DALLA RIVOLUZIONE IN PIAZZA A QUELLA IN LIBRERIA

Dopo la rivoluzione delle piazze quella nelle librerie? Se lo stanno chiedendo autori e osservatori attenti del panorama culturale egiziano, attraversato da una ventata di rinnovamento e fermento creativo.

“Bisogna che la letteratura e la società civile ritrovino quel contatto a lungo dimenticato, impoverito da anni di pubblicazioni sottoposte al rigido controllo della censura. Ma è un processo che si sta già verificando. Penso ai numerosi editoriali che Ala al Aswany, un autore di grande successo ma finora tenuto ai margini dal regime, scrive in questi giorni sul quotidiano indipendente ‘Al masry al youm” osserva Fadi, ex-responsabile della casa editrice ‘Al Shorouk’ e oggi “completamente dedicato alla causa della rivoluzione” come precisa alla MISNA.

“Prima, in Egitto, era difficile trovare i suoi libri, come anche quelli di molti altri autori messi all’indice perché non piacevano o erano dichiaratamente contro il governo. Adesso, come per magia, sugli scaffali delle librerie si vedono spuntare titoli prima introvabili e le case editrici hanno già disposto la ristampa di vecchi saggi e pubblicazioni che prima circolavano solo di contrabbando” afferma l’attivista, secondo cui “la massiccia partecipazione di intellettuali e scrittori alla rivoluzione ha finalmente segnato il momento, dell’uscita uscita dalle ‘torri d’avorio’ della letteratura e della condivisione di valori e ideali con la gente del popolo.

Torri d’avorio che non hanno impedito a Nawal el Saadawi, ottantenne scrittrice e attivista per i diritti umani di accamparsi nella piazza Tahrir assieme ai ‘giovani della rivoluzione o ad autori come Magdy el Shafee o lo stesso Al Aswany di pubblicare libri come ‘Metro’, la prima graphic novel egiziana (edita in Italia da ‘Il Sirente’) o ‘Il palazzo Yacoubian’; entrambe opere in cui si descrive con realismo la difficile condizione di vita nell’Egitto dell’era Mubarak.

“C’è tutta una nuova generazione di scrittori e artisti egiziani che non aspetta altro che di far conoscere il suo punto di vista su quello che sta accadendo. La rivoluzione ha portato una ventata d’aria fresca nella realtà finora asfittica della produzione culturale” osserva ancora Fadi. È in questo clima di ottimismo e fermento che nasce la possibilità di tenere la prossima fiera del libro del Cairo proprio in piazza Tahrir, alla fine di marzo. Un evento, a cui partecipano ogni anno migliaia di case editrici e autori con incontri e seminari, nel luogo simbolo del ‘nuovo Egitto’.

ALLARME PER I SITI ARCHEOLOGICI EGIZIANI

PARIGI – «I siti archeologici dell’Egitto sono in pericolo, salviamoli»: è l’appello lanciato oggi a Parigi dall’Unesco, che ha chiesto «la mobilitazione internazionale» perché gli oggetti rubati sui siti non entrino nel mercato dell’arte.

«Riceviamo informazioni allarmanti dall’Egitto sui diversi siti archeologici ed il museo del Cairo. Siamo molto preoccupati», ha detto Irina Bokova, direttrice generale dell’organizzazione delle Nazioni Unite che ha sede a Parigi, dove si è tenuta oggi una riunione sui 40 anni della Convenzione per la lotta contro il traffico illegale delle opere d’arte.

L’Unesco aveva già lanciato un appello di questo tipo all’inizio del mese di febbraio, dopo che alcuni furti erano stati registrati al museo del Cairo. Le nuove preoccupazioni dell’Unesco derivano dal rischio costante di saccheggi sui siti storici. «Abbiamo bisogno di una mobilitazione internazionale», ha detto la Bokova, per evitare che gli oggetti rubati entrino sul mercato dell’arte. La direttrice dell’Unesco ha anche annunciato di aver scritto alle autorità egiziane la settimana scorsa al fine di «prendere misure concrete per proteggere i siti».

UNA BELLA MOSTRA FOTOGRAFICA A BARI

La libertà, lo sviluppo, la povertà e la tradizione. Alle aspirazioni dei popoli del nord Africa è dedicata la mostra “Egypt pixel society” del fotografo José Carlos Bellantuono che resterà aperta nel Palazzo Sagges  di Barifino al 31 marzo. “Il progetto – ha spiegato l’artista – è stato portato avanti dal 2009. Ricordo di aver percepito l’avanzarsi di un movimento molto evidente dilagante tra gli strati della borghesia e tra i ceti più colti. Ho pensato di riprodurre nelle immagini questa esigenza, traducendola in arte concettuale. Sono nati così questi frammenti che non rappresentano l’intera realtà, ma che presentano tuttavia dei segni che possono essere oggetto di interpretazione. Molte riprese fotografiche sono state realizzate nella città vecchia di El Quezer, in Egitto, sul Mar Rosso. Per i supporti delle foto ho scelto materiali riciclati e un formato che richiamasse l’idea dei manifesti”

 

IL FASCINO DELL’EGITTO AD ORVIETO

Una grande mostra sull’Egitto sarà allestita dal 12 marzo al 2 ottobre a Orvieto. La organizzano e propongono congiuntamente la Fondazione per il Museo “Claudio Faina” e la Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto nelle loro due sedi, una affacciata e l’altra in prossimità della piazza che accoglie il celebre Duomo della città umbra.
Va subito chiarito che non si tratta di una ulteriore tappa di una “mostra di giro”. Riunirà circa 250 reperti – molti davvero di grande importanza – concessi da una quindicina di musei e istituzioni culturali italiane.
Il sottotitolo evidenzia chiaramente il taglio che gli studiosi hanno voluto imprimere a questa ampia, importante rassegna: “Il ruolo dell’Italia pre e post-unitaria nella riscoperta dell’antico Egitto”, ovvero ciò che gli egittologi partiti dal nostro Paese hanno saputo fare intorno alle sponde del Nilo, lì attratti dallo spirito d’avventura, talvolta dalla sete di facili guadagni, molte altre dall’obiettivo di approfondire le conoscenze sull’antica Terra dei Faraoni.

“Il fascino dell’Egitto”, richiamato dal titolo della mostra, attraversa almeno tremila anni di storia dell’umanità. Dalla terra d’Egitto vennero tratte idee culturali, culti, divinità, usi e costumi; poi, quasi a voler catturare il senso di mistero e di eternità di quella magica civiltà, vennero asportate le testimonianze materiali: fossero i grandi obelischi che raggiunsero Roma, o ciò che veniva trafugato dalle tombe. Un fascino che dall’antichità contagiò il Medio Evo e incantò il Rinascimento quando principi e intellettuali si contendevano reperti considerati molto più che semplici curiosità archeologiche.
Ma è alla fine del Settecento e soprattutto durante l’Ottocento che oasi e sabbie d’Egitto vengono battute palmo a palmo da europei, e tra loro molti gli italiani, alla ricerca di quanto sopravviveva di una epoca trascurata dalla dominazione turca.
L’egittologia moderna ha una precisa data di nascita, l’anno 1822, quando Jean-François Champollion decifra, grazie alla stele di Rosetta, la scrittura geroglifica. Con lui, in una spedizione congiunta franco-toscana che percorse l’Egitto (1828-1829), c’era l’italiano Ippolito Rossellini.

Il catalogo della mostra

In realtà, come la mostra documenta, protagonisti di una “corsa all’Egitto” furono uomini che al fascino dei Faraoni univano spesso quello del commercio antiquario. Due di loro hanno creato le basi per altrettanti musei. Giovanni Battista Belzoni, padovano, il primo ad entrare nella piramide di Chefren e nel tempio rupestre di Ramesse II ad Abu Simbel, trovò l’ingresso di sontuose tombe nella Valle dei Re e mise insieme, per il suo committente Henry Salt, il nucleo fondante della collezione egizia del British Museum, senza dimenticare la sua città cui legò alcuni importanti reperti. Il secondo, Bernardino Drovetti, piemontese, console di Francia in Egitto, riunì una collezione non meno vasta che venduta ai Savoia, è oggi il nucleo fondante di un altro museo, l’Egizio di Torino.
Due storie tra tante di un’epoca che vide italiani protagonisti in Egitto. Il percorso espositivo di storie curiose ne presenta molte. Come quella di Luigi Vassalli, pittore e intellettuale milanese, che la passione politica e il ruolo di patriota risorgimentale portò in Egitto dove esule divenne un collaboratore di Auguste Mariette e un valente egittologo nell’ambito del Servizio di Antichità egiziano come ispettore agli scavi. A lui si devono numerose iniziative nel campo della nascente egittologia italiana e una breve direzione della collezione egizia del Museo Archeologico di Napoli.
Ma anche Carlo Vidua e Giuseppe Acerbi che dell’egittologia italiana rappresentano personaggi di rilievo. Ma è sulla figura di Ernesto Schiapparelli che “Il fascino dell’Egitto” si sofferma in modo più ampio. Schiapparelli scoprì la Tomba di Nefertari e la sepoltura di Kha, l’architetto reale, quest’ultima perfettamente conservata, prima di essere direttore del Museo Egizio di Firenze e poi di quello di Torino.
I numerosi spunti offerti dai materiali esposti permetteranno inoltre di affrontare in modo esaustivo alcuni aspetti della vita quotidiana nell’antico Egitto, di approfondire temi affascinanti come la conservazione di materiali delicati quali le stoffe, e di analizzare le informazioni che i ricercatori contemporanei possono trarre dalle analisi diagnostiche più all’avanguardia.

Ho già parlato della mostra di Orvieto in questo blog. Se ti fosse sfuggito l’articolo, clicca qui

Sevuoi visitare il sito ufficiale della mostra clicca qui: www.ilfascinodellegitto.it

L’egittologa Elvira D’Amicone, della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e del Museo di Antichità Egizie di Torino. ci parla della mostra sull’Antico Egitto appena iniziata ad Orvieto

 

ARCHEOLOGI ITALIANI RIENTRANO DALL’EGITTO

Un rientro tutto sommato senza ritardi ma non proprio in condizioni di massima tranquillità quello della missione scientifica di alcuni docenti della Facoltà di Conservazione dei beni culturali dell’Università di Viterbo.

Erano in Egitto proprio nei giorni più caldi quando è scoppiata la rivolta. Sono tornati grazie all’invio dall’Italia dei biglietti aerei indisponibili sul posto. Il prof. Marcello Spanu, docente di urbanistica nel mondo classico era stato invitato, insieme con altri docenti dell’ateneo viterbese tra i quali il dott.Giuseppe Romagnoli, a far parte del gruppo di lavoro operante nell’antica Antinoupolis.

Questa è una delle missioni italiane “storiche” operanti all’estero: attiva dal 1938 è attualmente diretta dal prof. Rosario Pintaudi per conto dell’Istituto Papirologico “G.Vitelli” di Firenze, ente di riferimento nazionale per lo studio dei papiri greco-romani.

All’unità di ricerca viterbese è stato affidato, proprio per la sua alte specializzazione e professionalità, lo studio topografico-urbanistico della città: un caso del tutto particolare dal momento che Antinoupolis è l’unica fondazione romana in tutto l’Egitto. La città ubicata lungo la riva orientale del Nilo nel Medio Egitto, fu voluta dall’imperatore Adriano nel luogo dove morì il suo preferito Antinoo e visse sin dopo la conquista araba.

Ora si spera che l’opera scientifica portata avanti dagli esperti dell’università della Tuscia possa continuare e per questo sono già stati avviati contatti. Anche perché ha grande valenza culturale non solo per l’Egitto. Il progetto che prevede la durata di alcuni anni, richiederà le usuali e consolidate metodologie della topografia antica con l’obiettivo primario di redigere la carta archeologica della città, in modo quanto più possibile dettagliato. Questa prevederà la raccolta di tutti i dati descrittivi ed analitici delle strutture architettoniche e la realizzazione di tutta la documentazione grafica e fotografica, ad esse pertinenti.

PIRAMIDI COSTRUITE DAGLI SCHIAVI?? UNA BUFALA

Contrariamente a quanto riferito da Erodoto e dalla Bibbia le grandi piramidi di Giza non furono costruite da schiavi ma da uomini liberi. La sorprendente scoperta è dovuta all’individuazione di un’altra necropoli nelle immediate vicinanze delle tombe dei faraoni destinata ad ospitare coloro che avevano lavorato all’edificazione delle piramidi. Il fatto che “queste tombe costruite accanto alle piramidi dei re (tra quella di Cheope e quella di Chefren) indica che queste persone non potevano essere in alcun modo degli schiavi”, ha spiegato Zahi Hawass, il sovrintendente capo delle Antichita’ egiziane. Le prime sepolture di operai vennero scoperte negli anni ’90. Nel sito portato alla luce ora sono state ritrovate delle iscrizioni in cui gli operai si definiscono “amici di Cheope“, un ulteriore elemento per Hawass per avvalolare l’ipotesi che non si trattasse di schiavi. L’altra grande novita’ e’ che gli operai erano 10.000, un decimo di quelli indicati da Erodoto. Alla stima si e’ giunti grazie al ritrovamento del resoconto della fornitura giornaliera di cibo per i lavoratori: i contadini del delta del Nilo, in cambio dell’esenzione dalle tasse, inviavano ogni giorno 21 bufali e 23 pecore al campo.

ANCORA AMENHOTEP III

I frammenti di una statua che rappresenta un dio antico e un faraone sono stati scoperti tra le rovine di quello che fu il più grande tempio funerario egiziano, sulla riva occidentale di Luxor. Lo ha annunciato il servizio dei beni culturali precisando di aver rinvenuto un busto del dio Hapi, rappresentato sotto forma di un babbuino, e le gambe della statua del faraone Amenhotep III. “Si tratta della prima statua di questo tipo e mostra il re seduto, con il dio Hapi, uno dei quattro figli di Horus al suo fianco”, ha aggiunto Zahi Hawass, responsabile del servizio. Un gruppo di archeologi sta lavorando per riportare alla luce il tempio, uno dei più grandi tra quelli funerari fino al suo crollo avvenuto 2000 anni fa. Secondo Hawass la zona potrebbe essere stata utilizzata durante l’antichità per seppellire statue danneggiate. “Le statue, avendo un significato religioso, non potevano essere distrutte”, ha aggiunto.
(da Apcom dicenmbre 2010)

DONNE CUCITE. INCHIESTA SULLA MUTILAZIONE GENITALE FEMMINILE

Donne cucite tratta di storie raccontate direttamente dalle donne che hanno vissuto l’esperienza drammatica dell’infibulazione.

L’opera raccoglie dati e informazioni storiche, forniti delle esperienze soggettive e dagli episodi a cui ha assistito personalmente l’autrice, tali da mettere il lettore nelle condizioni di comprendere meglio l’atmosfera culturale tanto distante e complessa all’interno della quale si compiono dei veri e propri abusi. Le protagoniste principali delle storie sono bambine, mamme, donne e le mammane dell’infibulazione (cioè coloro che la compiono di fatto), persone che Sabrina Avakian ha incontrato nel corso del suo lavoro.

Il libro vuole documentare l’origine dell’infibulazione, ma soprattutto vuole dar voce alle bambine mutilate e deturpate emotivamente per essere accettate dalla famiglia, dalla comunità e dai loro futuri mariti: bambine sane, belle, creative ed entusiaste di vivere, che vengono strappate ai loro giochi e sottoposte a una pratica che invade profondamente la loro intimità.

Nonostante l’esistenza di strumenti internazionali come la Dichiarazione sull’eliminazione di tutte le forme d’intolleranza e di discriminazione fondate sulla religione o il credo, basata sul fatto che le credenze culturali e religiose in cui un minore cresce non devono ledere la sua integrità fisica o psicologica, il numero delle bambine infibulate, tutt’oggi, è ancora molto alto.

Un saggio-reportage che è un’accorata denuncia e insieme un tentativo di sensibilizzazione culturale.

Acquista il libro online

Sabrina Avakian

Sabrina Avakian nasce ad Addis Abeba (Etiopia) da madre italiana e padre armeno. La sua appartenenza a un gruppo minoritario decimato da un genocidio dimenticato dal mondo la porta a lavorare nel settore della Giustizia e dei Diritti Umani per dar voce ai più “deboli”. Nel marzo del 1993, dopo la Laurea in Scienze della Formazione e diversi Master e corsi di specializzazione nel settore psico-pedagogico e Diritti Umani svolti in ambito europeo, inizia a lavorare con l’ONU nel settore umanitario. Nel 1989 si dirige come volontaria ai confini con il Sudan, dove si occupa di alfabetizzazione per minori e donne. Successivamente, nel 1995, inizia a operare nelle missioni di pace ONU occupandosi di Diritti umani: si reca in Angola, Mozambico e Capoverde, Tanzania, Ruanda, Darfur, Somalia, Somali Region (Etiopia), Kosovo, Macedonia. In ambito europeo ha lavorato nel settore umanitario anche in Italia, dedicandosi prevalentemente a prevenire la mutilazione genitale femminile e alla tutela dei diritti dei minori.

Tra le sue pubblicazioni: Bambini al Rogo (Salani); UNFPA-FNUAP – The Trajectory of Life as Internally Displaced persons in Angola (Fertility-Mortality-Migration-Gender. etc…), United Nations; UNICRI-COOPERAZIONE ITALIANA – Booklets for children in conflict with the law, United Nations; UNICRI-COOPERAZIONE ITALIANA – Ministry of Justice Angola Technical support for the elaboration of a text book on best practices and international conventions relating to youth and children.

Scrive rubriche su internet per Donna Moderna.

 

Ho parlato in questo blog anche del libro BAMBINI AL ROGO scritto dalla stessa autrice. Leggi qui l’articolo

 

IL MUSEO EGIZIO DI TORINO

Il Museo delle antichità egizie di Torino, meglio conosciuto semplicemente come Museo egizio, è considerato, per il valore dei reperti, il più importante del mondo dopo quello del Cairo, nonchè il più importante d’Italia seguito da quello di Firenze.
Ha sede nello storico Palazzo dell’Accademia delle Scienze, sede dell’omonima Accademia e che ospita anche la Galleria Sabauda, eretto nel XVII secolo dall’architetto Guarino Guarini.
Nel 2006 è stato visitato da 554.911 persone, con un aumento del 93,8% rispetto al 2005.
Il museo è stato fondato nel 1824 da Carlo Felice, che acquistò la Collezione Drovetti, composta dai ritrovamenti di Bernardino Drovetti, console francese in Egitto. Fu in seguito ampliato con i reperti provenienti dagli scavi di Ernesto Schiaparelli proveniente da Barbania.
Nel museo sono presenti circa 30mila pezzi che coprono il periodo dal paleolitico all’epoca copta.

 

I più importanti sono:
la tomba intatta di Kha e Merit
il tempio rupestre di Ellesija
il Canone Reale, conosciuto come Papiro di Torino, una delle più importanti fonti sulla sequenza dei sovrani egizi
la Mensa isiaca, che i Savoia ottengono dai Gonzaga nel XVII secolo
la tela dipinta di Gebelein
i rilievi di Djoser
le statue delle dee Iside e Sekhmet e quella di Ramesse II scoperte da Vitaliano Donati nel tempio della dea Mut a Karnak
il Papiro delle miniere d’oro

Il 6 ottobre 2004 è stato firmato un accordo trentennale tra la Fondazione Museo delle antichità egizie e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali per conferire i beni del museo alla Fondazione, presieduta dallo scrittore Alain Elkann e di cui fanno parte la Regione Piemonte, la Provincia di Torino, la Città di Torino, la Compagnia di San Paolo e la Fondazione CRT.
In tal modo il Museo egizio verrà gestito dalle istituzioni locali e godrà dei finanziamenti delle fondazioni bancarie, godendo al tempo stesso di ampia autonomia gestionale.
Nel 2008 il raggruppamento Isolarchitetti vince la gara internazionale per scegliere i progettisti del nuovo museo con un progetto firmato insieme a Dante Ferretti. (vedi post successivo)

LA RISTRUTTURAZIONE DEL MUSEO EGIZIO DI TORINO

Clicca più volte sulle immagini di questo post per vederle a tutto schermo

Il lavori di realizzazione del progetto di ristrutturazione e rifunzionalizzazione del Museo Egizio di Torino, del raggruppamento Isolarchitetti, vincitore del bando di gara internazionale pubblicato a giugno 2007, si concluderanno nel 2013 e saranno strutturati in due fasi che consentiranno di non chiudere mai completamente il Museo.

