperati anche nella cosmesi odierna) e ripugnanza, dato l’uso massiccio di “materie prime” da far accapponare la pelle.

In alcuni post precedenti, questo blog aveva chiarito l’importanza della depilazione fra le donne egizie, attuata con vari metodi; per perfezionarla, lenire la pelle ed attenuare inevitabili rossori provocati dall’ operazione, si applicavano creme dalla preparazione a dir poco bizzarra, a base di ossa di uccelli bollite, succo di sicomoro, cetriolo e gomma, con l’aggiunta di…sterco di mosca.

In un Paese dal clima particolarmente caldo come l’Egitto, la profumazione della pelle con sostanze odorose e balsamiche era indispensabile; veri e propri deodoranti si ottenevano dalla scorza macinata di carrube o palline di farina d’avena, un ingrediente talmente efficace e portentoso da costituire la base di molte creme e preparati anche oggi.

Ovviamente, la pelle del viso costituiva il fulcro delle quotidiane cure di bellezza delle signore egiziane; essa doveva essere sempre liscia, morbida e levigata, anche per essere preparata nel modo migliore al trucco, piuttosto elaborato e pesante.

Un peeling efficace e comune, era costituito da un preparato a base di polveri di alabastro e carbonato di soda, insieme a miele e sale marino, dal noto effeto “scrub” naturale e meccanico.

Infine, non potevano mancare gli antirughe; i segni del tempo sul volto venivano contrastati da cere, olio di moringa, incenso e calamo, pianta palustre dai molteplici effetti benefici usata a tutt’oggi in erboristeria.

UNA FOTO AL GIORNO

La vita notturna di Naama Bay

DOMANI LA PRIMA PUNTATA DI DONNAVVENTURA: EGITTO!!

Il viaggio su strada è finito, ma l’avventura in televisione comincia. Da domani per 10 Domeniche consecutive andrà in onda su Rete 4 Donnavventura 2010, “Dalle Alpi alle Piramidi”, il Grand Raid d’Egitto che, partito dall’Italia il 20 agosto, ha attraversato Grecia, Turchia, Siria e Giordania per raggiungere il Medio Oriente. Le sei ragazze protagoniste – Clotilde (test driver di OmniAuto.it), Stefania, Ana, Valentina, Chiara e Laura – sono arrivate in Egitto a bordo dei quattro Mitsubishi L200 e delle due ASX ed ora sono tornate a casa, mentre sono ufficialmente iniziate le selezioni per il team del 2011.

La prima parte del viaggio “Dalle Alpi alle Piramidi” ha permesso al team di abituarsi ai veicoli percorrendo strade asfaltate fino all’arrivo in Siria dove è iniziato il primo deserto, l’apprendimento della guida su sabbia e piste non asfaltate non è stato immediato, ma alla fine tutte hanno dimostrato di sapersela cavare. La carovana ha viaggiato da Milano a Matera passando per Atene, Meteore, Alexandropolis (dove è avvenuta una prima parte di navigazione a bordo di un catamarano, tra le isole greche), Istanbul, Kusadasi (seconda parte di navigazione per la costa turca), Aleppo, Palmira, Damasco, Amman, Mar Morto, Petra, Aqba, Wady Rum ed Egitto. “Se chiudo gli occhi vedo un infinità di cose, tantissimi fotogrammi che faccio fatica a riordinare a classificare, 4 mesi di viaggio, 110 giorni di certo non sono facili da racchiudere in poche righe – scrive Clotilde -. Se chiudo gli occhi però due episodi mi vengono alla mente, non sono momenti piacevoli, ma comunque hanno fatto parte di questo viaggio e di questa storia, sono le due volte che sono stata male.

Due volte in cui avrei voluto veramente essere a casa e invece ero qui. Due volte in cui per colpa di un maledetto malessere non sono riuscita ad uscire dalla stanza e vedere ciò per cui per me valeva la pena il viaggio: Petra e Abu Simbel. Momenti di paura, momenti belli, se chiudo gli occhi vedo immense distese di deserto, infiniti chilometri di sabbia e una carovana bianca che avanza. Se chiudo gli occhi vedo troppe cose, ma per ora i miei occhi sono ancora spalancati per vedere queste poche settimane della fine poi terminerà tutto e anche senza chiudere gli occhi questo viaggio lo ricorderò per sempre…”.

Prima puntata: Domenica 9 gennaio su Rete4 dalle 13,55 alle 14,50

LA BELLEZZA NELL’ANTICO EGITTO

Non è difficile studiare la cosmesi egizia: le numerose testimonianze pittoriche pervenuteci infatti, “parlano” in modo più che eloquente, mostrandoci chiaramente il look, il trucco e le pettinature in voga migliaia di anni fa presso quella popolazione così sensibile e attenta alla bellezza e alla cura del corpo.

Sia uomini che donne facevano largo impiego di cosmetici per truccare il viso; anche se determinati aspetti, ovviamente, sono mutati nel corso dei secoli, il make-up degli egiziani mantenne sempre intatte alcune peculiari caratteristiche, come l’uso di colori accesi, il contorno definito degli occhi, la pelle perfetta.