Il primo museo nella storia interamente dedicato all’arte e alla cultura dell’Antico Egitto, va incontro ad uno straordinario e radicale rilancio che lo porterà a valorizzare e rendere pienamente fruibili i grandi tesori della sua collezione, in linea con i parametri internazionali più attuali.

Il cambiamento del Museo Egizio è stato avviato nel 2004 con l’istituzione della Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino, primo esempio in Italia di gestione a partecipazione pubblico-privata che ha reso possibile il conferimento delle collezioni da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e lo stanziamento dei fondi necessari da parte degli altri soci fondatori quali Città di Torino, Provincia di Torino, Regione Piemonte, Compagnia di San Paolo e Fondazione CRT.

Il progetto prevede un profondo rinnovamento del Museo: dalla struttura architettonica interna ai servizi al pubblico, dai principi su cui si basa l’allestimento delle sale al numero e alla varietà degli oggetti esposti, per riportare uno dei gioielli dell’offerta culturale italiana in linea con gli standard richiesti a un museo d’avanguardia.

Il Progetto assegna al nuovo museo oltre 10.000 mq di spazi nuovi e restaurati, oltre mille metri lineari di nuove vetrine ad alta tecnologia pronte a ospitare, esporre e valorizzare circa 6.500 pezzi scelti tra gli oltre 26.000 conservati dal Museo.

Il disegno, in coerenza con le indicazioni della Fondazione, oltre a raddoppiare lo spazio del Museo risolve tutte le questioni fondamentali poste, tra le quali:
– i collegamenti verticali ed orizzontali;
– gli accessi e la sintassi dei flussi;
– il recupero dell’immagine dell’edificio;
– la rifunzionalizzazione degli spazi esistenti e l’invenzione di nuove superfici per il Museo;
– il rapporto con l’Accademia delle Scienze e la Città;
– l’individuazione delle aree corrispondenti alle diverse e complesse funzioni e all’ottimizzazione delle loro relazioni di uso e gestione;
– l’impostazione di uno schema di allestimento che preserva e valorizza l’edificio, restituendo dignità, spettacolarità e, ove necessario, senso del sacro alla collezione;
– l’impiego di tecnologie integrate con l’allestimento per la conservazione dei reperti e la climatizzazione degli ambienti;
– la realizzazione del nuovo Museo attraverso “inaugurazioni-evento” progressive nel tempo;
– la continuità di apertura del Museo in tutte le fasi di realizzazione.

Attraversato incessantemente da flussi di visitatori il Museo è movimento, e come tale è stato pensato. Il nuovo Museo Egizio sarà, mutevole e flessibile e costantemente aggiornabile. Il progetto nasce anche dall’intuizione di liberare il piano terra dalle funzioni ad alta frequentazione, portare gli ospiti attraverso la manica Schiaparelli nel ventre del Museo e da lì accompagnarli, con un’esperienza emozionale e culturale, velocemente verso l’alto delle gallerie restaurate.

La gestione dei flussi e degli ingressi è un importante traguardo: ci sarà la possibilità di fare entrare le scolaresche da Via Eleonora Duse, mentre i visitatori accederanno al Museo attraversando la spettacolare corte da Via Accademia delle Scienze.

Già dalla galleria attraverso la corte trasparente saranno anticipate al visitatore prospettive sulla collezione. Una grande sala ricavata all’interno manica Schiaparelli restaurata accoglierà i visitatori nel nuovo ingresso. Da qui con una rampa e con collegamenti verticali i visitatori saranno condotti alla nuova grande sala ipogea progettata sotto la corte.

Questo nuovo spazio flessibile conterrà le aree destinate all’accoglienza (informazioni, biglietteria, bookshop, laboratori didattici, servizi). Poi un veloce collegamento verticale (ascensori e scale mobili) permetterà ai visitatori di salire al secondo piano ed entrare nella grande sala a tre livelli lunga sessanta metri dove inizia il percorso Dagli ultimi piani i visitatori attraverseranno le sale e scenderanno verso il basso seguendo il percorso delle scale storiche dell’edificio, in questo modo si instaurerà un movimento circolare senza incroci di flussi pur conservando la possibilità di personalizzazione della visita. Parallelo al movimento verticale ed orizzontale del pubblico gli spazi necessari al management del Museo verranno dotati di accesso indipendente e occuperanno gli ultimi livelli della manica su Piazza Carignano. Gli uffici saranno direttamente collegati ai laboratori, alle sale e ai depositi. La manica Schiaparelli accoglierà anche la nuova biblioteca e una grande caffetteria con roof garden.

I depositi del museo saranno accessibili dai tre lati dell’edificio.

L’allestimento, l’architettura e la tecnologia concorrono a rappresentare, mettere in scena, storia, cultura e fascino della civiltà egizia. Il disegno degli spazi è studiato per ottenere un sapiente allontanamento dalla città e dal presente.

Il racconto dei reperti, la coralità delle collezioni finalmente esposte per intero, il lavoro di generazioni di archeologi sono accompagnati da profonde suggestioni sensoriali. Lo sguardo del visitatore è accompagnato dalla luce al buio e ancora alla luce in un movimento circolare. Lo spettatore, dagli spazi scuri e misteriosi della corte ipogea, viene portato alla luce che gradualmente cambia ai livelli superiori, e ancora alla penombra delle tombe in un percorso ciclico come la rotazione della notte sul giorno, della vita sulla morte, del silenzio sulla festa. Da sacri luoghi sotterranei alle sale, calde di colori e infinite come i deserti della storia, allo spazio verde dell’oasi di riposo: la scenografia in costante mutamento ci porta a sentire i luoghi per potere, dalla loro storia, trarne vantaggio.

L’allestimento permette, sempre con luce e trasparenza, la percezione del contesto architettonico di cui il museo è ospite, la visione d’insieme delle collezioni nella loro esposizione corale si alterna con la possibilità di uno studio attento e ravvicinato del singolo reperto, un Museo per la città che alla città regala squarci segreti attraverso la corte-piazza che, come fata Morgana, attira l’attenzione verso uno spazio reale e vivo.

Il progetto architettonico è firmato Isolarchitetti s.r.l., I.C.I.S. s.r.l., prof. arch. Carlo Aymonino, prof. arch. Paolo Marconi e dall’arch. Gabriella Barbini.

Il progetto del restauro architettonico porta la firma del prof. arch. Paolo MARCONI, arch. Giancarlo Battista e dell’arch. Marco Grimaldi, mentre quello del restauro artistico della dott.ssa Maria Gabriella De Monte.

Il progetto degli allestimenti è firmato dall’arch. Dante Ferretti, due volte Premio Oscar, da Isolarchitetti e da I.C.I.S.

UNA FOTO AL GIORNO: LE PIRAMIDI DALLO SPAZIO

Una delle poche opere dell’uomo visibili dallo spazio, sono le Piramidi della piana di Giza!

Ma vi siete mai chiesti come potrebbero vedere gli extraterrestri queste sbalorditive costruzioni??

Clicca più volte sull’immagine, fino a vederla in alta risoluzione! E’ impressionante!!!

Le Piramidi della piana di Giza viste dallo spazio

IMMENSI DANNI AL PATRIMONIO ARCHEOLOGICO EGIZIANO

Fonte: La stampa.it di Vittorio Sabadin

Quando tutto sarà finito, e il ministro per i Beni archeologici dell’Egitto Zahi Awass potrà finalmente andare a controllare di persona, quasi certamente scoprirà che il suo ostentato ottimismo era esagerato. Dal Cairo a Luxor, da Aswan al Sinai, decine di musei e di siti archeologici sono stati depredati da saccheggiatori. Centinaia di reperti millenari sono stati danneggiati e forse migliaia di oggetti sono stati rubati.

Anche se Hawass continua con l’abituale veemenza a ripetere nelle interviste che tutto è sotto controllo, la realtà descritta su Facebook e negli altri social networks dagli archeologi che scavano nelle località attaccate è purtroppo molto diversa. In queste ore, egittologi e direttori dei musei di tutto il mondo si scambiano e-mail venate di tristezza. Sono sgomenti per il danno finora causato al patrimonio archeologico dell’Egitto e ancora più preoccupati per quello che potrebbe accadere, se il Paese non tornerà presto alla normalità e non riprenderà il totale controllo del proprio patrimonio archeologico.

Uno dei reperti rubati al Museo de Il Cairo

Le voci dai blog
Questa la situazione nei musei e nei siti archeologici più importanti del Paese, così come viene descritta nei blog e nelle comunicazioni fra archeologi. I saccheggiatori che nella notte fra il 28 e il 29 gennaio sono penetrati nel Museo archeologico del Cairo hanno danneggiato circa 100 reperti. Nella breve visita organizzata da Hawass per tranquillizzare tutti, i danni sono stati volutamente minimizzati. Almeno 13 teche dell’Antico Regno sono state aperte e il contenuto asportato o gettato a terra. La splendida barca della tomba di Meseti ad Assyut è rotta in più pezzi.

Due mummie sono state decapitate e devastate e non se ne conosce ancora l’identità. Si teme che sia stata danneggiata anche la mummia di Tuya, la moglie di Seti I, che era ricoperta da un prezioso e davvero unico pettorale. I reperti della tomba di Tutankhamon non sono stati risparmiati. La statua che raffigura il faraone in piedi su una pantera è stata spezzata in due. Le immagini messe in rete da Margaret Maitland, che gestisce il blog Eloquent Peasant, mostrano solo la pantera, gravemente danneggiata. Di un’altra statuta di Tut sono rimasti solo i piedi.

Decine di piccole statue di legno sono state strappate dai loro supporti. In una foto si vede una teca completamente vuota, salvo i resti di un ventaglio d’oro e due scettri del faraone. Secondo Hawass, anche a Memphis, l’antica capitale del regno, la situazione è sotto controllo. Ma in base alle testimonianze il museo, che contiene numerose statue in un giardino all’aperto, è stato saccheggiato.

Uno dei reperti rubati al Museo de Il Cairo

Caccia all’oro
A El Qantara, sul Canale di Suez, il museo che conteneva 3000 reperti del periodo romano e bizantino è stato completamente depredato. Hawass ha detto che circa 300 sono stati recuperati, ma si ignora la sorte degli altri. Un operaio che lavorava al museo ha raccontato che i saccheggiatori sono entrati dicendo che cercavano l’oro. «Ho risposto che di oro non ce n’era, e allora hanno cominciato a distruggere tutto e a portare via quello che potevano».

A Luxor e nella Valle dei Re il 30 gennaio si è veriricato un tentativo di irruzione al Tempio di Karnak, ma è stato respinto. Nelle moschee è stato detto ai fedeli di proteggere i siti archeologici e ora la situazione sembra tranquilla. Nessun tentativo di intrusione, finora, nelle tombe della Valle dei Re. La piana di Giza con le sue piramidi è sorvegliata dall’esercito e non si segnalano danni. Le cose vanno però molto peggio nelle zone più lontane dal Cairo. Ad Abusir, dove si trovano le piramidi di Sahure, Neferirkare e Nyuserre Ini, tutte le tombe sigillate sono state aperte alla ricerca di tesori.

Il sito egyptopaedia.com riferisce di danni molto gravi. Il «Sun» ha pubblicato il 1˚ febbraio la foto di una banda di ladri intenta a scavare. Miroslav Bàrta, capo di una spedizione della Repubblica Ceca, ha raccontato che il sito è stato attaccato e molti dei reperti riportati alla luce sono stati danneggiati.

Uno dei reperti rubati al Museo de Il Cairo

Lucchetti inutili
I danni più gravi sono a Saqqara, dove si trovano la piramide a gradoni del faraone Djoser e numerose mastabe ornate da meravigliosi bassorilievi. Tutti i lucchetti delle tombe sono stati forzati, ha confermato Hawass, aggiungendo che all’interno non sono stati rilevati danni. Secondo altre fonti, la piramide di Pepi I a Sud di Saqqara è stata aperta, così come la stessa piramide di Djoser, che non è visitabile dal pubblico perché pericolante.

I saccheggiatori avrebbero svaligiato i magazzini di Saqqara, asportando gran parte del contenuto. Tra le tombe violate anche quella del tesoriere di Tutankhamon, Maya, e della moglie Merit, raffigurati insieme in una delle più belle statue ritrovate in Egitto. Per fortuna è al sicuro dal 1823 nel museo olandese di Leida.

Gli oggetti ufficialmente depredati al Museo Egizio de Il Cairo sono i seguenti:

1. Statua di Tutankhamon portato da una dea in legno dorato

2. Statua in legno dorato di Tutankhamun durante arpionamento. Solo il tronco e gli arti superiori del re sono mancanti

3. Statua in calcare di Akhenaton in possesso di un tavolo di offerta

4. Statua di Nefertiti in atto di fare offerte

5. Testa in arenaria di una principessa di Amarna

6. Statuetta in pietra di uno scriba di Amarna

7. Statuette di legno sciabita da Yuya (11 pezzi)

8. Scarabeo del Cuore di Yuya

Per chi sa bene l’inglese, link al blog di Sadi Hawass


UN ALTRO DIVERTENTISSIMO POST DAL BLOG DI STEFANIA

Stefania ha scritto un altro post. E ancora una volta non posso fare altro che complimentarmi con lei per la sua ironia e per il suo modo di scrivere divertente e allegro pur parlando di cose concrete e reali! Grande Stefi!

Oggi parliamo dei turisti, i veri protagonisti della vita sharmese, coloro senza i quali oggi non saremmo qua a parlare di Sharm El Sheikh come una delle mete turistiche per eccellenza.

Non potendo menzionare tutte le nazionalita’ che vengono a visitare la nostra ridente cittadina, scrivero’ di 4 macro-categorie, quelle piu’ rilevanti.

GLI ITALIANI:

gli Italiani sono sempre i piu’ facili da riconoscere, i loro atteggiamenti stereotipati li accompagnano dalla notte dei tempi.

Ben vestiti e curati, si distinguono quasi sempre per il loro buon gusto, chiassosi a dismisura si fanno riconoscere ovunque, per strada, ai ristoranti, in discoteca. Il gesticolare li accompagna sempre soprattutto quando non parlano l’Inglese, quella lingua tanto sconosciuta quanto incomprensibile, rimasti uno dei pochi popoli insieme forse agli Spagnoli e ai Francesi a non volersi anglofonizzare.

Arrivati a Sharm, inizialmente si spostano in gruppo, infatti sono molto sensibili alle “finte informazioni” che vengono loro propinate in merito a Sharm, e all’Egitto in generale, dai tour operator che pur di non lasciarli muovere liberamente sarebbero in grado di inventarsi storie fantasmagoriche. Quando pero’ capiscono che era tutta una burla, che fuori dal Resort non ci sono gli uomini neri pronti a rapirli derubarli o a farli saltare in aria ecco che trovano il loro habitat naturale e si inseriscono perfettamente nell’atmosfera sharmese. Girano, comprano, contrattano, si sentono come a casa, anzi forse piu’ che a casa. Per questo molti di loro finiscono poi per investire in immobili, si trasferiscono per periodi brevi o lunghi, insomma entrano appieno nel ritmo della vita sharmese. Nonostante la pignoleria e la lamentela ad oltranza che caratterizzano la maggior parte di loro, i locali li amano, diciamo li amano abbastanza, li vedono come i cugini lontani simpatici e affabili, con cui scherzare e fare battute, per quanto pero’ con loro la contrattazione sia veramente dura. Infatti gli Italiani sono bravi, eccome se sono bravi, nel buttare giu’ i prezzi pur di risparmiare quei 20 pounds (neanche 3 Euro)  che in Italia non farebbero alcuna differenza ma qua la fanno. Infatti si sentono talmente a casa che non accettano di essere trattati come dei polli da spennare, anzi sono talmente bravi ad entrare nella parte che una volta Egizianizzati finiscono per essere loro quelli che spennano gli altri.

GLI INGLESI:

gli Inglesi sono tutta un’altra pasta, una pasta a volte appena uscita dal freezer. Con loro lo scherzo ci sta ma fino ad un certo punto, girano vestiti in modo non proprio fashion, impavidi, senza alcun timore dal primo momento che mettono piede a Sharm: loro sono i veri conquistatori e la storia lo dimostra. Credo che i tour operator Inglesi non tentino neanche di inculcare loro strane idee su Sharm e l’Egitto in generale, perche’ nulla puo’ fermare un Inglese. Anzi se sentira’ voci strane sara’ il primo a muoversi per verificare di persona.

A chiasso anche loro non scherzano, soprattutto dopo un paio di pinte di birra a cui non rinunciano quasi mai.

In occasione di feste o party, le ragazze Inglesi si vestono come a Londra ed e’ veramente facile riconoscerle, sono inconfondibili, vestiti vistosi, colori sgargianti, pettinature particolari, scarpe super alte che vengono automaticamente tolte a fine serata per una camminata a piedi scalzi nelle “pulitissime” strade di Naama Bay.

Che dire? Contente loro!

I RUSSI:

nella categoria Russi mi verrebbe da includere tutte quelle nazioni della ex Unione Sovietica ma non sarebbe corretto perche’ in fondo i Polacchi, i Cecoslovacchi e altre nazionalita’ dell’est che ho conosciuto si distinguevano leggermente da certa gente di Mosca o della steppa Russa, quindi diciamo che nella categoria Russi includero’ Russia, Ucraina e qualche altro Paese limitrofo.

I Russi sono speciali, se non ci fossero bisognerebbe inventarli.

Girano, anzi meglio dire vagano e nella maggior parte dei casi non sanno manco dove stanno andando. Il piu’ delle volte quando cammino per strada e mi scontro con qualcuno e’ Russo / Russa: guardano per aria, a destra a sinistra ma mai davanti, ammirano la citta’ come Alice nel Paese delle meraviglie. Vestiti alla bene e meglio talvolta ricordano un film degli anni ’70, per poi pero’ accompagnarsi con ragazze che ricordano modelle dei giorni nostri. Io personalmente non parlo Russo ma amo il loro accento e l’intonazione della voce, una via di mezzo tra un cavernicolo e Hitler. A volte c’e’ da avere paura..ma quando si tratta di donne qui non si sta molto a badare allo spelling o al tono di voce, diciamo che meno parlano meglio e’.

Il tono aggressivo si accompagna con un atteggiamento altrettanto aggressivo, loro si’ che si sentono i veri padroni di Sharm e dintorni. Peccato che la maggior parte dei Russi che frequenta Sharm arrivi dalle campagne Russe / Ucraine e quindi mi verrebbe da dire: ieri con la zappa nella steppa desolata e oggi al Coral per 200 dollari? ‘nnnnnaaaaaaa

Accanto ai campagnoli abbiamo anche le Russe “arrivate”, le signorine che hanno fatto ricchezza a Mosca e dintorni, chissa’ come?! in questo caso l’aggressivita’ fa parte del loro status per cui piu’ e’ elevato piu’ trattano gli altri da essere inferiori, un po’ come succedeva negli anni ’80 con i nuovi ricchi, dopo di che il mondo si e’ evoluto senza passare per la Russia.

Come sempre, pero’, ad ogni azione segue una reazione per cui il risultato e’ che non sono molto amati, o meglio molte di loro vengono amate solo nei letti, ma l’opinione dei locali e’ molto dura nei confronti dei Ruzzi (o rozzi). Si potrebbe definire un odio a prima vista.

GLI ARABI:

il turista Arabo, soprattutto quello ricco, e’ una vera gatta da pelare: pretende perche’ paga e paga per pretendere, possibilmente la luna.

Tratta i locali come essere inferiori, soprattutto se Egiziani, considerandoli persone completamente al suo servizio, e se vuole qualcosa, qualunque cosa, la deve avere. Dato che parla anche la stessa lingua a volte si abbassa a dare ordini personalmente, inconsapevole del fatto che qua e’ una vera mission impossible, potra’ ottenere forse qualcosina ma ottenere cio’ che desidera richiedera’ una dura dose di pazienza. Il perche’ e’ molto semplice: l’Arabo urla, l’Egiziano si impunta. Ma visto che anche a Sharm vige la legge che il cliente ha sempre ragione, alla fine anche l’Egiziano si assoggetta, soprattutto se e’ costretto a farlo davanti ad una bella banconota da 100 dollari. E’ questo il giochetto, l’Arabo lo sa e lo sa anche l’Egiziano, quindi l’ostilita’ iniziale fa parte della farsa. Chiamali stupidi!

Vestiti super firmati, a volte riescono in accostamenti impensabili che farebbero inorridire Gucci e compagnia bella, ma diciamo che spesso la sostanza, in questo caso la firma, per loro vale molto piu’ dell’apparenza, per cui l’importante siano marcati Gucci, Armani e Dolce Gabbana, per imparare gli abbinamenti c’e’ sempre tempo.

Spesso e volentieri arrivano con mogli incappucciate, ma accade anche che gruppi di ragazze si mostrino in tutta la loro bellezza finalmente lontane dalle forti imposizioni che i loro Paesi dettano loro ogni giorno. Ma Arabe sono e Arabe rimangono, pronte a coprire i vistosi vestiti firmati appena varcano l’entrata dell’aeroporto.

Tutto sommato sono i piu’ inoffensivi, quando vengono in visita portano molto denaro e ben poco danno, per questo gli Egiziani li sopportano pazientemente e arrivano a farseli anche amici, speranzosi di ottenerne un qualche vantaggio economico.

Link al blog TUTTIPAZZIPERSHARM

IL POLLICIONE DEGLI ANTICHI EGIZI

La protesi per alluce (clicca x ingrandire)

Milano, 14 feb. (Adnkronos Salute) – Sono stati gli antichi egizi i primi ortopedici della storia. Lo ha provato Jacky Finch del Centro di egittologia biomedica dell’università inglese di Manchester, dimostrando che due manufatti che riproducono degli alluci – uno in legno e cuoio conservato al Museo egizio del Cairo, l’altro esposto al British Museum di Londra – rappresentano le prime protesi artificiali create per sostituire parti del corpo mancanti. Benché siano state concepite e realizzate prima del 600 a.C., sono infatti ancora in grado di assolvere la loro funzione: ricostruite fedelmente e sperimentate su due volontari, hanno fatto le veci delle dita mancanti permettendo ai pazienti di camminare.

I risultati dell’esperimento – condotto presso il Gait Laboratory del Centro di ricerca in riabilitazione e performance umana della Salford University – sono pubblicati su ‘Lancet’ e permettono di decretare una volta per tutte che il più antico esempio di protesi della storia è ‘made in Egitto’. Questi alluci artificiali, infatti, precedono di vari secoli quella che finora era ufficialmente ritenuta la prima protesi della storia: una gamba di bronzo di epoca romana.

Per essere classificato come autentico device protesico, spiega Finch, un dispositivo deve rispondere a numerosi criteri. Tra i requisiti richiesti la resistenza del materiale utilizzato durante l’uso, un’estetica accettabile, la facilità nella pulizia. Nel caso specifico, fabbricare un sostituto dell’alluce è particolarmente complicato considerando che il primo dito del piede regge il 40% circa del peso del corpo e svolge una funzione propulsiva chiave durante la camminata. L’unico modo per dimostrare che i due finti alluci non erano una semplice decorazione, bensì una protesi ortopedica, era dunque quello di testarli ‘sul campo’. Finch l’ha fatto e ha avuto ragione: “I miei dati – afferma – provano che entrambi i manufatti erano in grado di sostituire il dito perduto e che possono essere classificati come protesi. Le origini della medicina protesica sono da collocare saldamente ‘ai piedi’ degli antichi Egizi”.

I DANNI AI MUSEI EGIZIANI

Nel corso dei moti di piazza contro il regime di Mubarak, il 29 gennaio è stato  assaltato anche il Museo Egizio, nella centrale piazza Midan at Tahir, epicentro delle manifestazioni. L’edificio, eretto nel 1902 in sostituzione del museo di Giza, ospita, com’è noto, la massima collezione di antichità egizie al mondo.

Oltre a saccheggiare il Gift-shop e la biglietteria, alla ricerca di denaro, i vandali – tra cui forse anche alcuni guardiani del museo – sono saliti al secondo piano facendo scempio dei reperti del corredo del principe Meshenty, nomarca di Assiut nell’XI dinastia (2060 a.C circa) e distruggendo alcuni pezzi del tesoro di Tutankhamon. Tredici vetrine sono state infrante, ed il loro contenuto gettato a terra o fatto letteralmente a pezzi. Secondo le dichiarazioni del neo-ministro Zahi Hawass settanta pezzi sono stati danneggiati.

Sono state distrutte alcune mummie, tra cui forse quella del Portaventagli alla destra del re, generale di cavalleria Yuya, padre della regina Teye, moglie di Amenhotep III e nonno di Akhenaton (XIV secolo a.C.), la cui tomba venne rinvenuta intatta da Theodore Davis nella Valle dei Re nel 1905. La cosa però non è assolutamente certa: di sicuro da ciò che si vede in una è stata fatta letteralmente a pezzi una mummia che sembra essere quella di  Tuthmosi II (XVIII dinastia, 1524- 1505), uno dei creatori dell’impero egizio; la testa che si intravede dietro è quella di un altro grandissimo sovrano, Sethi I, padre di Ramesse II, e uno dei maggiori faraoni guerrieri (XIX din., 1305-1290) la cui mummia – se di lui si tratta, come temiamo – era sinora le meglio conservata tra tutte le mummie reali.

Da quanto è possibile vedere dai video trasmessi di Al Jazeera e da quanto pubblicato sul sito egittologico http://www.eloquentpeasant.com tra i pezzi danneggiati si può riconoscere, in uno dei sarcofagi gettati a terra, quello in cartonnage dorato di Tuya, madre di Teye, e la copertura dorata della sua mummia, raffigurante le divinità dell’aldilà, almeno una delle quali è stata strappata via; il fatto che però la mummia non fosse conservata nel sarcofago lascia però sperare che la sua mummia non sia stata distrutta. Purtroppo è stata fatta a pezzi la statua funeraria di cedro del libano rivestita in lamina d’oro di Tutankhamon stante sulla pantera; sul pavimento restano la statuetta frantumata del felino, e la base dell’immagine del sovrano. La brutalità del saccheggio è ben evidenziata dai piedi ancora intatti, mentre le caviglie della statua sono state spezzate di netto. Si trattava di una delle più belle opere del Vicino Oriente antico.

Così un pezzo unico era fino a pochi giorni fa la statua dorata di Tutankhamon stante sulla barca di papiro. Anche qui la statua è stata strappata con violenza. Si trattava di esemplari unici, provenienti dal cosiddetto “annesso” della tomba del sovrano, con una funzione rituale, tanto che statue analoghe sono raffigurate sulla pareti della tomba di Sethi II, sempre nella valle dei re. Distruzione di opere di una tale importanza archeologica  ed artistica si potrebbe forse paragonare ad un’eventuale perdita della Primavera del Botticelli per l’arte italiana del XV secolo. Si trattava inoltre di due opere molto discusse, poichè il sovrano vi era stato rappresentato con un accenno di seno, su cui gli egittologi hanno avanzato numerose ipotesi, da quella che li vorrebbe appartenenti al corredo funerario di Nefertiti o di SmenkhaRa, e riutilizzati per Tutankhamon, a quella che vi vede elementi attardati dello stile amarniano.

Sempre al tesoro del ventenne faraone appartengono il flabello in ebano ed oro il cui manico è stato spezzato ed asportato, ed i bastoni da lancio per la caccia. Come accennato, i vandali si sono accaniti sul corredo di Meshenty, celeberrimo per i modelli funerari in legno, tipici del primo Medio regno: la barca funeraria in acacia è stata sfondata con un oggetto pesante, schiantando la cabina ed i rematori, i famosi arcieri nubiani della stessa tomba non sono sfuggiti alla medesima sorte. Dopo aver infranto la vetrina, quattro arcieri sono stati strappati dalla base e gettati per terra.

Gli altri due musei importanti del Cairo, quello Copto nel Cairo Vecchio, e quello Islamico a Fustat, non sono stati danneggiati. Gravi danni sono segnalati anche altrove, a Giza, a Saqqara – dove sarebbero state danneggiate le piramidi di Djedkara – Isesi e di Pepi I (VI dinastia). Cosa si voglia intendere con danneggiate non è chiaro: temiamo che possano esser state danneggiate le pareti con due delle versioni più antiche dei “Testi delle Piramidi”; ancora danni sono stati  segnalati nella tomba dell’intendente al tesoro  Maya, un alto funzionario dell’epoca di Tutankhamon, i cui rilievi sono tra i più eleganti della tarda XVIII dinastia – ed ad Abu Sir. Per completezza va detto che il dottor Martin Raaven, direttore della missione archeologica olandese a Sakkara che scava la tomba di Maya, non è stato in grado di confermare i saccheggi. Nel delta orientale la folla ha saccheggiato il museo archeologico di Al Qantara, che conteneva oggetti provenienti dalla zona del canale di Suez: tremila pezzi sono stati asportati. Sono stati segnalati saccheggi anche nei dintorni di Alessandria d’Egitto, mentre nell’Alto Egitto l’esercito e gli stessi cittadini hanno protetto l’area tebana, la più vasta zona archeologica al mondo.

 

UN VIAGGIO, UNA STORIA, UN LIBRO

Tratto da Repubblica.it

Siq al-Berid, la "piccola Petra". Si raggiunge in taxi dal centro di Wadi Musa, la città moderna sorta sull'area di Petra

Sono passati più di trent’anni da quando Marguerite van Geldermalsen, neozelandese di origini olandesi, arrivò nel villaggio di Wadi Musa con un’amica per visitare la zona archeologica di Petra, perla della Giordania, una delle sette meraviglie del mondo. Qui incontrò il carismatico Mohammad della tribù Bdoul, che nelle grotte scavate duemila anni fa dai nabatei aveva trovato una buona ragione per diventare stanziale e sopravvivere vendendo souvenir. “Dove alloggiate?”, chiese il beduino, “perché non venite a dormire da me?”.

Fu l’inizio di una esotica love story. “Era il 1978, avevo 22 anni, non sapevo niente di Medio Oriente né di Islam. Per me i beduini erano pericolosi predoni del deserto”, racconta Marguerite, mentre sistema le kefieh rosse e gli oggettini d’argento sul banco da ambulante addossato alla roccia. Il Tesoro di Petra è lì dietro, davanti agli occhi l’anfiteatro romano. In bella mostra, l’edizione inglese di Married to a bedouin, il libro in cui racconta la seconda vita iniziata dopo la conversione all’Islam, il matrimonio con Mohammad Manajah, le mille e una notte trascorse nella grotta o sotto le stelle, la nascita dei tre figli, l’accettazione di una routine datteri-amore-e-fantasia.

Marguerite, insomma, arrivò a Petra prima che Indiana Jones e l’ultima crociata (1989) svelasse al mondo l’enigmatica bellezza di Petra. I più spavaldi possono percorrere la gola che porta al Tesoro a cavallo, proprio come Harrison Ford, i più pigri in calesse, i più audaci in cammello, i più romantici a piedi, per godere la bellezza delle rocce striate di verde, di arancio e di carminio come sete preziose, provando alla fine dell’angusto percorso del Siq lo stesso stupore che assalì Johann Ludwig Burckhardt, l’esploratore svizzero che nel 1812 riscoprì quelle meraviglie ricamate nella roccia che la sabbia aveva celato per quasi due millenni. Il sito archeologico, che molti ritengono angusto e limitato ai dintorni del Khazneh (il Tesoro), è in realtà sconfinato; alcuni prodigi architettonici, come il Santuario, sono celate in zone impervie, le High Places da cui si scorgono i confini d’Israele, che si raggiungono inerpicandosi per mille gradini o a dorso d’asino, il mezzo di trasporto più affidabile su queste mulattiere, purché a tenere le briglie ci sia un volenteroso beduino.

I turisti di un giorno si soffermano solo sulle tombe scavate dagli aristocratici e colti nabatei sulla strada maestra, ma chi ha voglia di approfondire potrebbe restare a Wadi Musa una settimana senza il rischio di annoiarsi. 

Ragazze di ogni nazionalità si soffermano sulla rivendita di Marguerite, la riempiono di domande. Quell’insolita storia d’amore le attrae e le terrorizza. Molte non hanno ancora letto il libro, non sanno che nel 2002 l’amato Mohammad l’ha lasciata vedova. Già allora la grotta era un ricordo. Dal 1995, il governo giordano ha costruito un villaggio per i Bdoul, sollecitandoli a lasciare il sito ma lasciando loro il monopolio commerciale. “Chi potrà mai dimenticare i tempi in cui con le altre donne e gli asini facevamo due chilometri per arrivare alla sorgente? Le notti in cui mio marito e io eravamo qui fuori ad ascoltare i rumori della notte?”, ricorda. Oggi a Wadi Musa sono almeno venti – tra svizzere, inglesi, australiane, olandesi, tedesche – le occidentali che sono andate in moglie a beduini. Marguerite racconta di quella volta, nel 1984, in cui due regine, Noor di Giordania ed Elisabetta d’Inghilterra, vennero a curiosare nella grotta per conoscere la “bianca sposata col beduino”.

Attualmente il libro è disponibile solo in inglese. Lo puoi trovare online cliccando qui

LUCI E MONGOLFIERE A LUXOR

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Un pallone aerostatico sorvola il tempio di Ramses II
Luxor tra luci e mongolfiere. Egizi in salsa tecno.
Un effetto ancor più drammaticamente bello, grazie un nuovo sistema di illuminazione con ben 922 “unità luminose” a mettere in mostra il tempio di Luxor, forse la massima espressione di sé che i faraoni, e nello specifico il Faraone, Ramses II, del Regno di Mezzo, ha lasciato ai posteri. Le luci sono progettate per sopportare temperature elevate, siccità e per non nuocere ai gioielli che ora potranno essere visitati per 13 ore al giorno, dalle 7 alle 20 (magari dopo un sorvolo in mongolfiera. L’impianto è una delle tappe che porteranno a trasformare l’intera Luxor in un parco all’aperto. Tra l’altro, arriveranno un nuovo sistema di illuminazione nella Valle dei Re, un nuovo visitor center a Deir Al-Bahari, il restauro della moschea Youssef Abul-Haggag e della casa di Howard Carter, l’archeologo che tanto ha dato alla valle.

EGIZIANO, 93 ANNI, IN TESTA ALLA CLASSIFICA DEI BESTSELLER!!

Eric Hobsbawm

In testa alla classifica dei bestseller a 93 anni: l’onore è toccato a uno dei maggiori storici contemporanei, Eric Hobsbawm, con il suo nuovo libro: “Come Cambiare il mondo”. La classifica è quella della libreria del “Guardian”, un luogo che lo stesso quotidiano definisce “selettivo” quanto a provenienza degli acquirenti. Il volume è una raccolta di saggi sul marxismo. Eric Hobsbawm, nato a Alessandra d’Egitto nel 1917 in una famiglia ebraica di origini austriache, è uno storico di formazione marxista che ha dedicato molte delle proprie ricerche alla classe operaia inglese ed al proletariato internazionale

Ci sono anche delle pagine inedite sul pensiero di Antonio Gramsci nel nuovo libro dello storico inglese Eric Hobsbawm.
Il volume, intitolato How to Change the World Little, Brown & Company, pp. 480 raccoglie alcuni saggi già pubblicati su Karl Marx e il marxismo, più altri scritti nuovi riguardanti l’ attualità del filosofo tedesco rispetto alla crisi che ha investito l’ economia mondiale. E il titolo, «Come cambiare il mondo», rende subito l’ idea della posizione di Hobsbawm, icona della sinistra anglosassone, convinto che «il superamento del capitalismo» resti tuttora una prospettiva «plausibile».

LUCA CAMPIGOTTO: LE PIETRE DE IL CAIRO

Il Cairo, città misteriosa che racchiude in sé l’enigma delle Piramidi, un grande scenario della storia di grande forza evocativa. Fotografie affascinati e suggestive, realizzate da Luca Campigotto nel 1995 e 1996 che catturano una città molto forte e di straordinaria stratificazione architettonica: dalla piana delle Grandi Piramidi di Giza fino al dedalo del Bazar di Khan El-Khalili nel cuore della Cairo Islamica passando per la Città dei Morti e le monumentali tombe dei Mammelucchi, scorrono scenari intrappolati nel tempo, fotografati spesso di notte quando l’irregolarità dell’illuminazione notturna trasforma la città in una gigantesca scenografia. Il Cairo, luogo caotico, ricco di mille suggestioni dove si avverte il senso e il profumo della storia. Una città millenaria, uno degli snodi cruciali del mondo, la punta d’oriente in Africa da sempre crocevia di viaggiatori, mercanti e soldati d’occidente, una megalopoli moderna che nel proprio cuore vecchio conserva un teatro del tempo. Questo libro dà l’opportunità di viaggiare con la fotografia indietro nei secoli celebrando per immagini luoghi di fascino inesauribile.

Il Cairo che Luca Campigotto ricostruisce con le sue fotografie in bianconero di grandi dimensioni è una sorta di percorso nei labirinti della Storia.
Dalle piramidi di Gizah e Saqquara al “cuore islamico” della città: la Cittadella, La Città dei Morti, le tombe dei Mamelucchi, il bazar di Khan el-Khalili, la moschea di Ibn Toloumn… In queste immagini notturne e diurne viene svelandosi una megalopoli dai tratti antichi, e spesso quasi surreali.
Le grandi piramidi a volte sembrano uscire da una stampa d’epoca, altre volte appaiono come astronavi primordiali atterrate nel deserto; mentre le architetture della Città Islamica si affastellano, sovrapponendosi in un caos scenico straordinario.Le immagini sono dense di materia e di dettagli; lo sguardo indugia sulle cose con insistenza, quasi cercando l’odore dei secoli.

Dopo essersi fatto genius loci della sua Venezia, Campigotto si muove anche al Cairo come all’interno di una macchina del tempo fitta di visioni. Un’altra tappa di quel viaggio a ritroso nel tempo – tra monumenti mitici e inediti scorci visivi spesso illuminati da luci teatrali – che lo ha già portato in luoghi d’immenso fascino come Sana’a nello Yemen, Angkor in Cambogia e l’Isola di Pasqua.

Luca Campigotto (Venezia 1962) ha esposto tra gli altri al Mois de la Photo, Parigi; 47ma Biennale di Venezia; MAXXI, Roma; MEP, Parigi; IVAM, Valencia; Galleria Gottardo, Lugano; The Art Museum, Florida; C.C.A., Montreal. A FotoGrafia Festival Internazionale di Roma era presente lo scorso anno con ‘Teatri di Guerra’. Le sue opere fan parte di collezioni private e pubbliche. Ha pubblicato: Venicexposed (Contrasto/Thames&Hudson 2006); Sguardi gardesani, Nicolodi 2004; L’Arsenale di Venezia, Marsilio 2000; Fuori di casa, 1998; Molino Stucky, Marsilio 1998; Venetia Obscura, Peliti 1995. Coltiva da sempre l’interesse per la scrittura. Nel 2005 la rivista Nuovi Argomenti ha pubblicato una selezione di sue immagini e poesie. Il Museo di Roma ha ospitato, nell’ambito del Festival – FotoGrafia 2007, “Le pietre del Cairo” di Luca Campigotto.

Autore:  Campigotto Luca

Editore:  Peliti Associati

Genere:  fotografia

Argomento:  cairo (il)

ISBN: 8889412143

ISBN-13: 9788889412145

Data pubbl.: 2007

EGITTO CONTRO GERMANIA PER IL BUSTO DI NEFERTITI

(ANSA) – ROMA, 24 GEN – L’Egitto torna a chiedere formalmente a Berlino la restituzione del busto della regina Nefertiti, star del neo restaurato Neues Museum. Il busto e’ in Germania dal 1913 e da tempo l’Egitto conduce una battaglia per riportarlo in patria, giudicando poco chiare le circostanze che portarono l’opera d’arte in Germania, dopo il suo ritrovamento da parte dell’archeologo tedesco Ludwig Borchardt nel 1912.

Berlino, 24 gen. – (Adnkronos/Dpa) – La Germania ha respinto la richiesta egiziana di restituzione del busto di Nefertiti, affermando che la domanda non e’ firmata da nessun ministro e non ha quindi carattere governativo. Un portavoce del ministero della Cultura tedesco, Hagen Philipp Wolf, ha dichiarato che la richiesta e’ firmata da Zahi Hawas, capo del Supremo Consiglio delle Antichita’, che e’ solo vice ministro della Cultura. Il ministero tedesco ribadisce inoltre che la scultura e’ legalmente di proprieta’ della Germania.