Nella storia più remota, per il trucco si usava soprattutto la malachite, ovvero un carbonato di rame dal colore verde intenso, e la galena, cioè un solfuro di piombo che produceva un colore scuro e intenso; questi elenti di base venivano mescolati ad acqua, resine e grassi e poi applicati sugli occhi con l’aiuto di bastoncini di legno (se ne possono vedere di bellissimi nel Museo Egizio di Torino oltre che, è ovvio, in quello de Il Cairo).

Il trucco consisteva nel tratteggiare in modo piuttosto marcato il contorno della palpebra, prolungandola agli angoli esterni.

In epoca più recente, intorno all’inizio del Medio Regno, diventò di moda il trucco con bistro nero, eseguito anch’esso con l’uso di galena (tossica, esattamente come la malachite).

L’ocra rossa completava il raffinato make-up: spalmata in polvere sulle guance conferiva loro una bella e salutare coloritura rossastra, mescolata a oli, grassi e resine, diveniva un rossetto per le labbra.

SULLA STRAGE DI CAPODANNO AD ALESSANDRIA

Un interessante e lucido articolo a firma Giacomo Galeazzi è apparso ieri su Lastampa.it


Al Qaeda ha rivendicato l’attentato di Capodanno ad Alessandria d’Egitto e l’Italia chiederà l’intervento dell’Unione europea. «Questo vile gesto di morte, come quello di mettere bombe ora anche vicino alle case dei cristiani in Iraq per costringerli ad andarsene, offende Dio e l’umanità intera, che proprio ieri ha pregato per la pace e ha iniziato con speranza un nuovo anno – ha evidenziato ieri il Pontefice -. Davanti a questa strategia di violenze che ha di mira i cristiani, e ha conseguenze su tutta la popolazione, prego per le vittime e i familiari, e incoraggio le comunità ecclesiali a perseverare nella fede e nella testimonianza di non violenza che ci viene dal Vangelo. Penso anche ai numerosi operatori pastorali uccisi nel 2010. Rimaniamo uniti in Cristo». Ai funerali delle vittime e nella provincia meridionale di Assiut, ieri i copti hanno manifestato la loro rabbia accusando il governo di abbandonarli alla furia distruttrice dei fondamentalisti. Migliaia di copti, provenienti dal quartiere popolare a maggioranza cristiana di Shubra e da altre zone, sono scesi in piazza al centro del Cairo e hanno occupato il lungo Nilo per un chilometro tra l’edificio della tv statale e il ministero degli esteri. Durante le proteste sono stati scanditi slogan contro «la carenza di polizia», appelli alla «vendetta» e all’« uguaglianza con i musulmani». La polizia è intervenuta e negli scontri dieci copti sono rimasti lievemente feriti.Le tensioni tra le comunità confessionali in Egitto sono aumentate negli ultimi mesi. I copti, che rappresentano il 10% della popolazione, stimata in 80 milioni, si sentono marginalizzati e minacciati. La Santa Sede mette in guardia dalla «cristianofobia». Missioni, nunziature, Comunità di Sant’Egidio, parrocchie, in terra d’Islam la Chiesa in prima linea racconta di sangue innocente, discriminazioni, intolleranze ma anche tentativi di convivenza e pacificazione.La mappa delle persecuzioni anticristiane è al tempo stesso un martirologio globalizzato e un «patchwork» di situazioni locali. «La grande differenza di territori e circostanze della persecuzione è dovuta al fatto che non esiste un solo Islam, anche negli stessi Paesi islamici – spiega il teologo Gianni Gennari -. In Iraq, per esempio, le tensioni tra sunniti e sciiti sono forti e anche violente. Non c’è, anche nelle diverse versioni dell’Islam, un’autorità riconosciuta unica, ma spesso sono diverse e in conflitto tra loro».Ciò fa sì che ovunque, anche approfittando di situazioni sociali e politiche diverse (povertà, tirannie più o meno fondamentaliste o più o meno laiche) «il malcontento popolare possa facilmente essere indirizzato verso le fasce di popolazione religiosamente “diverse”, il che da sempre comporta anche delle diversità sociali», evidenzia Gennari.Ad accomunare i fronti della violenza, è l’escalation di tensioni attorno alle minoritarie «cittadelle» cristiane, il generale clima di ostilità verso i discepoli di Gesù, spesso costretti a fuggire dal terrore degli attentati e da condizioni di vita insostenibili. Nell’Egitto di fine regime Mubarak migliaia di emigranti tornano dall’Arabia Saudita con la mentalità wahabita di voler islamizzare la società. E per le famiglie copte la vita si è fatta dura soprattutto al Sud, come dimostrano gli attentati a Luxor. Ad Alessandria i cristiani non si erano mai nascosti, invece adesso è diventato pericoloso mangiare o bere in pubblico durante il digiuno del Ramadan ed è considerato «atto insolente» indossare abiti non abbastanza larghi.