VIAGGIO NEL MUSEO EGIZIO DE IL CAIRO

da wikipedia

Il Museo di antichità egiziane comunemente conosciuto come Museo egizio del Cairo ospita la più completa collezione di reperti archeologici dell’antico Egitto del mondo. Gli oggetti in mostra sono 136.000 e molte altre centinaia di migliaia sono conservate nei magazzini.

Il museo è un’emanazione del servizio egiziano delle antichità costituito dal governo nel 1835 nel tentativo di fermare l’esportazione selvaggia di reperti e manufatti.

Il museo aprì nel 1858 con le collezioni raccolte da Auguste Mariette, archeologo francese al servizio di Isma’il Pasha. Nel 1880 venne spostato all’interno del palazzo di Isma’il Pasha a Giza. Nel 1900 il museo raggiunse l’attuale sede, un edificio in stile neoclassico, appositamente costruito in Piazza Tahrir, nel centro del Cairo. Al contrario della sua grande fama, il museo egizio del Cairo non è molto esteso come superficie. Consta di due piani, entrambi di forme rettangolare, con una serie di stanze disposte a attorno ad un atrio centrale e collegate da un corridoio. Gli oggetti esposti al piano terreno sono raggruppati per ordine cronologico. Appena entrati, a sinistra sono disposte le sale dell’Antico Regno. Continuando in senso orario si trovano le sale del Medio e Nuovo Regno ed infine quelle dell’età Greco-Romana. Salendo lo scalone si arriva al primo piano, organizzato in aree tematiche.

I pezzi di maggior pregio sono rappresentati dalla collezione dei reperti trovati nella tomba di Tutankhamon, rinvenuta intatta nella Valle dei Re, dall’archeologo inglese Howard Carter nel 1923.

La “sala delle mummie” che contiene 27 mummie reali di epoca antica, fu chiusa al pubblico, nel 1981, per ordine del presidente egiziano Anwar Sadat. Nel 1985 è stata riaperta al pubblico una selezione di mummie di re e regine del Nuovo Regno di cui è visibile solamente il volto.

Una veloce visita di dieci minuti
per ammirare opere d’arte realizzate 3000 anni fa!

UN LIBRO IN SPIAGGIA: ALTRE NOTTI

Definirei questo libro breve ma intenso.La protagonista è quanto di più lontano si possa immaginare pensando ad una donna egiziana.A dir poco disinibita, Yasmine ci racconta il suo matrimonio fittizio, il rapporto morboso coi fratelli e i suoi incontri occasionali con uomini molto diversi tra loro, con un’unica cosa ad accomunarli:vengono barbaramente uccisi dopo averla incontrata.

ALTRE NOTTI
di Muhammad al-Busati
tradotto da Patrizia Zanelli
Casa editrice: Jouvence
164 pagg
prezzo: euro 15,00

IL DRAMMA DI IPAZIA OGGI AL PAOLO GRASSI DI VARESE



IPAZIA in un dipinto di Raffaello

Il dramma di Ipazia rivive al Paolo Grassi . Lunedì 24 Gennaio 2011 (CineTeatro P.GRASSI) il Gruppo Astronomico Tradatese dà inizio al 37° anno di attività pubblica con una serata speciale, dove la scienza astronomica si intreccia intimamente con uno degli episodi più drammatici della storia antica. Giuseppe Palumbo, da ormai 10 anni socio del GAT e grande esperto di cinematografia scientifica, presenterà infatti una serie di documenti sul tema: “Il dramma di Ipazia”.
Verrà presentata la celebre figura della massima astronoma al femminile dell’antichità, ossia di Ipazia, filosofa neoplatonica, matematica, scienziata, erede della Scuola alessandrina ed antesignana della scienza sperimentale. Nata ad Alessandria d’Egitto intorno al 370 d.C., venne fatta uccidere nel marzo del 415 d.C. da chi, propugnando il fondamentalismo religioso, intendeva eliminare la libertà di pensiero e la voglia di sapere. L’omicidio di Ipazia, poiché di assassinio si tratta, è stato un atroce e vergognoso episodio ai danni di una scienziata che ragionava con il proprio cervello e che nutriva un amore assoluto per la verità, la ragione e la scienza.

La morte violenta di Ipazia ha rappresentato un atto perverso che, oltre a segnare il tramonto della scienza, ha tentato di soffocare la ragione umana, ha cercato di uccidere la speranza nel progresso umano ed ha arrecato un danno incalcolabile all’intera umanità. Ci si potrà chiedere per quale ragione il GAT ha deciso di aprire il 2011 con questo dramma filosofico-astronomico. La risposta è sorprendente e logica al tempo stesso: «I recenti gravissimi episodi di intolleranza religiosa avvenuti proprio ad Alessandria d’Egitto nelle scorse settimane – dice Palumbo – ci hanno convinto che questo era il momento giusto per presentare in maniera critica la tremenda storia di Ipazia, verificatasi sempre ad Alessandria d’Egitto 1500 anni fa».

Al tempo di Ipazia, Alessandria d’Egitto, fino a quel momento città-simbolo della tolleranza tra le varie culture e religioni, viene improvvisamente spazzata dal fiume in piena dell’intolleranza. Lo scontro tra Religione e Ragione produsse un fanatismo irragionevole, fonte di morte e distruzione: sono trascorsi 15 secoli ed Alessandria è ricaduta nello stesso “buco nero”. Ma l’orribile uccisione di Ipazia, a distanza di tempo, ha avuto l’effetto contrario di quello sperato dai suoi assassini, poiché la Ragione non è stata eliminata dal fanatismo religioso, e Ipazia è diventata Martire della Ragione e Simbolo della Libertà di Pensiero.

LA MAGIA DEL MAR ROSSO

Il protagonista di questo volume è il Mar Rosso, con i suoi fondali e con le terre che lo circondano, con i loro paesaggi abbacinanti e con le tradizioni dei popoli che le abitano, una cornice perfetta per tante meraviglie sommerse. Questo volume, introdotto da una sezione in cui antiche tavole e vecchie fotografie accompagnano un agile compendio storico, si propone come un catalogo delle ricchezze artistiche e naturali del Mar Rosso, con un occhio di riguardo per il suo patrimonio subacqueo, unico e superbo per ricchezza di specie e colori. Un contributo completo, quindi, alla conoscenza non superficiale di un parco archeologico e sottomarino senza eguali al mondo e, al tempo stesso, un appassionato invito a scoprire quell’autentico Eden pelagico conosciuto con il nome di Mar Rosso.

LA MAGIA DEL MAR ROSSO
Coralli e Deserto
Testi GIANNI GUADALUPI – GIORGIO MESTURINI
Collana I segreti del mare
Argomenti Mare, Mondo sommerso e Immersioni
Formato CM 27,5 X 30,5
Pagine 240 PAGINE A COLORI
Edizione 2011 – Italiano
ISBN 978-88-540-1591-3
Marchio Edizioni White Star®
NOVITA’ 2011
CARTONATO CON SOVRACCOPERTA
PREZZO 34,90

UN LIBRO IN SPIAGGIA: PALAZZO YACOUBIAN

In breve

La saga degli abitanti di un palazzo costruito al Cairo negli anni trenta. Storie parallele, vite che scorrono una accanto all’altra senza mai incrociarsi. Un palazzo che contiene in sé tutto ciò che l’Egitto era ed è diventato. La comédie humaine dell’Egitto contemporaneo.

Il libro

Palazzo Yacoubian è la saga non di una famiglia, ma degli abitanti di un palazzo costruito al Cairo negli anni trenta da un miliardario armeno. Storie parallele, vite che scorrono una accanto all’altra senza mai incrociarsi. Un palazzo che contiene in sé tutto ciò che l’Egitto era ed è diventato da quando l’edificio è sorto in uno dei viali del centro. Dal devoto e ortodosso figlio del portiere che vuole entrare in polizia ma che finirà invece per immolarsi nel nome di Allah, alla sua fidanzata, vittima delle angherie dei suoi padroni; dai poveri che vivono sul tetto dell’edificio e sognano una vita più agiata, al signore aristocratico poco timorato di Dio e nostalgico dei tempi di re Faruk che indulge in piaceri assolutamente terreni; dall’intellettuale gay con la passione per gli uomini nubiani che vive i suoi amori proibiti, neanche così clandestinamente, all’uomo d’affari senza scrupoli del pianterreno che vuole entrare in politica. Ciascuno di questi personaggi si ritroverà a fare delle scelte che, alla fine, porteranno alla rovina o alla redenzione. Quale sia l’esito, sarà il lettore a deciderlo. Ogni personaggio interpreta una sfaccettatura del moderno Egitto dove la corruzione politica, una certa ricchezza di dubbia origine e l’ipocrisia religiosa sono alleati naturali dell’arroganza dei potenti, dove l’idealismo giovanile si trasforma troppo rapidamente in estremismo e dove ancora prevale un’immagine antiquata della società. Oltre ai numerosi protagonisti, in questo romanzo campeggia la denuncia della società, della politica egiziana e dei movimenti islamisti, una denuncia particolarmente cara ad al-Aswani che oggi è uno degli esponenti di punta del movimento di opposizione egiziano Kifaya. Non a caso, un fervente sostenitore del libro è stato Saad ed-Din Ibrahim, celebre attivista egiziano per i diritti umani. Al-Aswani racconta magistralmente le piccole storie private, le tragedie e le gioie dell’Egitto che meno conosciamo, un Egitto plurale, un Egitto fatto di persone che si divertono, che vivono e che vanno ben al di là dell’immagine stereotipata che abbiamo dell’altra sponda del Mediterraneo.

Approfondimento

“Una critica alla società coraggiosa e schietta. Palazzo Yacoubian è il Cairo riprodotto in un microcosmo: arena, prigione, labirinto; un naufragio da cui l’umanità si salva a stento.”
Maria Golla, “Times Literary Supplement”

‘Ala Al-Aswani con il suo attuale e pungente romanzo dà vita a una narrazione complessa della vita nell’Egitto contemporaneo.
Kaelen Wilson-Goldie, “The Daily Star”

“Una provocatoria indagine della pressione politica e sociale nell’Egitto contemporaneo, pressione che porta molti egiziani a guardare con nostalgia al passato. Arricchito dalla grande complessità dei suoi personaggi.”
Donna Bryson, “Associated Press”

“Una delle offerte più forti dalla letteratura mediorientale per il 2006. Un melodramma politico molto ambizioso ambientato al Cairo, bestseller assoluto nel mondo arabo fin dalla sua prima edizione nel 2002.”
Michelle Pauli, “The Guardian”

“Scava in un misto di potere, corruzione, sesso, sfruttamento, povertà ed estremismo, catturando in modo lucido i diversi aspetti della vita egiziana: etero, gay, ricco, povero, influente, impotente.”
Abdalah, “Egypt Today”

 

Scheda

 

Palazzo Yacoubian

Traduzione: Bianca  Longhi
Collana: I Narratori –  Feltrinelli
Pagine: 216
Prezzo: Euro 16,00



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Se leggi questo blog ami l’Egitto
Se ami l’Egitto non perdere il numero di Fosus Storia Collection che trovi in edicola. Il titolo dello speciale è EGITTO: Nel regno dei faraoni.
Come vivevano, cosa mangiavano, come si truccavano, che lavori svolgevano e poi la religione, l’aldilà, i misteri delle piramidi e le “riforme” dei faraoni più rivoluzionari.
Curiosità, informazioni e le ultime scoperte storiche su una delle civiltà più affascinanti di tutti i tempi: gli Egizi.

A questo link puoi dare una sfogliata alla rivista per vedere solo una parte degli articoli

A questo link, cliccando su AVANTI, puoi vedere la ricostruzione di una antica dimora egizia

A questo link puoi divertirti costruendo una piramide!

Ecco invece il sommario completo della rivista:

«ATTENTI A I LUOGHI COMUNI»

Gli schiavi? Erano pagati. L’indole guerriera? Fandonie. I miti sfatati dall’egittologia.

L’EGITTO IN VOLO

Piramidi, statue grandiose, templi e paesaggi: le meraviglie della terra dei faraoni da un insolito punto di vista.

LA CIVILTÀ DEGLI IDRAULICI

I primi Egizi erano immigrati africani in fuga dalla siccità. Diventava “re” chi sapeva regolare le piene del Nilo e garantire così la fertilità dei campi.

REPORTAGE DAL KEMET

Come si viveva nella “Terra nera” dei faraoni, l’Egitto di 3 mila anni fa? Ce lo raccontano i suoi abitanti di allora.

QUI C’È IL TRUCCO

Amanti delle parrucche e dei cosmetici, gli Egizi li usavano non soltanto a scopo estetico ma anche curativo.

A PANE E BIRRA

Così “andavano” i meno ricchi. Dei piatti più elaborati, invece, conosciamo gli ingredienti ma non le ricette.

POCHI NEMICI TANTO ONORE

Gli Egizi combattevano poco volentieri, e perlopiù per difendere i confini. Ma si fecero valere anche in guerra.

PIRAMIDI E ALTRI MISTERI

Come venivano costruite? Ecco gli enigmi svelati, i quesiti ancora aperti e le bizzarre teorie “extraterrestri”.

GRANDI SOVRANI

In tutto i faraoni furono oltre 200. Eccone tre “speciali”: Hatshepsut, Akhenaton e Ramses II.

LA BIBBIA NON AVEVA RAGIONE

Gli Ebrei erano davvero schiavi in Egitto? L’Esodo c’è stato? E Mosè era proprio un trovatello?

ALLA CORTE DEL FARAONE

Politica, affari, tasse: la vita pubblica dell’Egitto si decideva a palazzo.

IL PESO DELL’ANIMA

La religione era presente in ogni aspetto della vita, per potersi guadagnare da morto l’accesso all’aldilà.

L’EGITTO RINASCE IN 3D

La tecnologia ricostruisce in digitale una civiltà e i suoi monumenti, ideati da chi vedeva il mondo in grande.

MAESTRI NELLA MEDICINA E NELLE SCIENZE

L’interesse degli Egizi per il sapere aveva unicamente uno scopo pratico. Così raggiunsero la perfezione nel mummificare i loro morti.

DIETRO LA MASCHERA

Dall’esame del Dna sulla mummia di Tutankhamon la risposta ai misteri della sua morte e delle sue parentele.

SANSONE DELLE SABBIE

Da “uomo più forte del mondo” ad archeologo per caso. La strana storia di Giovanni Belzoni, avventuriero padovano nell’Egitto dell’800.

ORO, ELETTRO E LAPISLAZZULI

I gioielli dei ricchi Egizi conservano intatto il loro splendore, che cela spesso un significato simbolico.

SESSO SENZA TABÙ

Miscugli afrodisiaci, contraccettivi, spogliarelli… Il sesso al tempo dei faraoni era libero e disinibito.

UN ALFABETO A FUMETTI

Forse hanno inventato loro la scrittura. Ma per millenni la lingua degli Egizi è rimasta per noi “muta”. Fino a quando una pietra…

LA RIVINCITA DEI FARAONI NERI

Una stirpe di sovrani dalla pelle scura risollevò per breve tempo le sorti di un Egitto ormai in decadenza.

IL TRACOLLO DI UNA CIVILTÀ MILLENARIA

Invasioni e divisioni interne portarono alla fine di un’esperienza culturale che non ebbe uguali, per durata, in Occidente.

CLEOPATRA L’ULTIMA REGINA

Non era la donna fatale che si racconta. Parlava otto lingue, era intelligente, spiritosa e
forse non fu neanche uccisa da un serpente.

LI DOBBIAMO A LORO

Parole, usanze e oggetti ereditati dalla scomparsa civiltà egizia.

L’ANTICO EGITTO A CUNEO

21 e 28 gennaio h. 17:00

Venerdì 21 gennaio, alle ore 17, presso la Fondazione Casa Delfino, in corso Nizza, 2, a Cuneo, gli autori Natale Barca, Alberto Elli e Gianluca Franchino dialogheranno sui temi a loro più cari inerenti l’Antico Egitto. Gli argomenti trattati spazieranno dalle origini della Civiltà Egizia, alla Stele di Rosetta, all’arte della mummificazione. Una tavola rotonda che vuole unire il fascino indiscutibile dell’Egitto, che anima una passione condivisa da molti, e la grande competenza e conoscenza degli interlocutori che da anni si interessano e studiano questi temi con grande dovizia e cura del dettaglio storico.

L’incontro sarà ripetuto venerdì 28 gennaio, con la partecipazione di altri autori della Casa Editrice Ananke. Moderatore e presentatore della serata sarà Sandro Trucco.

“EGITTO MAI VISTO” UN GRANDISSIMO SUCCESSO A FORLI’

Domenica 9 gennaio si è conclusa la mostra Egitto mai visto, allestita nel complesso museale di San Domenico a Forlì, con un notevole riscontro di pubblico che ha portato in mostra ben 35.000 visitatori (quasi 5.000 solo nell’ultima settimana) e una presenza notevole delle scuole (10.000 ragazzi hanno visitato la mostra e partecipato alle attività didattiche).
Ha così trovato positivo riscontro la nuova proposta culturale, voluta dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì e dall’Amministrazione Comunale e organizzata da Civita con la collaborazione di Start, finalizzata ad ampliare la stagione espositiva dei Musei San Domenico: una mostra d’autunno su grandi temi della cultura e della civiltà artistica, un percorso ulteriore rispetto alle grandi mostre organizzate ormai tradizionalmente nella stagione invernale e primaverile, come quella su Melozzo da Forlì per cui fervono i preparativi.

Terza ed ultima sede di un tour iniziato a Trento e proseguito a Reggio Calabria, la mostra ha presentato a Forlì 400 straordinari reperti datati intorno al 2000 a.C. scoperti dal grande egittologo Ernesto Schiaparelli nella valle nel Nilo e in particolare nelle necropoli di Assiut e Gebelein e premurosamente conservati per un secolo nei depositi del Museo Egizio di Torino. A distanza di quasi 100 anni, dopo un accurato lavoro di studio e di restauro, grazie alla Soprintendenza Archeologica del Piemonte e delle Antichità Egizie, quei reperti sono stati esposti per la prima volta ed è stato finalmente possibile per tutti rivivere l’esperienza e le emozioni di quelle straordinarie scoperte, effettuate fra il 1908 e il 1920 dalla Missione Archeologica Italiana. I materiali archeologici esposti al pubblico torneranno ora a far parte dell’immenso patrimonio del Museo Egizio di Torino.

“IL FASCINO DELL’EGITTO” A ORVIETO

Sarcofago antropomorfo

Una grande mostra sull’Egitto sarà allestita dal 12 marzo al 2 ottobre a Orvieto. La organizzano e propongono congiuntamente la Fondazione per il Museo “Claudio Faina” e la Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto nelle loro due sedi, una affacciata e l’altra in prossimità della piazza che accoglie il celebre Duomo della città umbra.

Va subito chiarito che non si tratta di una ulteriore tappa di una “mostra di giro”. Questa, coordinata da Giuseppe M. Della Fina, direttore scientifico della Fondazione per il Museo “C.Faina”, e curata dalle egittologhe Elvira D’Amicone della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e del Museo di Antichità Egizie di Torino e da Massimiliana Pozzi (Società Cooperativa Archeologica), è una mostra originale, studiata appositamente per Orvieto. Riunirà circa 250 reperti – molti davvero di grande importanza – concessi da una quindicina di musei e istituzioni culturali italiane.

Il sottotitolo evidenzia chiaramente il taglio che gli studiosi hanno voluto imprimere a questa ampia, importante rassegna: “Il ruolo dell’Italia pre e post-unitaria nella riscoperta dell’antico Egitto”, ovvero ciò che gli egittologi partiti dal nostro Paese hanno saputo fare intorno alle sponde del Nilo, lì attratti dallo spirito d’avventura, talvolta dalla sete di facili guadagni, molte altre dall’obiettivo di approfondire le conoscenze sull’antica Terra dei Faraoni.

“Il fascino dell’Egitto”, richiamato dal titolo della mostra, attraversa almeno tremila anni di storia dell’umanità. Dalla terra d’Egitto vennero tratte idee culturali, culti, divinità, usi e costumi; poi, quasi a voler catturare il senso di mistero e di eternità di quella magica civiltà, vennero asportate le testimonianze materiali: fossero i grandi obelischi che raggiunsero Roma, o ciò che veniva trafugato dalle tombe. Un fascino che dall’antichità contagiò il Medio Evo e incantò il Rinascimento quando principi e intellettuali si contendevano reperti considerati molto più che semplici curiosità archeologiche.

Statua Di Ptahmose, Museo Egizio di Firenze Nuovo Regno, XVIII dinastia, regno di Amenofi III. Collezioni Granducali

Ma è alla fine del Settecento e soprattutto durante l’Ottocento che oasi e sabbie d’Egitto vengono battute palmo a palmo da europei, e tra loro molti gli italiani, alla ricerca di quanto sopravviveva di una epoca trascurata dalla dominazione turca.
L’egittologia moderna ha una precisa data di nascita, l’anno 1822, quando Jean-François Champollion decifra, grazie alla stele di Rosetta, la scrittura geroglifica. Con lui, in una spedizione congiunta franco-toscana che percorse l’Egitto (1828-1829), c’era l’italiano Ippolito Rossellini.

In realtà, come la mostra documenta, protagonisti di una “corsa all’Egitto” furono uomini che al fascino dei Faraoni univano spesso quello del commercio antiquario. Due di loro hanno creato le basi per altrettanti musei. Giovanni Battista Belzoni, padovano, il primo ad entrare nella piramide di Chefren e nel tempio rupestre di Ramesse II ad Abu Simbel, trovò l’ingresso di sontuose tombe nella Valle dei Re e mise insieme, per il suo committente Henry Salt, il nucleo fondante della collezione egizia del British Museum, senza dimenticare la sua città cui legò alcuni importanti reperti. Il secondo, Bernardino Drovetti, piemontese, console di Francia in Egitto, riunì una collezione non meno vasta che venduta ai Savoia, è oggi il nucleo fondante di un altro museo, l’Egizio di Torino.

 

Orvieto, Museo “Claudio Faina” (piazza del Duomo, 19) e Palazzo Coelli, sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto (Piazza Febei, 3)
12 marzo – 2 ottobre 2011
Orario: 9,30 – 18.
Informazioni e prenotazioni: tel. 0763-341511 e 0763-393835

UN LIBRO SOTTO L’OMBRELLONE: CHE IL VELO SIA DA SPOSA

La Bridget Jones del mondo arabo ha 30 anni, viso dolce e occhi scuri. Porta un grande anello – non di fidanzamento, naturalmente – e non ama essere chiamata Bridjet Jones. “All’inizio – dice – non sapevo neanche chi fosse. Tantomeno conoscevo Sex and the City. Da noi questi film non sono trasmessi”. Eppure sfuggire all’etichetta è difficile: Ghada Abdel Aal è la giovane donna che per prima in Egitto ha osato infrangere il tabù del silenzio, raccontando pubblicamente la corsa disperata di migliaia di sue coetanee e delle loro famiglie per accaparrarsi un buon marito. Lo ha fatto in un blog (http://wanna-b-a-bride.blogspot.com) che racconta le avventure sue e delle sue amiche – tutte inglobate nel personaggio di Bride, sposa in inglese – e che è un susseguirsi di personaggi assurdi e situazioni imbarazzanti: dalla zia Ficcanaso al potenziale fidanzato che interrompe l’incontro con la famiglia per guardare una partita di calcio, fino al “bello e possibile” che si scopre essere un ladro. Ma che, fra un sorriso e l’altro, dipinge una società in cui – per usare le sue stesse parole – “le ragazze esistono solo perché qualcuno le sposi. Ma non devono essere loro a cercare qualcuno. Né tantomeno parlarne”.

E’ così che, a differenza dell’eroina di Helen Fielding o delle quattro newyorkesi uscite dalla penna di Candace Bushnell – divertenti e provocatorie ma certo non rivoluzionarie – Ghada ha davvero sfondato il muro delle convenzioni sociali. Diventando molto più che un fenomeno di costume. In tre anni il blog ha avuto più di 500 mila contatti, i post sono diventati un libro e presto saranno anche dei fumetti e una serie televisiva. I diritti sono stati acquistati in Germania e in Gran Bretagna, oltre che in Italia, dove la casa editrice Epoché è stata la prima a dare a Ghada una voce fuori dai confini del suo Paese.

Il successo ha colto questa farmacista tramutata in scrittrice impreparata: “Avevo bisogno di sfogarmi – racconta – avevo perso le mie migliori amiche, che si sono sposate. Non avevo più nessuno a cui raccontare le mie disavventure alla ricerca di un marito e così ho iniziato a scriverle su internet. Mi aspettavo pochi lettori e molti insulti, perché ho usato un linguaggio molto schietto, ho rivelato molti dei “trucchi” di noi ragazze e ho detto cose che gli uomini non vorrebbero sentire. Invece sono arrivati i ringraziamenti: dei ragazzi, che dicevano di aver finalmente capito molte cose. E delle coetanee, che si sentivano meno sole”.

Post dopo post Ghada ha puntato i riflettori su una questione sociale sempre più evidente in Egitto: paralizzati dalla crisi economica e da un tasso di disoccupazione superiore al 9% (quello ufficiale: ma esperti indipendenti parlano del 20%) e con un 20% della popolazione che vive sotto la soglia della povertà, i giovani sulle rive del Nilo si sposano sempre più tardi. E se per un ragazzo restare a casa è noioso ma onorevole, una ragazza che superi la soglia dei 27 senza anello al dito entra automaticamente nella categoria delle zitelle. Quelle che “hanno per forza qualcosa di sbagliato, altrimenti perché non se le piglia nessuno?”, come scrive Ghada. Ai tre milioni di donne egiziane oltre i 35 anni che non sono sposate e a quelle che si avvicinano a questa soglia, Abdel Aal ha dato una voce. Che ora rimbomba come un’eco: dopo il suo successo sono nati gruppi su Facebook dedicati alle “zitelle”, un blog e una radio intitolati “Voglio divorziare” e un magazine dedicato a chi ha un matrimonio fallito alle spalle.

Difficile immaginare che la valanga sia stata innescata da questa giovane donna con i capelli coperti da un velo nocciola. A prima vista, infatti, l’aria timida non corrisponde allo stile pungente del blog e del libro: “Quando scrivo sono molto più spigliata”, ammette lei. Questa dicotomia le ha creato non pochi problemi: “Ora – sorride – è ancora più difficile trovare un fidanzato. Uno dei pochi che si è fatto avanti cercava Bride, non me: mi ha chiesto perché ero così diversa dalle cose che raccontavo. Ho capito che neanche lui è quello giusto.” Nonostante tutto Ghada non smetterà di cercare: “Voglio avere dei figli e in Egitto non c’è altra via oltre al matrimonio. E chissà, magari un giorno un uomo ni stupirà”. Di certo, promette, le nozze non saranno la fine del blog: “Se mai succederà magari mi metterò a scrivere della vita da sposata. Sono certa che di cose da raccontare ce ne sarebbero”. Per non parlare del fatto che in tv i sequel sono di gran moda.

Ghada tra le 100 donne dell’anno di Io Donna

Io Donna (Corriere della sera) stila la classifica delle 100 donne dell’anno: e Ghada guadagna il 62° posto.
“Farmacista egiziana, trentenne, single, affida a un blog la sua rocambolesca ricerca di un uomo da sposare e pubblica un bestseller, Che il velo sia da sposa (Epoché). Per tutti, ormai, è la Bridget Jones del mondo arabo.”

SCOPERTA ARCHEOLOGICA

Il Ministro della Cultura egiziana, Farouk Hosny ha annunciato oggi che sei pezzi mancanti della doppia statua colossale della 18a dinastia, rappresentante il re Amenhotep III e la regina Tiye, sua moglie, sono stati scoperti nel tempio funerario del re, sulla riva occidentale del Nilo a Luxor. La statua è attualmente uno dei pezzi forti della sala principale del Museo Egizio del Cairo.

I pezzi mancanti sono stati scoperti 130 anni dopo che Mariette scoprì la doppia statua nel 1889 a Medinet Habu. I frammenti sono stati trovati durante lavori di scavo da parte di un gruppo di egiziani sotto la direzione del Dr. Zahi Hawass, Segretario Generale del Consiglio Supremo delle Antichità (SCA).

ANTICO EGITTO A PARMA

Ha inizio oggi (ieri ndr) la tre giorni dedicata all’antico Egitto e i suoi affascinanti reperti realizzata grazie all’impegno del cavalier Luca Trombi nella prestigiosa rocca di Sala Baganza. L’iniziativa, titolata “La rocca illuminata”, prevede una serie di conferenze, incontri dedicati alle scuole, una mostra fotografica di Sandro Vannini, che si protrarrà fino al 30 gennaio, e un concerto finale con buffet. A patrocinare l’evento il Museo Archeologico di Parma, il comune di Sala Baganza, la provincia di Parma e la fondazione Cariparma. Oggi alle 17.30 si terrà l’inaugurazione della mostra fotografica, mentre alle 18.00 la professoressa Paola Davoli dell’università di Lecce terrà il primo incontro, dal titolo “La città del dio coccodrillo”, incentrato sulle nuove scoperte archeologiche egiziane. Martedì 11 sempre alle 18.00 il professor Mario Capasso, sempre dell’ateneo di Lecce parlerà de “La biblioteca carbonizzata: i rotoli di Ercolano”. Sempre alle ore 18.00 del 12 invece la dottoressa Roberta Conversi, responsabile del servizio educativo del museo Archeologico di Parma, illustrerà ai presenti la collezione di reperti conservati presso il museo e dedicati a questa antica civiltà.

Nei giorni del 10 e dell’11 il professor Giuseppa Alvar Minaya terrà degli incontri in mattinata rivolti agli studenti di scuole elementari e medie. Mercoledì 12 alle 19.30 gran finale con concerto all’interno dell’oratorio dell’Assunta: al pianoforte il maestro Marco Baccelli e in chiusura buffet per tutti i partecipanti.

Secondo comunicato stampa:

Lunedì 10 gennaio alle ore 17.30 presso la Rocca Sanvitale di Sala Baganza verrà inaugurata la mostra fotografica sull’Antico Egitto “Elaborazioni d’Egitto”, sintesi della ricerca, e permanenza, decennale in Egitto dell’illustre fotografo Sandro Vannini, che sarà presente in Rocca.

La mostra è stata ospitata anche dalla prestigiosa “Tethys Gallery” di Firenze, ed è frutto di una selezione di scatti utilizzati dal fotografo viterbese per realizzare, insieme al Segretario generale del Supremo Consiglio delle Antichità Egizie, Zahi Hawass, il libro-tributo alle antichità egiziane “A Secret Voyage”.

La mostra resterà poi aperta al pubblico fino al 30 gennaio. La mostra si inserisce nell’ambito della manifestazione “La Rocca Illuminata” ospitata nelle sale della Rocca dal 10 al 12 gennaio, tre giorni di studio e di full immersion nell’antico Egitto, per approfondirne la storia e conoscere, grazie alla presenza di esperti, le più recenti novità sugli scavi e le scoperte archeologiche.

La Rocca Illuminata
pensiero, storia, scienza nelle sale della Rocca Sanvitale

Tre giorni di iniziative ad ingresso libero, per conoscere i segreti dei faraoni, le novità delle ultime campagne di scavo, il mestiere del papirologo e altro ancora. In mostra, fino al 30 gennaio le foto di Sandro Vannini.

Come si diventa papirologo, chi erano e come vivevano i faraoni, le nuove campagne di scavo e le scoperte archeologiche più recenti. Dal 10 al 12 gennaio 2011, Sala Baganza ospita nelle sale della Rocca Sanvitale l’iniziativa “La Rocca illuminata”, tre giorni di studio e di full immersion nell’antico Egitto, per approfondirne la storia e conoscerne i segreti. L’iniziativa, realizzata dal Comune di Sala Baganza insieme alla Provincia di Parma, la Fondazione Cariparma ed il Museo Archeologico di Parma, nasce grazie all’impegno e alla passione per l’Egitto del Cavalier Luca Trombi.

Nel calendario dei tre giorni, incontri per le scuole di Sala Baganza, conferenze, una mostra ed un concerto, tutto ad ingresso libero.

Tre conferenze, dall’Egitto a Parma.

Sono tre le conferenze in programma nell’ambito dell’iniziativa La Rocca Illuminata. Grazie alla partecipazione di esperti relatori protagonisti di importanti campagne di scavo, che riveleranno alcune delle ultime scoperte emerse, le conferenze, tutte previste alle ore 18.00, saranno di grande interesse divulgativo.

Lunedì 10 gennaio, Paola Davoli, professore associato della cattedra di Egittologia dell’Università di Lecce illustrerà al pubblico le “Nuove scoperte in Egitto: Soknopaiou Nesos, la città del dio coccodrillo”.

Martedì 11 gennaio, “La biblioteca carbonizzata: i rotoli di Ercolano”, sarà il tema della conferenza condotta da Mario Capasso, fondatore e direttore del Centro di Studi Papirologici dell’Università di Lecce.

Mercoledì 12 gennaio, dall’Egitto a Parma per parlare della “Collezione egizia del Museo Archeologico Nazionale di Parma: dalla pianta di lino al bisso del Faraone”, condotta da Roberta Conversi, Responsabile del Servizio educativo del Museo Archelogico Nazionale di Parma.

Incontri con le scuole.

Si terranno poi alcuni incontri rivolti alle scuole del territorio, in particolare alle classi 4° elementare e 1° media, condotti da Giuseppe Alvar Minaya, egittologo dell’Università di Lecce. In particolare, lunedì 10 gennaio si terrà l’incontro dal titolo “Faraoni, uomini e dei dell’Antico Egitto” per le 1° media, mentre martedì 11 gennaio l’incontro “Il mestiere del papirologo”, per le 4° elementari. Gli incontri per le scuole proseguiranno per le 4° elementari nel mese di aprile con la visita guidata al “Museo Archeologico Nazionale di Parma”, condotta da Roberta Conversi, Responsabile del Servizio educativo del Museo Archelogico Nazionale di Parma.

Concerto conclusivo.

In occasione della giornata conclusiva dell’iniziativa, mercoledì 12 gennaio alle ore 19.30, si terrà, all’interno dell’Oratorio dell’Assunta, un concerto al pianoforte del Maestro Marco Baccelli, al termine del quale verrà offerto un buffet ai partecipanti.

PER ULTERIORI INFORMAZIONI:

tel: 0521834382, 0521331342, 0521331344
iatsala@comune.sala-baganza.pr.it
www.comune.sala-baganza.pr.it

ANTICO EGITTO A PADOVA

Nell’ambito del Progetto Egittoveneto, programma di ricerca nato con lo scopo di censire, catalogare e valorizzare il patrimonio di reperti egizi ed egittizzanti conservati nei Musei del Veneto, il Dipartimento di Archeologia dell’Università di Padova, il Dipartimento di Scienze dell’Antichità e del Vicino Oriente dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, il Centro di Ateneo per i Musei e i Musei di Scienze Archeologiche e d’Arte e di Antropologia dell’Ateneo patavino e il Servizio paesaggio culturale e BBCC- Ufficio valorizzazione Patrimonio storico-archeologico della Regione Veneto hanno programmato un ciclo di conferenze dal titolo Oltre i confini d’Egitto. Guerre, relazioni, scambi tra il paese del Nilo e gli altri popoli che si terranno da gennaio a marzo 2011 in diverse sedi delle strutture organizzatrici.

Nell’Aula Emiciclo dell’Orto Botanico, via Orto Botanico 15 a Padova, sempre il mercoledì alle ore 16.00 sono previste le seguenti conferenze: il 12 gennaio Egitto e Siria nel III e II millennio a.C. tenuta da Alessandro Roccati, il 19 gennaio Emanuele Ciampini parlerà di Terre oltre l’Egitto: la Nubia, il 26 gennaio Paola Zanovello dell’Università di Padova interverrà su Echi d’Egitto nel mondo greco, Monica Salvadori e Giulia Deotto il 2 febbraio approfondiranno il tema della Pittura romana e paesaggi egizi tra reale e immaginario, Paolo Scarpi, il 9 febbraio, affronterà il tema Da Thot a Ermete. La religione dell’Egitto dopo Alessandro, infine mercoledì 16 febbraio Martino Gottardo concluderà il ciclo nella sede dell’Orto Botanico con l’incontro dal titolo Il mestiere delle armi.

Ai Musei Civici agli Eremitani di Padova mercoledì 23 febbraio, sempre alle ore 16.00, la conferenza dal titolo I papiri aramaici del Museo Civico Archeologico di Padova, tenuta da Francesca Veronese e Claudia Gambino, sarà preceduta, alle ore 15.00, da una visita al museo.

Infine mercoledì 1 marzo, al Dipartimento di Scienze dell’Antichità e del Vicino Oriente dell’Università Ca’ Foscari di Venezia alle ore 16.00, Emanuele Ciampini concluderà il ciclo di conferenze con una Tavola Rotonda dal titolo Un Egitto oltre l’Egitto che sarà preceduta alle ore 14.00 dalla visita al Museo Archeologico Nazionale di Venezia.

Mercoledì 12 gennaio alle ore 16.00 nell’Aula Emiciclo dell’Orto Botanico, via Orto Botanico 15 a Padova, Alessandro Roccati aprirà il ciclo di conferenze con una relazione su Egitto e Siria nel III e II millennio a.C.

Alessandro Roccati, archeologo ed egittologo, ha studiato egittologia a Oxford, Bonn e Parigi. Ha preso parte alle missioni archeologiche in Egitto dell’Università di Roma, del Museo Arqueologico di Madrid e dell’Institut français d’Archéologie Orientale. Ispettore al Museo delle antichità egizie di Roma è anche docente universitario. Dal 1991 ha diretto la missione archeologica in Egitto e Sudan, nel 2000 è Presidente dell’Istituto Italiano per la Civiltà Egizia e del Comitato scientifico della Fondazione del Museo Egizio di Torino, dal 2007 dell’Istituto Italiano per la Civiltà Egizia (I.I.C.E.) e dal 2009 del Comitato scientifico della Fondazione del Museo Egizio di Torino.

ZADI HAWASS E L’OBELISCO DI NEW YORK

L'obelisco all'epoca del suo insediamento

Al Central Park di New York si trova un obelisco di granito rosso ,alto 21 metri e realizzato durante la 18esima dinastia per commemorare il re Tuthmose III, nonno di Tutankhamon. Questo obelisco è uno di coppia di obelischi gemelli originariamente eretti in Heliopolis, ma poi spostati ad Alessandria, di fronte al tempio dedicato al Divino Giulio Cesare.
Nel corso del 19 ° secolo, il Khedive d’Egitto, che ha governato come viceré del sultano di Turchia tra il 1879 e il 1914, ha donato due obelischi alle nazioni industrializzate occidentali in cambio di aiuti esteri per modernizzare l’Egitto ( canale di Suez). L’obelisco di Londra è stata innalzato nel 1879, il suo gemello invece fu eretto a Central Park nel 1881. Da allora è comunemente conosciuto come “Cleopatra Needle”.
Durante la sua ultima visita a New York, Zahi Hawass, segretario generale del Supremo Consiglio delle Antichità (SCA), ha potuto appurare che l’obelisco ha severamente resistito alle intemperie del secolo scorso ma non è stato adeguatamente conservato nè sono stati compiuti sforzi per conservarlo . Questo fatto ha portato Hawass a scrivere una lettera al presidente del Central Park Conservancy e al sindaco di New York City per chiedere il loro aiuto nella cura dell’obelisco, avvisando che , nel caso non fossero state prese tutte le misure necessarie per migliorarne la conservazione, avrebbe provveduto a fare in modo di riportarlo a casa.
Questo avvertimento ha creato trambusto nella stampa americana.

Le gravi lesioni ai geroglifici

“Io sono responsabile di tutti i monumenti egiziani e uno dei miei compiti è quello di monitorare il patrimonio Egitto, sia nel paese o all’estero”, ha detto Hawass ad Ahram Online . Ha continuato: “Perché uno dei principali obiettivi del mio mandato di segretario generale di SCA è stata la conservazione e protezione delle antichità egizie, ritengo necessario che io lotti per il restauro di questo obelisco”.
Hawass ha aggiunto che le foto recenti mostrano che l’obelisco ha subito gravi danni, soprattutto al testo geroglifico inciso su di esso.

Secondo il New York Post , il Dipartimento Parchi ha detto che il monumento è in gran forma per la sua età e non è in alcun bisogno di un lifting.
“Abbiamo grande rispetto per questo artefatto egiziano” Jonathan Kuhn, direttore di oggetti d’arte del New York City Parks and Recreation Department ha detto al New York Post . Ha continuato sostenendo che una relazione datata 1980 rivela che il monumento aveva già qualche danno alle iscrizioni sui fianchi, ma che il danno è stato fatto prima del 20 ° secolo.