Sul problema dei copti in Egitto pubblico anche il link ad un articolo sicuramente ben scritto, ma da cui prendo le distanze in quanto non sono a sufficientemente a conoscenza dei fatti e credo che le versioni su questa storia siano talmente tante e talmente diverse che difficilmente si potrà mai arrivare alla verità! Pubblico il link solo affinchè ci si possa almeno in parte rendere conto del livello di esasperazione che raggiungono i temi religiosi in Egitto! In Italia certe cose non si potrebbero forse neppure pensare!!

LA VERITA’ SULLA GUERRA TRA CRISTIANI E MUSULMANI IN EGITTO….


GIACOMO GALEAZZI
Al Qaeda ha rivendicato l’attentato di Capodanno ad Alessandria d’Egitto e l’Italia chiederà l’intervento dell’Unione europea. «Questo vile gesto di morte, come quello di mettere bombe ora anche vicino alle case dei cristiani in Iraq per costringerli ad andarsene, offende Dio e l’umanità intera, che proprio ieri ha pregato per la pace e ha iniziato con speranza un nuovo anno – ha evidenziato ieri il Pontefice -. Davanti a questa strategia di violenze che ha di mira i cristiani, e ha conseguenze su tutta la popolazione, prego per le vittime e i familiari, e incoraggio le comunità ecclesiali a perseverare nella fede e nella testimonianza di non violenza che ci viene dal Vangelo. Penso anche ai numerosi operatori pastorali uccisi nel 2010. Rimaniamo uniti in Cristo». Ai funerali delle vittime e nella provincia meridionale di Assiut, ieri i copti hanno manifestato la loro rabbia accusando il governo di abbandonarli alla furia distruttrice dei fondamentalisti. Migliaia di copti, provenienti dal quartiere popolare a maggioranza cristiana di Shubra e da altre zone, sono scesi in piazza al centro del Cairo e hanno occupato il lungo Nilo per un chilometro tra l’edificio della tv statale e il ministero degli esteri. Durante le proteste sono stati scanditi slogan contro «la carenza di polizia», appelli alla «vendetta» e all’« uguaglianza con i musulmani». La polizia è intervenuta e negli scontri dieci copti sono rimasti lievemente feriti.Le tensioni tra le comunità confessionali in Egitto sono aumentate negli ultimi mesi. I copti, che rappresentano il 10% della popolazione, stimata in 80 milioni, si sentono marginalizzati e minacciati. La Santa Sede mette in guardia dalla «cristianofobia». Missioni, nunziature, Comunità di Sant’Egidio, parrocchie, in terra d’Islam la Chiesa in prima linea racconta di sangue innocente, discriminazioni, intolleranze ma anche tentativi di convivenza e pacificazione.La mappa delle persecuzioni anticristiane è al tempo stesso un martirologio globalizzato e un «patchwork» di situazioni locali. «La grande differenza di territori e circostanze della persecuzione è dovuta al fatto che non esiste un solo Islam, anche negli stessi Paesi islamici – spiega il teologo Gianni Gennari -. In Iraq, per esempio, le tensioni tra sunniti e sciiti sono forti e anche violente. Non c’è, anche nelle diverse versioni dell’Islam, un’autorità riconosciuta unica, ma spesso sono diverse e in conflitto tra loro».Ciò fa sì che ovunque, anche approfittando di situazioni sociali e politiche diverse (povertà, tirannie più o meno fondamentaliste o più o meno laiche) «il malcontento popolare possa facilmente essere indirizzato verso le fasce di popolazione religiosamente “diverse”, il che da sempre comporta anche delle diversità sociali», evidenzia Gennari.Ad accomunare i fronti della violenza, è l’escalation di tensioni attorno alle minoritarie «cittadelle» cristiane, il generale clima di ostilità verso i discepoli di Gesù, spesso costretti a fuggire dal terrore degli attentati e da condizioni di vita insostenibili. Nell’Egitto di fine regime Mubarak migliaia di emigranti tornano dall’Arabia Saudita con la mentalità wahabita di voler islamizzare la società. E per le famiglie copte la vita si è fatta dura soprattutto al Sud, come dimostrano gli attentati a Luxor. Ad Alessandria i cristiani non si erano mai nascosti, invece adesso è diventato pericoloso mangiare o bere in pubblico durante il digiuno del Ramadan ed è considerato «atto insolente» indossare abiti non abbastanza larghi.

CONTINUI INVESTIMENTI EGIZIANI IN ENERGIE RINNOVABILI

(AGIAFRO) – Il Cairo, 27 dic. – Due localita’ egiziane situate in pieno deserto nei pressi dell’oasi di Siwa – Umm Al-Saghir e Ain Zahra – riceveranno il fabbisogno di energia elettrica da una centrale termosolare (Specchi che concentrano l’energia del sole ndr). Lo ha riferito il ministro dell’Energia, Hassan Younes, il quale ha precisato che l’elettricita’ prodotta dal solare servira’ ad alimentare abitazioni private, ospedali, scuole e moschee. Il ministro ha aggiunto che il progetto fa parte di un programma che ha l’obiettivo di portare l’elettricita’ ricavata dal solare nei centri abitati non ancora collegati alla rete nazionale.