MEMORIE DI UN GATTO NERO NEL MEZZO DEL MAR ROSSO

Un libro simpatico e divertente, scritto da Mao Casella, scaricabile gratuitamente da Internet al seguente indirizzo:

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Buona lettura!!

Mi ricordo ancora quella tiepida sera di novembre, quando mi rapirono dal giardino del diving center del Coral Bay a Sharm el Sheikh, in Egitto.
Intendo dire, non che poi mi trovassi troppo bene, in quel posto… ero stato abbandonato poche settimane prima dalla mamma, quella vera, e per nove lunghi giorni avevo dovuto pietire cibo dai sub che lavoravano lì, con dei giardinieri che mi prendevano a calci, delle segretarie che urlavano, ma soprattutto il capo del diving che minacciava di uccidermi ogni volta che miagolavo e purtroppo, io sono sempre stato molto loquace.
Ah, dimenticavo, mi chiamo Mac, sono un gatto nero di razza caucasica e quel giorno ho vinto al totocalcio.
Dicevo: fui rapito da due o tre persone, tra cui c’era anche la mia futura mamma adottiva, e chiuso in una cesta di vimini.
– Chiudilo dentro… veloce!
– Col cazzo, graffia come una pantera…
– Dai! Dai!
– Mieaeooouwww.
Era un grosso omone biondo di nome Mircazzi, accanto ad una più piccolina, scura, che dava gli ordini: Cristina. Poco dietro una lunga ragazza attonita che di lì a poco avrei amato con tutto il mio cuore. Diventò mia madre: Anna.
– Non fategli male – disse la mamma, quasi piangendo.
– E’ lui che mi fa male, xxxx!!!
– E’ nero, se scappa non lo becchiamo più…
Devo dire che in quei giorni avevo paura anche della mia ombra e che tutto quel casino, poco prima del tramonto, mi mise in seria difficoltà. Poi, soprattutto, perché volevano mettermi in quel cesto?
Lottai con tutte le mie forze e graffiai a destra e a manca, ma alla fine fui sopraffatto. Nel cesto, il buio.

 

CHIUDE LA TOMBA DI TUTHANKAMON

Zadi Hawass nella tomba di Tuthankamon

Il segretario generale del consiglio supremo delle antichità egiziane Zahi Hawass ha annunciato che la tomba di Tutankhamon, nella Valle dei Templi di Luxor, sarà presto chiusa ai visitatori per evitare che questi la distruggano. La misura sarà applicata anche ad altre due celebri tombe di Luxor, quelle di Seti I di Nefertari, padre e moglie di Ramses II, che regnò dal 1314 al 1304 a.C.

Hawass ha spiegato che altrimenti «queste tombe sarebbero totalmente distrutte nel giro di 200 anni». Secondo l’egittologo Basaam el Shamaa «l’umidità causata dalla respirazione e dal sudore dei turisti» – in agosto le temperature superano i 50 gradi – «danneggiano le tombe».

Gli egiziani prevedono di realizzare a breve una «valle delle riproduzioni». Esperti sono già al lavoro con i laser per preparare immagini e copie esatte di interni, decorazioni e dipinti, delle tre tombe, che saranno ricostituite nei dintorni per i turisti. Le tombe originali potranno essere ancora visitate da pochissimi privilegiati, specialisti di egittologia, che però, avverte Hawass, pagheranno «biglietti d’ingresso carissimi». Scoperta nel 1922 dall’archeologo britannico Howard Carter, la tomba di Tutankhamon è ritenuta quella meglio conservata. È una delle principali attrazioni turistiche del paese. Ma, spiega Hawass, ora «è più importante proteggere la storia che il turismo».

LA CURA DELLA PELLE NELL’ANTICO EGITTO

La cura della pelle era alla base del concetto stesso di bellezza nell’antico Egitto.

I papiri ci hanno tramandato ricette millenarie di cui colpisce, prima di ogni altro aspetto, il binomio tra modernità (alcuni ingredienti di allora sono adoperati anche nella cosmesi odierna) e ripugnanza, dato l’uso massiccio di “materie prime” da far accapponare la pelle.

In alcuni post precedenti, questo blog aveva chiarito l’importanza della depilazione fra le donne egizie, attuata con vari metodi; per perfezionarla, lenire la pelle ed attenuare inevitabili rossori provocati dall’ operazione, si applicavano creme dalla preparazione a dir poco bizzarra, a base di ossa di uccelli bollite, succo di sicomoro, cetriolo e gomma, con l’aggiunta di…sterco di mosca.

In un Paese dal clima particolarmente caldo come l’Egitto, la profumazione della pelle con sostanze odorose e balsamiche era indispensabile; veri e propri deodoranti si ottenevano dalla scorza macinata di carrube o palline di farina d’avena, un ingrediente talmente efficace e portentoso da costituire la base di molte creme e preparati anche oggi.

Ovviamente, la pelle del viso costituiva il fulcro delle quotidiane cure di bellezza delle signore egiziane; essa doveva essere sempre liscia, morbida e levigata, anche per essere preparata nel modo migliore al trucco, piuttosto elaborato e pesante.

Un peeling efficace e comune, era costituito da un preparato a base di polveri di alabastro e carbonato di soda, insieme a miele e sale marino, dal noto effeto “scrub” naturale e meccanico.

Infine, non potevano mancare gli antirughe; i segni del tempo sul volto venivano contrastati da cere, olio di moringa, incenso e calamo, pianta palustre dai molteplici effetti benefici usata a tutt’oggi in erboristeria.

I SEGRETI DEL MAR ROSSO

Mar Rosso, 1914. Henry de Monfreid, arriva a Gibuti dove diviene commerciante di cuoio e di caffè. Abbandona presto questa vita per dedicarsi prima alla pesca delle perle e poi al contrabbando delle armi, riuscendo a carpire i segreti degli scaltri mercanti locali. A bordo del suo sambuco e circondato da un fedele equipaggio indigeno si avventura tra le isole più remote e selvagge del Mar Rosso, da Dahlak, isola delle perle, a Kor Omeira, costa delle armi. Tra arresti e fughe notturne, scontri con i meschini funzionari delle colonie, attacchi dei pirati zaranig, incontri con personaggi fuori dal comune, in una natura selvaggia e primitiva, de Monfreid restituisce al lettore l’atmosfera, i profumi e i sapori della vita e della mentalità coloniale dell’inizio del secolo scorso.

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I segreti del Mar Rosso

Monfreid Henry de

Prezzo € 14,00
Editore Addictions-Magenes Editoriale
Anno pubblicazione 2007
Numero pagine 277
ISBN 9788887913927
Collana Maree. Storie del mare
Stato Disponibile in 3-5 giorni lavorativi a partire dal 4 Gennaio

 

LE ULTIME SCOPERTE SUL FARAONE TUT

Un bellissimo e lucidissimo articolo di Zahi Hawass per il National Geografic. La storia del leggendario faraone Tutankhamon attraverso le testimonianze della scienza, i resoconti delle TAC e delle analisi del DNA svela, una volta per tutte, la vera storia di uno dei faraoni meno amati in vita e probabilmente per questo motivo arrivato intatto fino a noi. Tut ha veramente raggiunto l’immortalità diventando il faraone più conosciuto e studiato dell’intera storia

di Zahi Hawass

Le mummie ci turbano e ci affascinano. Ricche di segreti e magia, un tempo erano persone che vivevano e amavano, proprio come noi. Credo che dovremmo rendere onore a questi antichi defunti e lasciarli riposare in pace.

Tuttavia, alcuni segreti riguardanti i faraoni  possono essere svelati solo studiandone le mummie. Nel 2005, grazie a una serie di TAC della mummia di Tutankhamon siamo riusciti a dimostrare che il sovrano egizio non morì per un colpo alla testa come credevano in molti. Dai nostri esami è emerso che la parte posteriore del suo cranio era stata forata durante il processo di mummificazione; lo studio dimostra inoltre che Tutankhamon morì ad appena 19 anni, forse poco dopo aver subito la frattura della gamba sinistra.
Il personaggio è circondato da misteri che neppure una TAC può risolvere. Ma ora siamo in grado di fare straordinarie rivelazioni sulla sua vita, la sua nascita e la sua morte.

Per me la storia di Tutankhamon (oggi chiamato anche “Tut”) è come un dramma di cui si sta ancora scrivendo il finale. Il primo atto ha inizio intorno al 1390 a.C., varie decine d’anni prima della sua nascita, quando sale al trono d’Egitto il grande faraone Amenhotep III. Questo sovrano della XVIII dinastia, il cui impero si estende per 1.900 chilometri, dall’Eufrate, a nord, alla Quarta Cataratta del Nilo, a sud, vanta ricchezze inimmaginabili. Al fianco della potente regina Tiye, Amenhotep III regna per 37 anni onorando le divinità dei suoi avi, primo fra tutti Amon, mentre il popolo prospera e le casse del regno si riempiono grazie ai possedimenti oltreconfine.

I resti mummificati del sovrano erano custoditi in questo sarcofago d’oro massiccio di circa 110 chili. (Clicca per ingrandire)

Se il primo atto parla di tradizione e stabilità, nel secondo si racconta una rivoluzione. Alla morte di Amenhotep III gli succede il suo secondogenito, Amenhotep IV, personaggio singolare e sognatore, che abbandona il culto di Amon e delle altre divinità del pantheon ufficiale per abbracciare quello di un dio unico: l’Aton, ovvero il disco solare. Nel quinto anno del suo regno il sovrano ha già cambiato nome ed è diventato Akhenaton, “colui che è utile all’Aton”. Si erge a dio vivente e lascia Tebe, la capitale religiosa della tradizione, per andare a costruire una grande città di culto 290 chilometri più a nord, in una località oggi chiamata Amarna. Qui vive con la sposa, la grande e bellissima Nefertiti, e con lei assolve il ruolo di sommo sacerdote dell’Aton, assistito dalle sei figlie dilette. La classe sacerdotale devota ad Amon viene privata di ogni potere e ricchezza e l’Aton regna supremo. L’arte di questo periodo è pervasa da un naturalismo nuovo e rivoluzionario: il faraone non si fa ritrarre con un volto idealizzato e un fisico giovane e muscoloso come i suoi predecessori, ma ha un aspetto stranamente effeminato, la pancetta e un viso lungo dalle labbra carnose.

La fine del regno di Akhenaton è avvolta nell’incertezza; è una scena recitata a sipario calato. Per un breve periodo il potere è in mano a uno o forse a due sovrani, che regnano insieme ad Akhenaton oppure dopo la sua morte, o entrambe le cose. Come molti altri egittologi, anch’io sono convinto che il primo di questi “re” sia Nefertiti. Il secondo è invece un personaggio misterioso chiamato Smenkhkara, di cui non si sa quasi nulla. Quel che si sa per certo invece è che quando si riapre il sipario al terzo atto, sul trono c’è un bambino di nove anni: Tutankhaton (“l’immagine vivente dell’Aton”). Nei primi due anni di regno, il sovrano e la sua sposa Ankhesenpaaton (figlia di Akhenaton e Nefertiti) lasciano Amarna e tornano a Tebe, dove riaprono i templi, ai quali restituiscono gloria e ricchezza. I reali consorti cambiano nome e diventano Tutankhamon e Ankhesenamon, ripudiano l’eresia di Akhenaton e rinnovano la propria fedeltà al culto di Amon.

SOPRA: L’archeologo egiziano Zahi Hawass (a destra), discute con due esperti di DNA dopo il prelievo di tessuto osseo da una delle mummie scoperte nella tomba KV35 della Valle dei Re.

E qui cala il sipario. Dieci anni dopo l’ascesa al trono, Tutankhamon è già defunto e non lascia eredi. Viene sepolto frettolosamente in una piccola tomba progettata in origine non per un sovrano, ma per un privato. E per reazione all’eresia di Akhenaton, i suoi successori riescono a cancellare dalla storia quasi ogni traccia dei sovrani di Amarna, Tutankhamon compreso.

Per ironia della sorte, questo tentativo di cancellare la sua memoria ha fatto sì che Tutankhamon arrivasse fino a noi. Meno di un secolo dopo la sua morte nessuno ricordava più dove fosse la sua tomba. Nascosta ai saccheggiatori dalle strutture costruite sopra, la tomba è rimasta praticamente intatta fino alla sua scoperta, nel 1922. All’interno sono stati ritrovati più di 5.000 manufatti. Ma finora i reperti archeologici non erano riusciti a fare luce sui rapporti familiari più intimi del giovane monarca. Chi erano i suoi genitori? Che fine fece la vedova Ankhesenamon? I due feti mummificati che sono stati rinvenuti nella tomba sono figli mai nati del re oppure simboli di purezza che dovevano accompagnarlo nell’aldilà?

Per rispondere a questi interrogativi abbiamo deciso di analizzare il DNA di Tutankhamon insieme a quello di altre dieci mummie sospettate di far parte della cerchia più ristretta dei suoi familiari. In passato sono stato contrario a condurre studi genetici sulle mummie reali; ritenevo che le probabilità di ottenere campioni utili evitando di contaminare i reperti con Dna moderno fossero troppo ridotte per giustificare la manipolazione di quei sacri resti. Ma nel 2008 vari genetisti mi hanno convinto che nel settore erano stati fatti progressi tali da lasciar sperare in risultati fruttuosi. Perciò abbiamo allestito due laboratori all’avanguardia per il sequenziamento del Dna, uno nei sotterranei del Museo Egizio del Cairo, l’altro presso la Facoltà di Medicina dell’Università del Cairo. Le ricerche sono state dirette da due studiosi egiziani: Yehia Gad e Somaia Ismail del Centro Nazionale di Ricerca egiziano. Abbiamo anche deciso di sottoporre tutte le mummie a tomografia computerizzata sotto la guida di Ashraf Selim e Sahar Saleem della suddetta Facoltà di Medicina. L’équipe si è avvalsa della consulenza di tre esperti internazionali: Carsten Pusch dell’Università Eberhard Karls di Tubinga, Albert Zink dell’Istituto per le Mummie e l’Iceman dell’Eurac di Bolzano, e Paul Gostner, dell’Ospedale Centrale di Bolzano.

SOPRA: Il corpo di Amenhotep III venne ritrovato nel 1898 nella tomba KV35, dov’era sepolto il nonno Amenhotep II, nascosto insieme a una decina e più di altri membri della famiglia reale.

Conoscevamo l’identità di quattro mummie: quella di Tutankhamon, ancora nella Valle dei Re, e quella delle tre mummie esposte al Museo Egizio: Amenhotep III, Yuya e Tuyu, genitori della regina Tiye consorte di Amenhotep III. Tra le mummie non identificate c’era quella di un maschio scoperto in una misteriosa tomba della Valle dei Re denominata KV55; a giudicare dalle testimonianze archeologiche e testuali sembrava molto probabile che fosse la mummia di Akhenaton o di Smenkhkara.

La ricerca della madre e della sposa di Tutankhamon si è concentrata su quattro mummie femminili non identificate. Due di queste, soprannominate “la Vecchia Signora” e “la Giovane Signora”, erano state scoperte nel 1898 in una camera laterale della tomba di Amenhotep II (KV35), sbendate e abbandonate sul pavimento; forse alcuni sacerdoti le avevano nascoste lì dopo la fine del Nuovo Regno, intorno al 1000 a.C. Le altre due mummie provenivano da una piccola tomba della Valle dei Re (KV21) che sembra risalire alla XVIII dinastia; tenevano entrambe il pugno sinistro sul petto, in una posa generalmente considerata caratteristica di una sovrana.

Infine, volevamo tentare di prelevare un campione di DNA dai feti rinvenuti nella tomba di Tutankhamon, impresa non facile date le cattive condizioni delle mummie. Ma se ci fossimo riusciti, forse avremmo trovato i pezzi mancanti di un puzzle che comprendeva cinque generazioni.

Per disporre di materiale analizzabile i genetisti hanno prelevato dei campioni di tessuto da vari punti di ogni mummia e sempre dalla parte più interna dell’osso, dov’era impossibile che il campione fosse stato contaminato dal Dna degli archeologi precedenti o dei sacerdoti egizi che si erano occupati della mummificazione. L’équipe è stata anche particolarmente attenta a evitare qualsiasi rischio di contaminazione da parte dei ricercatori. Una volta prelevati i campioni occorreva separare il DNA da sostanze come gli unguenti e le resine usati dai sacerdoti per conservare le salme. Dal momento che le sostanze impiegate per l’imbalsamazione erano diverse per ogni mummia, si è dovuto variare il procedimento necessario a purificarne il Dna. E in ogni caso c’era sempre il pericolo di danneggiare il delicatissimo materiale.

Lo studio si è incentrato proprio sulla mummia di Tutankhamon. Nel momento in cui fossimo riusciti a prelevare e isolare il suo DNA, l’avremmo immerso in una soluzione liquida trasparente per analizzarlo. Purtroppo siamo rimasti costernati vedendo che le prime soluzioni diventavano scure e torbide.

SOPRA: Fra i resti custoditi nella tomba KV35 c’era una mummia non identificata, nota fino a ieri come la Vecchia Signora. L’analisi del DNA ha accertato che questa mummia, che ancora conserva segni di una antica bellezza, era Tiye, sposa di Amenhotep III e figlia di Yuya e Tuyu, una coppia di coniugi non appartenenti alla famiglia reale, scoperti nel 1905 nella loro tomba intatta, la KV46.

Ci sono voluti sei mesi di lavoro intenso per capire come eliminare il contaminante (un prodotto per la mummificazione ancora ignoto) e ottenere un campione che si potesse amplificare e sequenziare. Una volta prelevato anche il DNA delle altre tre mummie maschili analizzate – Yuya, Amenhotep III e il misterioso KV55 – ci siamo messi all’opera per far luce sull’identità del padre di Tutankhamon. Le testimonianze archeologiche riguardanti questa questione cruciale erano ambigue. In varie iscrizioni risalenti all’epoca del suo regno, Tutankhamon parla di Amenhotep III definendolo suo padre; ma ciò non basta a sciogliere il dubbio, perché il termine usato ha anche il significato di “nonno” o “avo”. Inoltre, stando alla cronologia comunemente accettata, Amenhotep III morì circa dieci anni prima della nascita di Tutankhamon.

Molti studiosi ritengono invece che il padre fosse Akhenaton. Questa tesi è confortata dalle iscrizioni di un blocco spaccato di calcare rinvenuto vicino ad Amarna in cui sia Tutankhaton che Ankhesenpaaton vengono definiti figli amati del sovrano. Poiché sappiamo per certo che Ankhesenpaaton era figlia di Akhenaton, ne consegue che anche Tutankhaton (divenuto poi Tutankhamon) era suo figlio. Ma non tutti gli studiosi giudicano convincente questa testimonianza e alcuni hanno affermato che il padre di Tutankhamon fosse invece il misterioso Smenkhkara. Per parte mia avevo sempre sostenuto la teoria di Akhenaton; ma si trattava appunto di una semplice teoria.

Una volta isolato il DNA delle mummie è stato abbastanza facile confrontare i cromosomi Y di Amenhotep III, KV55 e Tutankhamon per vedere se fossero effettivamente legati da parentela (i cromosomi Y dei maschi imparentati fra di loro presentano lo stesso schema di Dna perché quella parte del genoma maschile si eredita direttamente dal padre). Per precisare i termini del rapporto, tuttavia, era necessaria un’analisi genetica più sofisticata. Sui cromosomi presenti nei nostri genomi vi sono alcune regioni specifiche in cui lo schema delle lettere del Dna (le A, le T, le G e le C che compongono il nostro codice genetico) varia moltissimo da una persona all’altra. Queste variazioni corrispondono a numeri diversi di sequenze delle stesse lettere ripetute. Per esempio, mentre una persona può avere una sequenza di lettere ripetuta dieci volte, un’altra persona, non imparentata con la prima, potrebbe avere la stessa sequenza ripetuta 15 volte, una terza persona 20 volte e così via. Per l’FBI la coincidenza di dieci di queste regioni assai variabili basta per concludere che il DNA rimasto sulla scena di un delitto può essere quello di un indiziato sottoposto al test.

Riunire i membri di una famiglia di 3.300 anni  fa richiede una procedura un po’ meno rigorosa rispetto ai parametri necessari per far luce su un delitto. Confrontando fra loro otto di queste regioni variabili la nostra équipe è riuscita a stabilire con una percentuale di probabilità superiore al 99,99 per cento che Amenhotep III era il padre dell’individuo sepolto nella tomba KV55, e che questo era a sua volta il padre di Tutankhamon.

SOPRA: Dalle analisi del DNA risulta che questa mummia, nota come la Giovane Signora, è sia sorella germana della mummia KV55 (probabilmente Akhenaton) sia la madre di suo figlio Tutankhamon (fra i reali d’Egitto i rapporti incestuosi non erano insoliti). La storia testimonia che Akhenaton sposò sia la famosa Nefertiti sia una donna di nome Kiya, ma di nessuna delle due era mai stato detto che fosse sorella del faraone. La Giovane Signora è probabilmente una delle cinque figlie note di Amenhotep III e Tiye.

A questo punto sapevamo dunque di avere il corpo del padre di Tutankhamon, ma non sapevamo ancora per certo chi fosse. I nostri sospetti si concentravano soprattutto su Akhenaton e Smenkhkara. La tomba KV55 ospitava infatti un deposito di materiale che si riteneva fosse stato preso da Tutankhamon ad Amarna, dove era stato sepolto Akhenaton (e forse Smenkhkara), e da lì portato a Tebe. Benché i cartigli (ovali contenenti i nomi del faraone) fossero stati cancellati dal sarcofago, questo recava alcuni epiteti associati esclusivamente ad Akhenaton. Ma non tutte le prove raccolte rimandavano a lui. La maggior parte delle analisi aveva stabilito che il corpo contenuto al suo interno era quello di un uomo di non più di 25 anni, cioè troppo giovane per poter essere Akhenaton, che sembra abbia procreato due figlie prima di inaugurare i suoi 17 anni di regno. Molti studiosi ipotizzavano che la mummia fosse piuttosto quella del misterioso faraone Smenkhkara.

Ora, però, si poteva chiamare un nuovo testimone per risolvere il mistero. La mummia della cosiddetta Vecchia Signora (KV35EL), con la sua chioma lunga e rossiccia che le cade sulle spalle, è bella anche nella morte. In passato era stata accertata la coincidenza morfologica fra un capello di questa chioma e una ciocca di capelli sepolta all’interno di un insieme di sarcofagi in miniatura scoperti nella tomba di Tutankhamon, sul quale era inciso il nome della regina Tiye, consorte di Amenhotep III e madre di Akhenaton.

Confrontando il Dna della Vecchia Signora con quello delle mummie di Yuya e Tuyu, i genitori noti di Tiye, abbiamo potuto confermare che la Vecchia Signora era proprio Tiye. Adesso Tiye poteva dimostrare se la mummia KV55 era o meno quella di suo figlio. Con nostra grande gioia, il confronto del Dna dei due ha attestato la loro parentela. Da nuove tomografie computerizzate della mummia KV55 è emersa anche una degenerazione della colonna vertebrale dovuta all’età e una osteoartrite alle ginocchia e alle gambe. A differenza di quanto si pensava in precedenza, l’uomo alla sua morte era più vicino ai 40 anni che ai 25. Risolta dunque la discrepanza sull’età abbiamo potuto concludere che KV55, mummia del figlio di Amenhotep III e di Tiye nonché padre di Tutankhamon, è quasi certamente Akhenaton (anche se sapendo così poco di lui non possiamo escludere del tutto che non si tratti invece di Smenkhkara).

Le nuove TAC delle mummie hanno anche smentito l’idea che la famiglia soffrisse di una malattia congenita come la sindrome di Marfan, che avrebbe potuto spiegare la lunghezza dei visi e l’aspetto femmineo delle raffigurazioni del periodo di Amarna. Non si sono riscontrate patologie del genere. I tratti di Akhenaton sembrerebbero piuttosto un riflesso stilistico della sua identificazione con l’Aton, che era una divinità sia maschile che femminile e dunque fonte di tutta la vita.

E che dire della madre di Tutankhamon? Con nostra sorpresa, il DNA della cosiddetta Giovane Signora (KV35YL), scoperta accanto a Tiye nella camera laterale di KV35, era correlato a quello del giovanissimo sovrano. Ancora più stupefacente è il fatto che grazie al suo DNA si è dimostrato che anche la Giovane Signora era figlia di Amenhotep III e di Tiye come Akhenaton. Quest’ultimo aveva dunque concepito un figlio con sua sorella. Il bambino sarebbe stato chiamato Tutankhamon.

SOPRA: Nella tomba del faraone sono stati scoperti anche un feto mummificato giunto almeno al settimo mese di gestazione (nella foto) e un altro feto più piccolo e gracile. Forse, in un caso o in entrambi, si trattava di una figlia del faraone.

Grazie a questa scoperta oggi sappiamo che è improbabile che Tutankhamon fosse figlio di una delle mogli conosciute di Akhenaton, cioè Nefertiti o una seconda consorte di nome Kiya: nulla prova che una delle due fosse sua sorella. Conosciamo i nomi di cinque figlie di Amenhotep III e Tiye, ma forse non sapremo mai quale delle sue sorelle diede un erede ad Akhenaton. Per me, tuttavia, più del nome è importante conoscere il rapporto che ebbe col fratello. Fra i reali dell’antico Egitto l’incesto non era una pratica insolita. Ma in questo caso ritengo che proprio l’incesto determinò la morte prematura di loro figlio.

I risultati dell’analisi del DNA da noi condotta, pubblicati a febbraio dal Journal of the American Medical Association, mi hanno convinto che la genetica può fornire uno strumento validissimo per migliorare la nostra comprensione della storia egizia, specie se accompagnata dagli studi radiologici delle mummie e dalle deduzioni a cui ci portano le testimonianze archeologiche.

Ciò risulta particolarmente evidente dal nostro tentativo di capire le cause della morte di Tutankhamon. Quando abbiamo avviato questo nuovo studio, Ashraf Selim e i suoi colleghi hanno scoperto nelle immagini tomografiche della mummia un dettaglio che era passato inosservato: Tutankhamon era affetto da equinismo del piede sinistro, a un dito del piede mancava un osso e le ossa di una parte del piede erano andate distrutte per necrosi. Tanto il piede equino quanto la malattia ossea gli impedirono senz’altro di camminare agevolmente. Alcuni studiosi avevano già rilevato che nella sua tomba erano stati rinvenuti 130 bastoni da passeggio integri o parziali, alcuni dei quali mostrano chiare tracce di usura.

C’è chi sostiene che questi bastoni fossero un comune simbolo di potere e che il danno al piede di Tutankhamon possa essersi prodotto durante la mummificazione. Ma l’analisi ha mostrato una ricrescita ossea per reazione alla necrosi, provando che la malattia si era manifestata mentre il faraone era in vita. E di tutti i faraoni solo Tutankhamon viene raffigurato seduto mentre esegue attività come scoccare una freccia con l’arco o scagliare un bastone da lancio. Questo non è un sovrano che tiene in mano un bastone solo in quanto simbolo di potere: è un giovane che aveva bisogno di un bastone per camminare.

Tutankhamon era afflitto da una malattia ossea invalidante, ma non fatale di per sé. Per indagare ulteriormente sulle possibili cause della sua morte abbiamo analizzato la mummia cercando tracce genetiche di varie malattie infettive. A giudicare dalla presenza di DNA proveniente da vari ceppi di un parassita denominato Plasmodium falciparum è risultato evidente che Tutankhamon era affetto da malaria, anzi, che aveva contratto più volte la forma più grave di questa malattia.

SOPRA: Su un cofanetto d’avorio trovato nella probabile tomba di Ankhesenamon, figlia di Akhenaton e unica moglie nota di Tutankhamon, il faraone è raffigurato con l’amata regina e con in mano un bastone; oggi sappiamo che  probabilmente gli serviva da stampella.

Che sia stata la malaria a ucciderlo? Forse. Questa malattia può scatenare nel corpo una risposta immunitaria micidiale, causare uno choc circolatorio e provocare emorragie, convulsioni, coma e il decesso. Come hanno sottolineato altri studiosi, però, è probabile che all’epoca in quella regione la malaria fosse diffusa e che Tutankhamon fosse diventato parzialmente immune alla malattia.
A mio parere, però, la salute di Tutankhamon era già compromessa fin da quando fu concepito. I suoi genitori erano fratelli. Quella dell’Egitto faraonico non è stata a l’unica società della storia a istituzionalizzare l’incesto tra componenti della famiglia reale, che dal punto di vista politico può avere dei vantaggi. Ma le conseguenze possono essere pericolose. Il matrimonio tra fratelli aumenta le probabilità di tramandare ai figli coppie gemelle di geni nocivi, che li rendono soggetti a un assortimento di difetti genetici. Può darsi che il piede deforme di Tutankhamon fosse un difetto di questo genere. Sospettiamo anche che il faraone soffrisse di un altro difetto congenito, una parziale malformazione del palato. Forse lottò contro altre anomalie finché un attacco di malaria o la gamba fratturata in un incidente non sottoposero a uno sforzo eccessivo il suo fisico già compromesso.

La tomba di Tutankhamon potrebbe celare un’altra testimonianza del regale incesto. Benché i dati siano ancora incompleti, il nostro studio suggerisce che uno dei feti mummificati scoperti nella tomba sia quello di una figlia mai nata del faraone e che l’altro feto sia anch’esso figlio suo. Finora siamo riusciti a ricavare solo alcuni dati parziali riguardanti le due mummie femminili di KV21. Una delle due, KV21A, potrebbe essere benissimo la madre dei due piccoli, cioè Ankhesenamon, consorte di Tutankhamon. La storia ci insegna che era figlia di Akhenaton e Nefertiti, quindi è probabile che fosse sorellastra del marito. Altra conseguenza dell’accoppiamento fra consanguinei è la procreazione di figli con difetti genetici che impediscono di portare a termine la gravidanza.

Forse è qui che, almeno per ora, finisce il dramma: davanti a un giovane re e alla sua regina che tentano invano di mettere al mondo un erede al trono d’Egitto. Fra i tanti splendidi oggetti sepolti con Tutankhamon c’è un cofanetto rivestito d’avorio intarsiato che raffigura il faraone con la regale consorte: Tutankhamon si appoggia al bastone mentre la sua sposa gli porge un mazzo di fiori; in questa come in altre raffigurazioni la coppia appare serena e innamorata. Il fatto che quell’amore non riuscì a dare frutti pose fine non solo a una famiglia, ma anche a una dinastia. Sappiamo che dopo la morte di Tutankhamon una regina egizia, probabilmente Ankhesenamon, si appella al re degli Ittiti, i più grandi nemici dell’Egitto, chiedendo di mandarle un principe che la sposi perché “mio marito è morto e non ho figli maschi”. Alla fine il re ittita invia uno dei suoi figli, che però muore prima di arrivare in Egitto. Ritengo che quest’ultimo sia stato ucciso da Horemheb, comandante in capo dell’esercito di Tutankhamon, che in seguito conquistò il trono. Ma anche Horemheb morì senza eredi, lasciando il trono a un altro comandante dell’esercito.

Il nuovo faraone si chiamava Ramses I. Con lui ha inizio un’altra dinastia, una dinastia che sotto la guida di suo nipote Ramses il Grande portò a nuove vette l’Egitto e il potere imperiale. Questo grande sovrano si impegnò più di chiunque altro per cancellare dalla storia ogni traccia di Akhenaton, di Tutankhamon e degli altri “eretici” di Amarna. Con le nostre indagini cerchiamo di rendere omaggio a tutti loro e di mantenerne vivo il ricordo.

SOPRA: Quali che fossero i difetti congeniti di Tut in vita, di certo ha lasciato ai posteri un’immagine di sé di luminosa perfezione rappresentata nella sfarzosa maschera funebre in oro, che per gli antichi Egizi era la sostanza di cui erano fatti gli dei.

PRIMA DELLA PILLOLA: DA CLEOPATRA IN POI

Se presso alcune antiche Civiltà i metodi di contraccezione (da parte della donna)  furono alquanto ben caratterizzati (ad esempio al tempo di Cleopatra si usavano in Egitto pessari fatti con feci di coccodrillo), presso ogni altra popolazione furono sempre escogitati mezzi e pratiche più o meno efficaci per evitare gravidanze indesiderate. Tra tutti primeggiavano i pesssari (con foglie di papiro in Egitto, fecola di patata in Bolivia, di papaia in India), che esplicavano quindi un’azione anticoncezionale http://www.facebook.com/pages/GLI-Sfigati-Della-Sprintours/118698278184476?v=info#!/pages/GLI-Sfigati-Della-Sprintours/118698278184476?v=wallquasi esclusivamente meccanica. Ma si ricorreva anche ad altri ingredienti, come la cera d’api (che non fonde alla temperatura endovaginale), il grano contaminato dalla segale cornuta o il fungo Fusarinum, che oggi si sa contenere micotossine con proprietà estrogeniche, oppure piante della famiglia delle Dioscoree con le loro note proprietà progestiniche.

Esisteva inoltre un numero infinito di preparati a base di erbe, da assumere in vario modo. Ad esempio, le donne indiane Cherockee del Nord-America ricorrevano alla cicuta in piccolissime dosi, mentre le Navajo usavano un infuso di Battia dissecta, le Shoshoni del Nevada un infuso del litospermo (Lithospermum ruderale) e le Hopi una polvere fatta con la radice essiccata dell’Arisaema triphillum (tulipano indiano), che oggi gli americani indicano con il curioso nomignolo di “Jack-in-the-pulpit”. Nelle foreste centrali del Paraguay la Stevia revaudiana, essiccata, ridotta in polvere e bollita in acqua, avrebbe “assicurato” la sterilità assoluta. Tale proprietà è stata confermata sperimentalmente di recente.

Del resto, molte pratiche empiriche hanno rivelato i loro fondamenti alla luce della moderna sperimentazione farmacologica, come piante ricche di tannino (notoriamente dotato di azione spermicida) usate sin dall’antichità dalle donne di Sumatra. E i primi esperimenti sulla pillola furono eseguiti sul progesterone vegetale contenuto nella pianta messicana Cabeza de negro.Largo uso si faceva anche di pozioni a base di ruggine di ferro, polvere di terracotta, timo, lavanda, prezzemolo, asparagi, foglie di salice e numerosi altri ingredienti.

Ma per impedire il concepimento si ricorreva anche ad altri mezzi, ad esempio alle docce endovaginali, oppure -nella Guyana e nella Martinica, all’applicazione locale di un liquido a base di succo di agrumi e un’essenza estratta dalla corteccia del mogano.

Innumerevoli erano poi le pratiche magiche, gli esorcismi, gli amuleti, per non parlare della contraccezione maschile.

Pur non conoscendosi sin quasi al XIX secolo della nostra èra i reali meccanismi alla base del concepimento, è stata da sempre esperienza comune che l’astinenza dal rapporto sessuale è sistematicamente connessa alla non gravidanza. Ed era proprio questo un metodo praticamente infallibile per evitare gravidanze indesiderate, che i vari popoli seguivano in funzione di eventi naturali come il ciclo lunare, le stagioni, il fiorire di determinate piante, il periodo delle semine, ecc. Per di più,  venivano sfruttati quei naturali “periodi fecondi e infecondi” della donna emersi dall’esperienza popolare, che soltanto negli anni 1930 il giapponese Kjusaku Ogino e l’austriaco Hermann Knaus avrebbero poi codificato su basi scientifiche.

Eppure già Ippocrate (V secolo a.C.), nel suo De mortiis mulierum tentò di precisare quali fossero i giorni infecondi, facendoli coincidere con il momento immediatamente successivo alla mestruazione; mentre Sorano di Efeso (II secolo d.C.) considerava “pericoloso” il periodo immediatamente precedente e seguente la mestruazione, e “sicuro” quello intermedio. Concetto questo che avrebbe tenuto banco per circa altri duemila anni.

Tanti altri metodi, popolari e non, sono stati escogitati nel tempo nel tentativo di attuare una contraccezione per quanto possibile sicura. Soltanto agli inizi degli anni 1960 il biologo statunitense Gregory Pincus riuscirà a realizzare la prima pillola anticoncezionale veramente efficace combinando un estrogeno con un progestinico (progesterone di sintesi). Da allora, con vari miglioramenti la contraccezione è divenuta un metodo efficace e sicuro. Decisamente meno precario dei pessari a base di feci di coccodrillo usati al tempo di Cleopatra…

A cura di:

Luciano Sterpellone
– Patologo clinico e storico della medicina

ENNESIMO SUCCESSO DI ARCHEOLOGI ITALIANI

Il Cairo, 27 dic. – (Adnkronos) – Eccezionale scoperta in Egitto ad opera di un gruppo di archeologi italiani, che hanno portato alla luce una piccola stele di epoca romana con un’iscrizione greca e 150 vasi all’interno di un grande recinto sacro dove sorgeva un tempio dedicato al dio Soknopaios e costruito in epoca tolemaica. La notizia e’ stata resa nota con un comunicato dal Consiglio Supremo delle Antichita’ Egizie, precisando che lo scavo e’ in corso a Dime es-Seba, a circa 80 chilometri a sud-est del Cairo, vicino al al lago Qarun, nell’oasi del Fayum, celebre enclave grecoromana. La missione italiana e’ diretta da Mario Capasso e Paola Davoli del Centro di Studi Papirologici dell’Universita’ del Salento. Nel corso degli scavi e’ riemerso il lato esterno orientale del tempio (13 x 5,50 m). Il paramento esterno del santuario fu realizzato a bugnato decorativo, come la facciata dello stesso edificio. Alla base del muro est venne addossato un rivestimento alquanto insolito, costituito da sei corsi di blocchi di calcare grigio-violaceo, la cui faccia a vista e’ ben levigata e rastremante verso l’alto. Questo rivestimento aveva certamente una funzione decorativa ma anche probabilmente protettiva della parte bassa dei muri soggetti ad erosione.

Nella foto: una stele funeraria romana conservata a Modena

LIBRI: FIGLI DI UNA SHAMANDURA

FIGLI DI UNA SHAMANDURA
peccati e segreti di Sharm El-Sheikh

di Claudio Di Manao
Forse una scusa per fuggire dal mondo reale, forse un amore per il mare e le sue creature al di là di ogni futuro preconfezionato, o forse solo malati della “sindrome di Peter Pan”. Tra barche, coralli e bar, i personaggi di Figli di una shamandura vivono e lavorano dimenticando la loro età anagrafica, sullo sfondo di un Egitto surreale e inedito, popolato da turisti che lo sono ancora di più, e di un mare splendido. Un libro dedicato a quelli che “se ne sono andati” con una sacca da sub in spalla, per esplorare la propria vera vita in un posto dove splende sempre il sole, tra gaffe, situazioni assurde, rischi del mestiere, cinismo e incongruenze, ma con addosso l’innocenza di chi guarda il mondo con occhi che hanno già scartato il conosciuto, la sicurezza e il banale. Il mare e la vita brada come stile irrinunciabile per migliaia d’istruttori e guide subacquee, lungo percorsi spesso funambolici, a volte struggenti, più spesso paradossali, itinerari umani descritti brillantemente in pagine che si fanno leggere in un fiato.

Libro difficilino da trovare. Per info: 0735.62020 (dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 18)

A VERONA UN LIBRO REGALATO A OBAMA, MUBARAK E BERLUSCONI

Volumi preziosi prodotti con sete di Como, stampati su carta italiana di Fedrigoni o delle Cartiere del Garda, realizzati con la più innovativa tecnologia (una stampa digitale che garantisce la precisione più assoluta) e naturalmente rilegati a mano. Sono queste le «chicche» che il presidente della società editrice EBS Fabio Bortolazzi ha donato alla Biblioteca Civica: un omaggio alla città, costituito per ora da 10 volumi, ma che intende essere solo un primo atto in vista di altre, future donazioni.
«Un grande regalo che arricchisce il patrimonio della nostra Biblioteca civica e di tutta la città, con volumi di grande valore conosciuti in tutto il mondo», ha commentato l’assessore alla Cultura Erminia Perbellini, intervenuta ieri alla presentazione dei volumi nella Sala Nervi della Civica, insieme al presidente Bortolazzi e al responsabile della biblioteca Agostino Contò. I dieci volumi resteranno esposti negli spazi della biblioteca durante le festività, per rimanere poi a disposizione degli utenti.
«Si tratta di riproduzioni di libri illustrati d’arte e di architettura, realizzati con carta di pregio e con tecniche ad alta definizione», ha spiegato Bortolazzi. «La nostra società, le edizioni EBS, nate nel 1953 come piccola tipografia artigiana, è conosciuta a livello internazionale come uno tra i più prestigiosi produttori di libri fotografici di alto pregio, in grandi formati e di elevata qualità tecnica. Il piacere che il frutto del nostro lavoro possa essere conosciuto anche dai veronesi mi ha spinto a donare alcuni esemplari alla Civica».
Tra i libri che fanno parte della donazione, «The Trevelyon Miscellany of 1608. A facsimiled Folger Shakespeare Library», edito in occasione della celebrazione del 75° anniversario della Folger Shakespeare Library in Washington D.C.: riproduzione in facsimile di un manoscritto che contiene materiali relativi a vita, costume, cultura al tempo di Shakespeare; «Histoire naturelle des oiseau illustré par 1008 gravures de François Nicolas Martinet», un’ edizione tratta dai 10 volumi dedicati agli uccelli della «Histoire Naturelle générale et particulière avec la description du cabinet du Roy» di George Louis Leclerc, conte di Buffon, uno dei monumenti scientifico-letterari del XVIII secolo, edita a partire dal 1749. E anche «Zahs Harvass, A secret voyage. Love, magic and mysteries in the realm of the pharaohs», photograph Sandro Vannini, Slough – Berkshire, 2009, uno straordinario percorso nel mondo dell’antico Egitto, illustrato da immagini di altissima qualità. «Proprio questo libro è stato consegnato come omaggio al presidente Obama e al presidente Mubarak», ha spiegato Bortlazzi. «E il nostro presidente Berlusconi me ne ha fatto richiesta dopo averlo visto: naturalmente l’abbiamo inviato anche a lui»

Il volume ha un prezzo di copertina di soli 2.900 €uro, ed è editato in sole 750 copie numerate e autografate da Zahs Harvass. Chi avesse ancora qualche spicciolo per i regalini dell’ultimo minuto, può contattare l’editore sul sito

IL RAGAZZO CHE SFIDO’ RAMSES IL GRANDE – di CHRISTIAN JACQ

Nell’anno 1250 a.C., il Faraone Ramses Il regnava su un Egitto prospero. Esercitava il suo potere con un’autorità che nessuno osava mettere in dubbio… Ma quando la casa e le terre di Kamosè e dei suoi genitori, conquistate poco alla volta, rese fertili dal loro lavoro, vengono consegnate a Setek, uomo rude e crudele, che vuole ridurre gli antichi proprietari in suoi schiavi, il giovane decide di ribellarsi. Non può tollerare una tale ingiustizia. Ma solo un uomo può cambiare le cose: l’uomo più potente e venerato di tutto l’Egitto, Ramses. Lì diventa uno tra i migliori artigiani del tempo. Ma non è abbastanza. L’unica speranza di riuscire ad avvicinare il Faraone è quella di intraprendere la strada che lo porterà a essere scriba.

Autore:  Jacq Christian
Editore:  Piemme
Genere:  letteratura per ragazzi
Collana:  Piemme pocket
Traduttore: Finassi Parolo M.
Pagine: 245
ISBN: 883848340X
ISBN-13: 9788838483400
Data pubbl.: 2005
Prezzo: 10,50 €
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IL NATALE COPTO

Il Natale è una festa particolarmente sentita in Egitto, nonostante la maggior parte della popolazione egiziana sia si fede musulmana. In particolare, il 10% degli egiziani sono cristiani copti, ossia seguaci della Chiesa Copta, che riconosce un Papa proprio, distinto da quello dei cattolici, e che considera San Marco come il proprio primo Papa, avendo introdotto il Cristianesimo in Egitto. La cattedrale dedicata a San Marco si trova oggi al Cairo, e durante il periodo natalizio diventa la meta prediletta dei cristiani d’Egitto. Il Natale è particolarmente importante in questa terra in predominanza musulmana perché fu proprio in Egitto che Gesù trascorse parte della sua infanzia. La ricorrenza viene festeggiata con molto entusiasmo, soprattutto dopo che il Presidente Hosni Mubarak, nel 2002, proclamò il Natale festa nazionale, e quindi non propria solo di una piccola minoranza.

Il Natale copto, pur avendo dei tratti in comune con il Natale festeggiato in Occidente, presenta delle peculiarità proprie. Innanzitutto, la data in cui viene festeggiato: non si tratta infatti del 25 dicembre, ma del 7 gennaio (che è considerato il giorno in cui nacque Gesù anche dai cristiani ortodossi), che corrisponde al 29° giorno del mese di “kiahk” e che segna la fine di un periodo di digiuno lungo più di 40 giorni, durante il quale i fedeli evitano di magiare carne e prodotti di provenienza animale come uova e formaggi. Con questo periodo di digiuno si vogliono ricordare i quaranta giorni passati da Mosè sul Monte Sinai per ricevere le tavole dei Dieci Comandamenti.

Anche se il Natale in Egitto viene festeggiato il 7 gennaio, le celebrazioni e i festeggiamenti durano da dicembre a gennaio, e sono caratterizzati da vari riti e usanze che rendono l’Egitto, e Il Cairo in particolare, una meta particolarmente attraente durante questo periodo dell’anno. In questo periodo non è difficile imbattersi in concerti di canti natalizi e di musica copta. Anche se in Egitto il Natale non è ancora diventato una festa commerciale come accade in Occidente, sarà comunque possibile acquistare doni nei moltissimi bazar natalizi. Se volete poi assaggiare un cibo tipico di questo periodo,assaggiate  dei “lib”, ossia dei semi secchi che sono diventati quasi un simbolo di questo periodo di festa.

Il Natale in Egitto rimane però essenzialmente una festa religiosa, che si passa in famiglia e nelle guest house del Cairo ed ha il suo fulcro nella messa di mezzanotte, che sancisce la fine del periodo di digiuno. La celebrazione vede la partecipazione, nella cattedrale di San Marco, di personaggi eminenti, ed è seguita dai tradizionali incontri familiari durante i quali i bambini ricevono doni, qualche soldo e vestiti nuovi, e tutta la famiglia consuma insieme il pasto di Natale, chiamato “fatta”, un piatto a base di pane, riso, aglio e carne bollita. Al mattino poi si è soliti fare visita ad amici e parenti portando in dono il “kaik”, ossia un particolare tipo di biscotto, per continuare a festeggiate questo giorno in compagnia.

Il Cairo, e l’Egitto in generale, è un posto magico e affascinante, che stupisce ogni visitatore. Se vuoi vivere un’esperienza particolare, e festeggiare un Natale diverso da quello cui sei abituato, prenota subito uno dei tantissimi alberghi al Cairo!

Una delle attrazioni turistiche del quartiere copto è la chiesa ortodossa costruita in cima ad una torre che, anticamente, faceva parte delle mura che circondavano la città. E’ una struttura molto curiosa: passeggiando all’interno della chiesa forse non ci si rende conto, ma, se si osservano alcuni dettagli, si può notare come effettivamente stia sospesa su di una torre di difesa.
Non è una delle visite obbligate del Cairo, ma se vi trovate nel quartiere copto, non potete non fermarvici.

INIZIATIVE DEL MUSEO ARCHEOLGICO DI BOLOGNA

L’Egitto da sempre richiama alla mente un mondo fatto di faraoni, piramidi e multiformi divinità: ma cosa succede quando nella valle del Nilo arriva, da conquistatrice, Roma? Quali cambiamenti investono la civiltà millenaria dei faraoni? E soprattutto quale influenza avranno la civiltà, la religione, la società egizie nel mondo romano?
Sarà l’egittologa Anna Morini a spiegare tutto questo nel Museo Archeologico di Bologna, con l’ausilio di una proiezione multimediale e con un percorso che porterà i visitatori sulle tracce della civiltà del Nilo disseminate qua e là all’interno del Museo. L’appuntamento è per domenica 19 dicembre alle ore 16. (ndr: Purtroppo abbiamo scoperto tardi la notizia!!)
L’incontro, a cura di GABO, è a pagamento (4 euro a persona). Ingresso fino a esaurimento posti disponibili.
Ma il museo archeologico di Bologna per tutto il periodo natalizio offre tante altre opportunità di svago, divertimento ed apprendimento, anche per i più giovani. Non tutti possono andare in vacanza e in questo periodo di crisi molte famiglie sono costrette a trascorrere i periodi di ferie nelle proprie città. Ecco allora che sono lodevoli tutte le iniziative che offrono ai residenti la possibilità di trascorrere qualche ora in spensieratezza. Di seguito alcuni appuntamenti dei prossimi giorni. Mercoledì 22 dicembre il Coro Athena presenterà, sempre all’interno del Museo, uno splendido concerto di Natale, il cui ricavato andrà a Telethon. Domenica 26 Barbara Faenza e Anna Morini riporteranno i visitatori nella preistoria bolognese e nella collezione egiziana. Domenica 2 gennaio 2011 sarà la volta della Magia bianca e della Magia nera dell’antico Egitto.
Barbara Bentini nel pomeriggio del 6 gennaio porterà i bambini dai 6 agli 11 anni a scoprire la moneta. Alle ore 18 “Il prosciutto di Nerone”, spettacolo di burattini a cura del Gruppo Burattini Esagono. Infine domenica 9 gennaio si scoprirà come giocavano i bambini nei tempi antichi. Cristina Servadei condurrà i bambini dai 4 ai 7 anni in una visita ricca di sorprese e giochi…di una volta.
Un programma dunque nutrito ed interessante e che sicuramente non annoierà famiglie e bambini. Da non perdere.

LE INIZIATIVE NATALIZIE DEL MUSEO EGIZIO DI TORINO

Si avvicinano le feste ed il Museo Egizio propone ai visitatori percorsi tematici per trascorrere un pomeriggio in compagnia di Faraoni e Regine, da soli o in compagnia dei più piccoli. A dicembre verrà presentata una novità per gli adulti, ma saranno di scena anche i misteri legati alla magia ed alle divinità, le curiosità della vita quotidiana e i segreti della tavola.

Debutta il 28 dicembre una nuova iniziativa riservata agli adulti: “Viaggio in Egitto”. Si tratta di un inedito percorso teatralizzato che consente di scoprire le collezioni del Museo Egizio anche attraverso resoconti e diari di viaggio di studiosi e appassionati dell’800: archeologi, donne, nobili dell’epoca saranno interpretati da attori che durante la visita, alternandosi ad un egittologo, metteranno in scena le atmosfere e le suggestioni di un’epoca lontana.
Gli altri appuntamenti di fine anno coinvolgeranno, invece, soprattutto le famiglie con bambini.

Sabato 11, domenica 12 e giovedì 30 dicembre i segreti dei sacerdoti dell’Antico Egitto saranno svelati al pubblico, che potrà conoscere tutte le “Forze divine e formule magiche”.

Domenica 26 dicembre sarà il turno dei palati più esigenti, che potranno saziare il proprio appetito di curiosità con “Una fame da oltretomba”, un percorso tematico per famiglie sulle abitudini alimentari degli antichi egizi che, oltre ai vivi, non trascuravano di nutrire anche divinità e defunti.

A grande richiesta, rimangono in calendario anche i percorsi più classici: “A casa di Kha” (martedì 28 dicembre), “Animali o Dei?” (sabato 18, domenica 19 e mercoledì 29 dicembre) e “La mia famiglia egizia” (lunedì 27 dicembre), gli appuntamenti più amati dai bambini per la loro capacità di illustrare ogni aspetto della vita di tutti i giorni nell’Egitto di oltre duemila anni fa.

Nel periodo natalizio il Museo Egizio sarà aperto al pubblico venerdì 24 dicembre con orario ridotto 8:30-14:30; sabato 25 rimarrà chiuso, mentre domenica 26 e lunedì 27 dicembre effettuerà un’apertura straordinaria con orario 8:30-19:30. Il 31 dicembre l’orario sarà ridotto dalle 8:30 alle 14:30.

Programma

  • sab 11 dicembre
    Forze divine e formule magiche
    Famiglie 10.30 1 ora € 3,50*

  • dom 12 dicembre
    Forze divine e formule magiche
    Famiglie 10.30 1 ora € 3,50*

  • sab 18 dicembre
    Animali o dei?
    Famiglie 10.30 1 ora € 3,50*

  • dom 19 dicembre
    Animali o dei?
    Famiglie 10.30 1 ora € 3,50*

  • dom 26 dicembre
    Una fame da oltretomba.
    Menù per il corpo e per lo spirito
    Famiglie 10.30 1 ora € 3,50*

  • lun 27 dicembre
    La mia famiglia egizia
    Famiglie 10.30 2 ore € 6,00*

  • mar 28 dicembre
    A casa di Kha
    Famiglie 10.30 1 ora € 3,50*

    Viaggio in Egitto
    Adulti 20.30 1 ora e 30 € 15,00

  • mer 29 dicembre
    Animali o dei?
    Famiglie 10.30 1 ora € 3,50*

  • gio 30 dicembre
    Forze divine e formule magiche
    Famiglie 10.30 1 ora € 3,50*

*Alla tariffa di partecipazione indicata si aggiunge il prezzo del biglietto d’ingresso (gratuito 0-18 anni; ridotto € 3,50 18-25 anni e oltre i 65 anni; intero € 7,50 26-64 anni)

Info

  • sito www.museoegizio.it

  • per tutte le iniziative è obbligatoria la prenotazione al numero 011- 4406903

ARCHIMEDE E IL MISTERO DEL PLANETARIO

Siracusa – Si presenta mercoledì 15 alle ore 17,30 all’Istituto Tecnico Commerciale “Rizza”, il libro di Annalisa Stancanelli, docente e giornalista, “Archimede e il mistero del Planetario” (Melinonerella Editore). A presentare questo curioso mix fra un giallo e un thriller avventuroso, saranno Sebastiano Amato, direttore dell’Istituto Superiore di Studi Umanistici, e la scrittrice Simona Lo Iacono, premio Vittorini opera prima nel 2009. Presente naturalmente anche l’autrice siracusana.

Del mistero planetario aveva parlato Cicerone: «In realtà, quando Archimede racchiuse in una sfera i movimenti della luna, del sole e dei cinque pianeti, fece lo stesso che colui che nel Timeo edificò l’universo, il dio di Platone, e cioè che un’ unica rivoluzione regolasse movimenti molto diversi per lentezza e velocità. E se questo non può avvenire nel nostro universo senza la divinità, neanche nella sfera Archimede avrebbe potuto imitare i medesimi movimenti senza un’intelligenza divina». (Cicerone, Tusculanae disputationes I, 63)

Alcune anticipazioni sul libro di Annalisa Stancanelli.

Un mistero custodito da secoli sta per essere svelato, solo un uomo può proteggere la segreta camera di Thot.

Fra omicidi e misteri nei panni insoliti dell’investigatore Archimede dovrà risolvere il mistero del planetario in un’avventurosa caccia al tesoro fra Siracusa, Roma e l’Egitto….

EGITTO 214 a.C. Un piccolo gruppo di scienziati della Biblioteca di Alessandria nasconde un grande segreto; l’esistenza della misteriosa Camera di Thot, lo scrigno dei manoscritti più importanti della Biblioteca. Quando il Sacro Custode, Teofrasto, comprende che la Camera è in pericolo invia lo scienziato Dositeo a Siracusa a chiedere l’aiuto del famoso Archimede.

Siracusa 213 a.C. : la città è sotto assedio. I Romani da mesi tentano di conquistarla ma le macchine di Archimede la proteggono. Dositeo è arrivato al momento giusto e insieme ai due schiavi del genio siracusano, il saggio Daniele, e il nubiano Megarèo, muto ma fortissimo, aiuta nella difesa delle mura. Ad Alessandria, intanto, Teofrasto e il suo attendente sono stati misteriosamente uccisi, Fileide, la figlia del Custode, fugge e riesce a raggiungere lo scienziato alessandrino a Siracusa. Poco prima della caduta della città il planetario di Archimede viene trafugato e con esso la mappa del tesoro che Dositeo vi aveva celato. La morte colpisce la casa di Archimede ma la caccia agli assassini e al tesoro di Thot continua da Roma ad Alessandria fino alla misteriosa Sfinge di Giza…

Il libro dovrebbe fare la sua comparsa in tutte le librerie siciliane a gennaio ma è prenotabile in tutta Italia nelle librerie Feltrinelli, per informazioni http://www.melinonerella.it

LA COSTRUZIONE DEL TEMPIO DI KARNAK NEI SECOLI

Un filmato che dura un quarto d’ora, probabilmente noioso per i non appassionati di archeologia ed egittologia, ma assolutamente interessante per chi ama questo affascinante mondo!

Una serie di slide che mostrano come piano piano, nei secoli e sotto i vari faraoni, il tempio è stato edificato ed ampliato

IMPERO DI ALBERTO ANGELA: PARLA ANCHE DEL MAR ROSSO

Con il suo primo romanzo, ‘Una giornata nell’antica Roma’ (bestseller Mondadori da oltre 400 mila copie e traduzioni in inglese, francese, tedesco, spagnolo, russo, cinese, giapponese e coreano) ci aveva guidato per 24 ore tra il Colosseo e il cuore dell’impero di Traiano, in un ipotetico martedi’ del 115 dopo Cristo.

Ora Alberto Angela riparte dal giorno successivo, un mercoledi’, per la sua seconda prova da romanziere che esce in questi giorni edito da Mondadori e Rai Eri. ”E’ il libro che avrei sempre voluto leggere e che ho spesso consigliato di scrivere”, racconta il paleontologo-conduttore, che come protagonista di questo racconto fitto oltre 500 pagine ha scelto un sesterzo di bronzo, moneta del valore di poco piu’ di due euro, ma ”veicolo straordinario perche’ passa di mano in mano”, dal marinaio al signore, dalla prostituta al filosofo fino al gladiatore.

Frutto di tre anni di ricerche, il viaggio immaginario di Angela salpa da Roma, dove si tornera’ piu’ volte e dove assisteremo alla corse delle quadrighe al Circo Massimo, puntando prima verso il nord dell’Impero, tra la Londra tutta costruita in legno, la Provenza e le vigne del Mosella (dove si scopre che lo spumante lo inventarono i romani ben prima dei francesi). E poi ancora da Milano, gia’ regno dello shopping delle belle romane, giu’ per la via Emilia ”il piu’ grande monumento che ci e’ stato lasciato”, con i suoi 80mila chilometri scanditi gia’ al tempo da Statio e Mansio (gli equivalenti degli autogrill e motel) fino a Ostia. E poi in Spagna, tornando nella tentacolare e scandalosa Baia alle porte di Napoli, dove il vulcano Somma aveva ricoperto Pompei. E ancora Alessandria d’Egitto, dove la moneta entra in un prostribolo e ne esce per visitare le tombe dei faraoni in mano a un filosofo, puntando dritta al Mar Rosso e all’india.

Un viaggio lungo piu’ di due anni, durante il quale ogni elemento, vicenda, personaggio e’ vero, o al massimo verosimile, con numerosi dialoghi e persino barzellette ripresi da Ovidio, Marziale, Tacito e Giovenale. Si scopre cosi’ che Roma riusci’, quasi duemila anni fa, a realizzare il primo esempio di globalizzazione, in un impero che aveva un’unica lingua parlata ovunque, il latino, una sola moneta e dove, in ogni luogo, si poteva trovare lo stesso olio o la stessa tunica, magari con una stoffa tinta a est e cucita a ovest. Una societa’ multietnica dove chiunque poteva diventare imperatore, con un altissimo tasso di alfabetizzazione e un ottimo codice legislativo e dove spesso le donne avevano molta piu’ liberta’ di quella che possiamo immaginare. E tra barbari che sognano di diventare cittadini romani, legionari allenati come macchine da guerra, maghe pratiche del voodoo, ricche e viziate patrizie e un truffatore come Fronteius, che accumulo’ ricchezze tra appalti e clientelismo, anima di questo viaggio e’ Traiano: ”il piu’ grande imperatore di Roma”, il cui profilo campeggia sul sesterzio, ”uomo umile e coraggioso, che porto’ l’impero alla sua massima espansione e ricchezza”. Molto di questo racconto, conclude Angela, ”e’ rimasto fuori, con ben tre capitoli che ho dovuto tagliare. Chissa’ – conclude – magari saranno utili per un terzo romanzo”.